Nel 1969, con il cosiddetto autunno caldo, si incomincia ad avvicinare il trattamento economico degli operai a quello degli impiegati per quanto riguarda le assenze per malattia

Il contratto prevede l’uguaglianza operai-impiegati per il periodo successivo ai primi 3 giorni, mentre per i primi giorni – la cosiddetta ‘Carenza Inam’ – il contributo delle aziende è del 50%.

Con i contratti successivi si passa alla parità di trattamento totale; in questa fase successiva, le aziende, per malattie di lunga durata, non ci rimettono neanche una lira, in quanto mentre l’INAM versa al datore di lavoro una percentuale che parte dal 50% e giunge all’80% del salario lordo, le aziende versano all’operaio all’inizio il 100% ma poi scendono al 2° e 3° mese ( a seconda dell’anzianità) al 50%; come si può vedere il costo aggiuntivo è irrisorio, mentre si tengono fermi i diritti degli impiegati.

Di qui cominciano gli alti strilli padronali:

Però poi la Confindustria ( in cui domina la Fiat, ovviamente) si calma e solo di tanto in tanto leva qualche strillo di dolore.

Per i settori avanzati i mercati tirano, la forza lavoro idonea non è poi molta. Infatti, in quel periodo abbiamo un incremento dell’occupazione femminile nell’industria, contemporaneamente alla diminuzione del tasso ddi attività femminile globale per l’espulsione dalla campagne, dove le donne figuravano come ‘occupate nell’agricoltura’.

Con l’introduzione del pagamento dei primi tre giorni, abbiamo l’inizio del proliferare delle brevi malattie. Questo è un dato oggettivo, ma ovviamente lo dobbiamo considerare inevitabile, come tale lo considera la controparte padronale, cioè è semplicemente un maggior costo di produzione, contemporaneamente diminuisce la percentuale di coloro, specialmente donne, che abbandonano prima del termine (pardon la pensione) non in grado di continuare a lavorare in fabbrica.

E’ una ‘bestia relativa’.

Facciamo un esempio: rispetto al periodo in cui i medici aziendali e mutualistici che non ti mettevano in mutua se non superavi i 38° di febbre, può essere considerato abusivo chi, per un attacco di dissenteria e per aver passato una notte insonne, per gli strilli dell’ultimo nato, non si presenta al lavoro…

Gli esempi possono essere molti.

Un economista di parte borghese (americano) non esita a dire << se al posto di 20 mila operai vi fossero 20 mila capi di bestiame, esposti a morte sicura dovuta a malattia epidemica e ricorrente, si determinerebbe un incentivo economicamente calcolabile ad adottare misure preventive. Per il fatto di non costituire un valore in linea capitale, il fattore umano della produzione viene invece a trovarsi, in una economia di mercato, in condizioni meno favorevoli dei mezzi NON UMANI del processo produttivo >>.

Malgrado questo sia stato scritto nel 1950, la sua attualità come analisi generale non è diminuita. Oggi gli imprenditori e per loro la Confindustria, lamentano che il sistema basato sulla economia di mercato è inceppato da un ‘eccesso di garantismo’ ( leggi: le cose vanno male perché ci sono la legge 300 – statuto dei lavoratori – ecc.).

Si deve ribattere che questo ‘garantismo’ consente che la economia di mercato continui a funzionare con costi sociali non pagati.

Tanto è vero che l’Ufficio internazionale del lavoro (fonte di parte governativa) segnala che nel 1977 in Itali si sono avuti:

12 morti sul lavoro al giorno (infortunio), 250 subiscono lesioni tali da provocare invalidità permanente, 5000 lesioni con inabilità superiore ai 3 giorni, 20.000 lesioni leggere con invalidità non superiore a 3 giorni.

Però il cosiddetto abusivismo esiste.

Certo, noi lo diciamo chiaramente. I padroni meno chiaramente, infatti, chiamati in tribunale per dei licenziamenti impugnati dal sindacato, non parlano certo di abusivismo quanto di morbilità, cioè di eccesso di assenze per malattia o per supero del periodo di conservazione del posto di lavoro.

La Corte di Cassazione negli ultimi tempi ha dato loro ragione.

Con una sentenza che se presa a modello di comportamento padronale consentirebbe la ‘partenza’ per un nuovo modello di sviluppo (!): il padrone può licenziare chi gli pare e quando gli pare con un uso politico del licenziamento come arma di discriminazione tra buoni e cattivi.

 

 

MA COSA VUOLE OTTENERE VERAMENTE IL PADRONE?

Questo atteggiamento della controparte padronale e’ strano solo se lo si guarda dall’esterno, se si tenta un’analisi più complessiva (magari scoprendo verità non gradevoli per noi… ) le cose mutano aspetto…

Una cosa sgradevole la diciamo subito, tanto per chiarire che il cosiddetto abusivismo è un fattore marginale ed enorme nello stesso tempo:

il consiglio da fabbrica proclama due ore di sciopero in un’azienda; per non perdere le due ore il 50% degli operai si mette in mutua. Però i giorni lavorativi in un mese sono 20: il valore statistico dell’abusivismo diventa allora del 5% mensile.

Il fatto allora non è grave per il padrone: è grave per quel consiglio di fabbrica.

Il padrone lo capisce benissimo: il dato più importante per il ‘datore di lavoro’ è la spaccatura che si può verificare all’interno degli occupati.

Allora, pur marginale, il fenomeno dell’abusivismo esiste

(quello oggettivo, non quello soggettivo) e noi non siamo fra coloro che vogliono negarne l’esistenza.

Infatti, anche se l’incidenza effettiva è molto minore di quella apparente, ci rendiamo conto che i ‘furbi’ ( che sono poi i sudditi più fedeli del capitale) sono comunque una componente del movimento operaio…

 

 

In questo fenomeno esistono due aspetti: se da un lato c’è l’apparente dichiarazione di indipendenza – con cui abbiamo cercato di definire ciò che guida gli astensionisti non organizzati ( quegli esempi citati nelle prime pagine) dall’altro esiste ‘l’utilizzo di comodo’ delle conquiste della classe operaia.

Tanto per fare un esempio: quando sei assunto in una fabbrica ti dicono QUI C’E’ LA TREDICESIMA, IL PREMIO, LA MENSA ECC.

Chi fa la selezione del personale si guarda bene dal dirti quanto è costato in termini di lotta ai lavoratori che ti hanno preceduto. Quindi di queste conquiste TENE SERVIRAI… BENE O MALE.

I tre giorni di mutua pagata al 100% possono essere utilizzati ( e così è avvenuto) anche in modo personale come lotta contro la oppressione in fabbrica.

Se il fenomeno risulta compatibile con le contingenti esigenze del capitale, questo fa finta di niente: Se il fenomeno supera un livello di guardia (diverso da fabbrica a fabbrica) il callo comincia a pungere…

Tutti gli scazzi tra ritmi, ambiente, oppressione ecc hanno due sbocchi:

1° la lotta

2° il rifugiarsi in astensioni non organizzate di comodo

Nel primo caso vogliamo raccontarvi una favoletta.

Non è detto che sempre si riesca a dare risposte di massa alle provocazioni e agli attacchi dei padroni. Questa lotta dei minatori ( di solito classificati come ‘parte arretrata della classe operaia) ci fa pensare.

Certe risposte alla militarizzazione – vedi incendio dell’auto di un caporeparto ecc- sono veramente dei passi in avanti? Certe volte questi capi sono già sputtanati dalla critica operaia…

Pochi chilometri prima di Prali, in Val germanasca… ci sono le miniere della Talco &Grafite . Il 18 di giugno parte uno sciopero passato sotto silenzio dai giornali borghesi: ben altrimenti si sarebbero comportati se invece di un’azione di massa si fosse trattato del solito commando di ‘giustizieri’…

 

CI pare scontato che le lotte più dure sono quelle che costano anche care agli operai: la strada dell’unità non è per niente facile…

INVECE…

… non ci si rimette una lira e si può sempre sperare che il padrone o il suo delegato capisca che tipo di musica è ed accordi i suoi strumenti di conseguenza .

A mala parata non si sono persi dei soldi in scioperi e qualcun altro oppresso al posto nostro magri reagirà in modo più adeguato del nostro, ed al nostro rientro dalla mutua troveremo condizioni di esistenza migliori.

La valvola di sfogo costituita dalla non perdita di salario, ma dalla sospensione temporanea del dominio del capitale, sposta la contraddizione dalla lotta all’organizzazione del lavoro al costo del lavoro.

(segue)