L'Avvisatore Alpino

 

Nel mese di giugno del 1882, per merito di Jean  Pierre Malan  e con i caratteri della tipografia L’Alpina, nasce a Torre Pellice L’Avvisatore Alpino.

Accompagnerà la vita della Val Pellice fino al 1926, per poi riprendere le pubblicazioni nel 1948 fino al 1951 con la chiusura definitiva.

Le sue colonne  daranno voce alla borghesia valdese tra Ottocento e Novecento con un’ottica non solo valligiana, ma di più ampio respiro. Il giornale, con classico stile ottocentesco,  si pone come strumento pedagogico e di formazione legato agli aspetti economico-sociali, all’informazione e al dibattito culturale.

Una linea per alcuni aspetti controversa: da un lato fedeltà alla monarchia, sottolineata come titolo d’onore della cultura valdese; dall’altro la posizione a favore del voto delle donne, sulla laicità della scuola e per dell’abolizione dell’istruzione religiosa.

Monarchico e liberale, sicuramente antisocialista. L’atteggiamento verso la classe operaia è moralistico, volto a comprendere le loro condizioni, ma non a tollerare la protesta, solerte nel richiamare al buon comportamento i vizi proletari, dall’ubriacatezza al gioco. Il giudizio sulle lotte operaie, sugli scioperi, nel caso specifico alla Mazzonis, era indicato come pericolo di sovvertimento dell’ordine sociale. Dura sarà la posizione del giornale contro le maestranze che occupano la Mazzonis nel 1920, durante il biennio rosso.

 

Le line culturali e politiche dell’Avvisatore Alpino erano nette: filosofia dell’individualismo, della fedeltà al Re e della trasformazione graduale in senso evoluzionistico della società borghese.

Ideologia che portava ad un’altra conclusione nella fase del colonialismo: viva la pace, ma vogliamo la guerra. Inno alla guerra come genesi purificatrice, di stampo marinettiano, unita  all’amor patrio di radice nazionalistica  con venature di razzismo. Così, anche al cospetto del macello della Grande guerra, l’interventismo era di casa, con gli strali lanciati contro il povero parroco di Babano di Cavour  arrestato per propaganda antipatriottica.

 

Anche quando si trattava della contesa politica le posizioni erano chiare; tra  il Giretti (radicale), e il   Gay (socialista) si sponsorizza il giolittiano Bosio. Quando la marcia su Roma si avvicina e lo squadrismo diventa imperante, il giornale, con la classica posizione dell’equidistanza dagli “opposti estremismi”, si schiera contro i rossi e i neri, ma, poi, alla fine,  vi è l’auspicio di cantare tutti insiemi  “Giovinezza Giovinezza”.

Sicuramente non adesione ideologica al fascismo, e  quest’ultimo era  visto come strumento e fatto d’ordine contro il sovvertimento bolscevico. Chiarezza fino in fondo: liberalismo e fascismo non possono fondersi, ci mancherebbe, ma alla politica di Mussolini  qualche merito bisogna pur riconoscerlo. Peccato  che tanto tatto, e qualche giudizio non gradito, portano nel 1926, IV anno dell’Era fascista, alla chiusura del giornale.

Rinasce nel 1948, sull’onda della fine del fascismo e della Resistenza, con posizioni liberalsocialiste, all’interno di quella cornice di progetto culturale di Giustizia e Libertà, sui  valori della laicità della scuola, dell’antifascismo e dell’Europa per poi  spegnersi definitivamente nel 1951.

Quello di Giulio Giordano è un bel libro: scritto con passione e rigore, e che offre un affresco di cultura, politica, storia e costume della Val Pellice, e indirettamente dell’epoca, tra due secoli.

 Lorenzo Tibaldo

  

Giulio Giordano, L’Avvisatore Alpino, Pinerolo, Alzani editore, 2006, pp. 192, € 17,00