Collateralismo sindacati-partiti
La storia dei sindacati “ufficiali” italiani è sempre stata
caratterizzata da un forte collateralismo sindacati-partiti.
Nel 1944 la CGIL veniva ricostituita, con una operazione di vertice, dai partiti
del CLN come sindacato unico dei lavoratori e nel 1948 con la fine dell’unità
antifascista si rompeva anche l’unità sindacale; la CGIL diventava il
sindacato di riferimento del PCI (con una componente minoritaria socialista) e
nascevano la CISL (legata alla Democrazia Cristiana) e la UIL
(socialdemocratici e repubblicani).
I vertici delle organizzazioni dei lavoratori venivano occupati da sindacalisti
di mestiere che nulla avevano più da spartire con la classe operaia e gli
interessi dei lavoratori venivano (allora ed in seguito) sacrificati alle
esigenze “politiche” del momento. Del tutto normale il caso di dirigenti che
dopo anni di onorato servizio ai massimi vertici del sindacato sono transitati
senza soluzione di continuità ad alti incarichi di Governo e/o nei partiti di
riferimento. Solo per citare alcuni casi paradigmatici di segretari confederali:
Luciano Lama (CGIL) poi deputato PDS, Giorgio Benvenuto (UIL) ed Ottaviano Del
Turco (CGIL) divenuti segretari del morente PSI (1993) e passati poi ad
incarichi di Governo, Franco Marini (CISL) ministro del lavoro e segretario del
PPI, Giulio Larizza (UIL) insediato alla presidenza del CNEL (1999), Sergio D’Antoni
(CISL), poi fondatore del partito Democrazia Europea (2001), Sergio Cofferati
(CGIL) entrato nella direzione DS (2001) senza lasciare la segreteria sindacale.
Questo modello perdura anche dopo il cataclisma che nei primi anni Novanta ha
profondamente mutato il quadro dei partiti italiani. Così negli anni
dell’Ulivo la CGIL appariva una sorta di sindacato ufficiale di Governo,
mentre la CISL (in crisi per la sparizione della Democrazia Cristiana) cercava
di guidare un’improbabile opposizione sindacale.
Con il Governo Berlusconi le parti si sono invertite. La CGIL si è
improvvisamente scoperta battagliera (vedi la mobilitazione della FIOM contro il
contratto ed il nuovo atteggiamento conflittuale della CGIL scuola in passato
strenuo difensore delle politiche ministeriali uliviste). Al contrario CISL e
UIL mandano segnali d’interesse alla nuova maggioranza.
Gli “Accordi di Luglio” e il modello neocorporativo
Forti movimenti di base che contestavano le burocrazie sindacali si erano
andati sviluppando fin dal 1969 ed avevano percorso tutti gli anni ottanta, ma
furono i famosi “accordi di Luglio” a segnare un punto fondamentale di non
ritorno.
Con l’accordo del 31 Luglio 1992 CGIL, CISL, UIL accettavano la
definitiva eliminazione della scala mobile (il segretario CGIL Bruno Trentin
sottoscrisse l’accordo... e il giorno dopo si dimise dicendo di aver firmato
solo per “salvare l’unità sindacale”).
Con il successivo accordo del 3 Luglio 1993 i sindacati confederali
ponevano le basi della “concertazione” suggellando così definitivamente la
loro scelta neocorporativa.
Utilizziamo qui il termine Corporativismo nella sua accezione fascista; per
indicare cioè un sistema di relazioni sindacali nel quale i sindacati dei
lavoratori rifiutano la lotta di classe e collaborano con le organizzazioni
padronali nel superiore interesse dell’economia nazionale.
Questo modello - dannoso per i lavoratori che si trovano di fronte a continue
svendite dei loro interessi - è particolarmente vantaggioso per le burocrazie
sindacali.
Un esempio per tutti: la riforma pensionistica Dini (1995).
La progressiva riduzione della copertura delle pensioni pubbliche viene
“compensata” con l’istituzione di fondi pensionistici privati. Per i
lavoratori dipendenti questi fondi pensione (detti “chiusi”) saranno gestiti
in regime di monopolio da consigli di amministrazione composti al 50 % da
rappresentanti sindacali e dei datori di lavoro.
Secondo stime del Sole-24 ore (7.2.99) il sistema dei fondi pensione
“chiusi” genererà a regime un flusso di oltre diecimila miliardi
all’anno. In pratica: di fronte al progressivo ridursi della copertura delle
pensioni pubbliche (ottenuta anche grazie all’arrendevolezza dei sindacati)
potremo farci una pensione privata (gestita da quegli stessi sindacati).
La CISL qualche tempo fa chiedeva addirittura l’iscrizione obbligatoria dei
lavoratori ai fondi “chiusi” (secondo il principio del silenzio-assenso).
Attualmente uno dei principali elementi di contrasto tra il Governo e i
sindacati è l’ipotesi di eliminare il monopolio sindacale sui fondi pensione
“chiusi” (dopotutto Berlusconi è anche assicuratore...). Se in questi
giorni (Dicembre 2001) il tasso di conflittualità dei confederali è aumentato
ciò deriva solo dalle esigenze della burocrazia sindacale di conservare il
proprio potere. Il Governo Berlusconi infatti, sviluppando una politica più
marcatamente neoliberista, appare meno sensibile alla pratica consociativa messa
a punto da quarant’anni di potere DC e poi ripresa dall’Ulivo.
Il sindacalismo di base
La contestazione nei confronti degli “accordi di Luglio” ha favorito lo
sviluppo di organizzazioni sindacali di base (popolarmente dette “cobas” dal
nome di una delle più famose). Tralasciando i particolari in questo momento i
principali sindacati di base operanti in Italia sono i seguenti:
- la CUB (Confederazione Unitaria di Base) è numericamente la più
importante. Costituita nel 1992 attraverso l’aggregazione di diversi
organismi preesistenti è oggi presente in quasi tutte le categorie. Tra i
suoi componenti: la Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti (FLMU), le
Rappresentanze Sindacali di Base (RdB) che hanno raggiunto il requisito
della “maggiore rappresentatività” in quasi tutti i comparti del
Pubblico Impiego, il SULTA (aeroporti), la CUB scuola, l’Unione Inquilini.
- La Confederazione Cobas nata recentemente dall’aggregazione di
alcuni organismi preesistenti intorno ai Cobas della Scuola. I Cobas della
Scuola sono portatori di un progetto di “sindacato-partito”
sostanzialmente derivante dalla storia dell’autonomia operaia e si sono
caratterizzati negli ultimi anni per un tendenziale collateralismo
(tattico?) con Rifondazione Comunista.
- L’Unione Sindacale Italiana (USI) storico sindacato libertario
fondato nel 1912, ha conosciuto un rapido sviluppo nei primi anni novanta,
ma è stata dilaniata nel 1996 da una scissione che ne ha fortemente ridotto
l’incisività.
- Rimangono poi (oltre ad altri minori) lo SLAI COBAS particolarmente
presente nel settore privato e l’UNICOBAS oggi presente quasi solo
nel comparto scuola.
- A queste vanno aggiunte alcune organizzazioni di categoria come il COMU
(che organizza i macchinisti delle ferrovie) a metà strada tra il
sindacato di base ed il classico sindacato autonomo.
I sindacati di base hanno ormai un seguito che incomincia ad essere
significativo, ma certo non giova loro la divisione in diverse sigle
concorrenti. Quali le cause ? In parte distinzioni di linea politica, ma
soprattutto personalismi (pare riproporsi la nefasta logica dei
“gruppuscoli” anni ’70), non mancano neppure incipienti processi di
burocratizzazione con la presenza di distaccati sindacali (questo anche nei
sindacati che si richiamano a principi libertari). Nonostante questi limiti
(propri d’altronde di tutte le organizzazioni “di massa”) è evidente
l’importanza di sviluppare questi nuovi organismi di base che costituiscono
una vistosa “crepa” nella muraglia della concertazione.
Diritti sindacali ? un’opinione...
L’attuale discussione (Dicembre 2001) sulla limitazione dell’art. 18
dello Statuto dei Lavoratori non deve far dimenticare che già ora il livello di
“democrazia sindacale” in Italia è bassissimo (e ciò grazie agli stessi
sindacati di stato, interessati a mantenere il monopolio della rappresentanza).
- Il diritto di sciopero nei “servizi pubblici essenziali” è fortemente
limitato dalla legge n. 83 del 2000 (che ha peggiorato la legge 146
del 1990).
- Il diritto di svolgere assemblee sindacali in orario di servizio non è un
diritto dei lavoratori in quanto tali ma è riservato ai soli sindacati
firmatari di contratto (nel privato) ed ai sindacati “rappresentativi”
(nel pubblico impiego).
- Le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) che hanno sostituito i Consigli
di fabbrica sono (nel privato) elette dai lavoratori solo per i due terzi,
mentre il restante terzo è di “nomina regia” (CGIL, CISL, UIL e altri
“firmatari di contratto”).
- Nel Pubblico Impiego le RSU sono integralmente elettive ma i loro poteri
sono fortemente limitati, dato che possono sottoscrivere accordi solo col
beneplacito dei sindacati “rappresentativi”.
- Alle elezioni sindacali possono concorrere solo sindacati legalmente
costituiti con atto notarile e non comitati spontanei di lavoratori.
- Tra l’altro nel Pubblico Impiego esistono norme restrittive (non ancora
applicate al settore privato) per stabilire quali sindacati siano
“rappresentativi”. E’ rappresentativo quel sindacato che raggiunga il
5 % come dato medio tra il numero degli iscritti ed i voti presi (a livello
nazionale) nelle elezioni per le RSU.
Una norma fatta apposta per stroncare i sindacati di base, ma che non è
riuscita a frenarne la crescita.
Attualmente la CUB ha raggiunto il requisito della rappresentatività in diversi
comparti del Pubblico Impiego e l'USI in uno (Ricerca).
Il vergognoso livello di mancanza di democrazia (anche solo “formale”) nel
settore sindacale è un ottimo motivo per non abbandonare la rappresentanza
delle classi lavoratrici ai sindacati concertativi e neocorporativi.
Mauro De Agostini
CUB scuola Udine