Intervista a:
Ferruccio Brugnaro

“L’uomo deve fare qualcosa. L’uomo può fare ogni cosa. Gli uomini possono tutto”.

Parole che sono frutto di convinzioni instancabili, parole che spesso, il poeta veneto Ferruccio Brugnaro, ripete. E’ stato uno degli animatori più convinti della rivista di scrittura operaia “Abiti-lavoro” e in tutte le sue opere poetiche (la più famosa rimane “Vogliono cacciarci sotto”, edita da Bertani nel 1975), la posta in gioco è l’integrità umana, la dignità, l’onesta morale, la coerenza. I suoi testi sono conosciuti anche in America, tradotti da Jack Hirschman, uno degli ultimi figli della Beat Generation.

Sulle mura di Orgosolo si possono ancora leggere alcune sue poesie, scritte negli anni’70. Ma quando, Ferruccio Brugnaro si è scoperto poeta?

«La mia poesia nasce di fronte all’insulto, all’umiliazione e all’emarginazione. La parola vuole farsi azione e non è mai separata dalla quotidianità. La scrittura poetica quindi, e il mondo che espongo, non poteva che coincidere con la mia esperienza lavorativa, agli inizi degli anni’50, quando cominciai a lavorare come operaio in una fabbrica di Porto Marghera. Un ambiente allucinante dove non c’era democrazia e il salario era da fame. Per oppormi a tutto questo ho iniziato a scrivere, tentando, in qualche misura, di unire alla parola l’azione».

Giovanni Garancini l’ha definita un “poeta scomodo”.

 

«Se per scomodo si intende chiunque cerchi di eliminare sfruttamento, morte, violenza, guerre e umiliazione, allora va bene, sono un poeta scomodo e sono orgoglioso di esserlo».

Che senso ha oggi parlare di lotta di classe?

 

«Nonostante l’annaquamento che c’è in giro e il tentativo di dire che sì, c’è stato un superamento del socialismo, non c’è via di uscita: c’è il padrone e c’è l’operaio e ci sono tutte quelle condizioni materiali che, di fatto, fanno esistere la lotta di classe».

E dell’America che mi dice…

 

«Sono stato invitato lo scorso anno, in aprile, in occasione della traduzione, curata da Hirschman, del volume poetico “Fist of sun” (Curbstone Press). Ero titubante nel compiere quest’impresa, ovvero andare a leggere nelle università americane, nei circoli ricreativi, nelle biblioteche. Invece l’impatto è stato straordinario. Non dimenticherò mai il meeting alla California States University, dove ho incontrato migliaia di studenti con cui ho dibattuto per quattro ore o l’incontro con Ferlinghetti, che ha apprezzato il buon esito della pubblicazione americana»

Dopo l’esplosione collettivistica e impegnata degli anni’70, abbiamo assistito ad un riflusso nella strada maestra della tradizione, recuperando, in qualche misura, il mito come dimensione coincidente della poesia stessa. Pare che questa tendenza persista.

«C’è, di fatto, ancora una dimensione intimista, ma non durerà a lungo perché c’è già qualcosa di nuovo. Il ripiegamento interiore, poeticamente parlando, è una delle tante condizioni imposte, più o meno occultamente, dalla classe dei padroni».

Per lei quindi fare poesia è esclusivamente uno strumento di lotta sociale. Si può limitare a questo la scrittura in versi?

«No, certo. Per me fare poesia è opposizione a tutto ciò che implica uno sfruttamento, innanzitutto, nei sentimenti, prima che nelle condizioni economiche. Ma è ovvio che la limitazione della prima è funzionale al raggiungimento della seconda».

Dall’operaio all’uomo, nella sua globalità di esperienze, sentimenti e valori: è stato questo lo sforzo di “Abiti-lavoro”?

«Lo scopo era proprio quello di limitare la frattura tra vita e poesia. Anni indimenticabili in cui questo progetto, per i poeti italiani di allora, era progetto comune, così come hanno dimostrano le mille altre iniziative che prendevano forma nelle riviste letterarie. “Abiti-lavoro” era legata alle questioni più grandi della vita: la paura di vivere, la paura della solitudine, la paura della morte. Perché la poesia deve essere una grande lotta per la conquista della felicità».

 

Mary B. Tolusso

 

 

 

"L'area di Broca", XXVIII, 73-74, 2001

 

TERRA

 

Ferruccio Brugnaro

Porto Marghera 1973
 

(...) Penso che sia impossibile esprimere, far conoscere compiutamente la situazione estremamente drammatica che viviamo ora dentro e fuori delle fabbriche a Porto Marghera. Credo che sia difficile se non si tocca con mano, giorno e notte, capire fino in fondo quanto bruci e sia dura questa nostra realtà (...).
Basta pensare all'assillo snervante cui siamo sottoposti attraverso carichi, ritmi di lavoro che vengono aumentati quotidianamente sempre di più. Occorre produrre, produrre e nient'altro.
   Basta pensare all'angoscioso problema della nocività che ci mette sempre più in pericolo. Avrete certamente sentito parlare delle maschere antigas a Marghera, come se le maschere risolvessero qualcosa...
   La più grande farsa del secolo sulla nostra pelle!
   Entriamo nelle fabbriche tutti i giorni, ma non sappiamo più se dopo le otto ore usciamo ancora vivi.
   Nel corso di un anno in sole due fabbriche chimiche (Petrolchimico n. 2 e Montedison Fibre Ex Chatillon) sono stati colpiti da intossicazione più di 200 operai per fughe di acidi micidiali quali fosgene, cloro, metil-acrilato, anidride solforosa, acido cloridrico.
   
Non c'è giorno in cui non salti fuori il malato, il distrutto, il morto.
   Questa realtà sta diventando velocemente anche la realtà di tutta la popolazione circostante Porto Marghera, quanto meno nel raggio di 15-20 Km.
   È terribile vedere come è costretta a vivere la gente nei quartieri addossati alle fabbriche. (...)
   La situazione è preoccupante, anche se i padroni, la Montedison e il Governo tentano in mille modi di sdrammatizzare e ricattarci col posto di lavoro; in altre parole ci dicono quotidianamente che il progresso comporta questi costi e quindi, o così o disoccupazione.
   Non vi dico poi del lavoro a turni giorno e notte.
   Uno di noi, dopo alcuni anni, non si sente più niente. Viene talmente scombussolato nelle sue funzioni fisiche più elementari per cui presto gli viene meno ogni volontà, ogni capacità di reagire. È continuamente sbattuto dal giorno alla notte che fa difficoltà enormi per raccapezzarsi a vivere. Dico questo perché sono dentro a questa terribile trappola d'acciaio da quasi 18 anni.
   Guai se non ci metteremo a lottare duro per liberarci presto da questa esperienza tutta contro natura. (...)
gennaio 1973

(da "Salvo imprevisti", numero unico in attesa di autorizzazione, febbraio 1973)
 

Nota
Dopo quasi trent'anni da quanto scriveva Ferruccio Brugnaro, aprendo (con questa sua drammatica lettera) il fascicolo iniziale di "Salvo imprevisti", nel 1973, una sentenza vergognosa, incredibile ha riaperto (e terribilmente chiuso il 2 novembre 2001) la tragedia umana ed ambientale che si è consumata a Porto Marghera, Italia. Un'altra "faccenda" italiana. Un ennesimo scandalo. Che è difficile commentare adeguatamente.
 

Tutti assolti al processo per le morti al petrolchimico

Lavoravamo tra micidiali veleni
               sostanze terribili
                  cancerogene.
Non affermate ora
               furfanti
                  ladri di vite
        che non c'era alcuna certezza
        che non c'erano legislazioni.
      Non dite, non dite che non sapevate.
      Avete ammazzato e ammazzate ancora
                  tranquilli indisturbati
            tanto
               il fatto non sussiste.
I miei compagni morti non sono
                  mai esistiti
               sono svaniti nel nulla.
            I miei compagni operai
                  morti
               non possono tollerare
                  questa vergogna.
Non possiamo sopportare
               questo insulto.
            Nessun padrone
                nessun tribunale
          potrà mai recingerci
              di un così grande
                infame silenzio.

(5 novembre 2001)
 


 
Inizio

Bracciante, raccoglitore di stracci


Bracciante, raccoglitore di stracci
operaio degli altiforni
pescatore
venditore abusivo di crostacei.
Mio padre
era così
adoratore del sole, adoratore
delle balene
silenzioso
fanatico del mare.
Non ha mai parlato
con nessuno
analfabeta
credente solo nella vita
solo nel suo trascinare
inquietante
dai primi cenni dell'alba
ai tramonti fondi.
Mio padre
così come è stato dentro
in questo mondo torbido
senza chiedere niente a nessuno
stanotte è sceso nel tempo
profondo
nei cieli grandi che lui guardava
per ore e ore
negli universi incandescenti e amati
con dura segretezza.
Non sono triste
sono felice
contento
me lo risento dentro tutto
irruentemente
ora
col suo canto dalla nostra cucina nera
e senza finestre.
Il suo canto, più che un canto
il suo era ed è
un grido, un urlo selvaggio
denso
che io rilancio con tutta
la forza delle ferite
di un amore a brandelli
contro queste ore
di padroni affamati di sangue
di retate
contro le sbarre pesanti dell'emarginazione
contro le foreste di un dolore
e una solitudine senza fine.

LABORER, RAGPICKER

Laborer, ragpicker
blast-furnace worker,
fisherman,
illegal seller of shell-fish.
That was
my old man-
a sun-worshipper, a lover
of shoals,
a silent
fanatic of the sea.
He didn't talk much
to anybody,
was an illiterate
who believed simply in life
and its disquieting
thrall
from the first sign of dawn
to sunset
That's the way my father
was inside
in this murky world
asking nothing from nobody.
Last night he went down to deep
time,
into the big skies that had watched over him
hour by hour,
into the incandescent and loving universes,
with a stiff secrecy
I'm not sad
I'm happy
content
hearing him impetuosly
inside everything
now
with his song from our dark, windowless
kitchen.
His song that was more than a song
was a
cry, a wild, dense
howl
that I toss back with all
the power of the wounds
of a love in tatters
against those hours when
the bosses were hungry for our blood
our hauls
against the heavy bars of marginalization
against the forests of a sorrow
and a loneliness without end.


NON SCAPPARE, NON SCAPPARE

Mi si è posata su una scarpa
una farfalla
rossa azzurro scuro
non me ne ero neanche
accorto
la scopro ora con meraviglia
con sorpresa
sono su una terrazza squallida
a diversi
metri di altezza
tra fabbriche puzzolenti
molti acidi
molta ruggine e silenzio
la riguardo con emozione
non ho coraggio
di muovermi
vorrei tanto
piegarmi per toccarla
per stringerla
sento una grande
dolcezza
non sento più
stanchezza
paura
il paesaggio di caldaie
di colonne d'acciaio
di nere bocche
di morte
è finito
lontano lontano.
Non scappare, non scappare
continua a vibrare
a muoverti
nel mio sangue
nel mio corpo.
Non scappare, ti assicuro
ti ascolto
non respiro neanche
quasi
non scappare non scappare
ti conosco
già altre volte
mi sei
sfuggita
dalle mani
dal cuore.
Non scappare ora.
Divoreremo insieme
questo inferno e questo autunno
tesseremo insieme
altre terre
e altri tempi.

Resta ora, cara, con la pace
delle tue ali, dei tuoi colori
vivi e intensi
col tuo respiro
che nessuno
può schiacciare.
Resta cara
con i tuoi segreti
ineguagliabili
col peso
dolce
del tuo amore.


BRACCIANTE, RACCOGLITORE DI STRACCI

Bracciante, raccoglitore di stracci
operaio degli altiforni
pescatore
venditore abusivo di crostacei.
Mio padre
era così
adoratore del sole, adoratore
delle balene
silenzioso
fanatico del mare.
Non ha mai parlato
con nessuno
analfabeta
credente solo nella vita
solo nel suo trascinare
inquietante
dai primi cenni dell'alba
ai tramonti fondi.
Mio padre
così come è stato dentro
in questo mondo torbido
senza chiedere niente a nessuno
stanotte è sceso nel tempo
profondo
nei cieli grandi che lui guardava
per ore e ore
negli universi incandescenti e amati
con dura segretezza.
Non sono triste
sono felice
contento
me lo risento dentro tutto
irruentemente
ora
col suo canto dalla nostra cucina nera
e senza finestre.
Il suo canto, più che un canto
il suo era ed è
un grido, un urlo selvaggio
denso
che io rilancio con tutta
la forza delle ferite
di un amore a brandelli
contro queste ore
di padroni affamati di sangue
di retate
contro le sbarre pesanti dell'emarginazione
contro le foreste di un dolore
e una solitudine senza fine.


L'HO SENTITO IMPLORARE CON DUREZZA

L'aria oggi puzza di uova marce è infetta
di tetraetile idrocarburi catrami.
Ho raccolto dal cemento ora un minuscolo uccello
rosso grigio
tutto tremante ha gli occhi quasi chiusi
e il becco pieno di schiuma verdastra.
Forse ha mangiato
qualche granulo
di zolfo
forse qualche altro veleno
terribile.
L'ho sentito implorare
la mia mano
con durezza
l'ho sentito piangere
a dirotto
come un cielo
scrosciante
senza nessuna
risposta.
Dentro la mia mano
ho toccato con ampiezza
in silenzio
tutto il dolore
lo spegnersi
e il vivere
straziante
inesorabile.
Mi è stata gettata nel profondo
oggi
una domanda d'amore
di luce
che non può essere
nascosta da nessuna
parte.
Ho scoperto oggi
tutto un mondo
di uomini fiori animali
ho scoperto
resistenze
tenacie
gioie segrete e pazze
che non si sottometteranno
neanche se bombe e missili
cadranno
da tutte le latitudini
più fitte
della neve
nelle notti
d'inverno.


IL FOLTO GRUPPO DI COMPAGNI

Il folto gruppo di compagni
di fabbrica non c'è
quasi più.
Il padrone indisturbato
ha buttato fuori
per primi
Beppi e Marietto
incendiari.
Con forza poi è toccato
a Gianni e Sergio.
Renzo e Toni
sono morti. Altri si sono
persi politicamente in questi anni
ora stanno con un piede per parte.
Non dico poi di come si sono
vendicati di Olindo
il compagno più caro
e più puro.
Siamo rimasti ora io, Fulvio
e Mario
e qualche altro
radici amare per i padroni
radici dure, radici che ricrescono sempre.



IL DECENNIO È NOSTRO, SÌ, È NOSTRO
Per Franco Basaglia

Dappertutto
si grida stanotte
che un decennio
sta morendo
un decennio
amaro
brutto
terrorista.
padroni in testa ad alta
voce
fanno
tremare il cielo e la terra
invocano
la disciplina
l'ordine parlano di necessità di guerra.
I servi in un grande codazzo
illustrano tutti i mali di questi anni
i misfatti
gli sfaceli.
Nessuno che dica niente, niente
Del cuore
delle nostre lotte
che entri nei giorni
dei nostri scontri
accesi
da una calca sterminata
di primavere.
Nessuno che spenda una parola
delle croste di lebbra.
che abbiamo graffiato via
a volte
in ginocchio sanguinanti
dal corpo triste
di questo mondo.
Nessuno che guardi, che metta
mano
sotto terra
nei suoi dolci segreti
per sentire
quello che abbiamo affidato
ciò che abbiamo
nascosto
per il futuro in ogni angolo, lungo ogni strada.
Il decennio è nostro
è vero, sì, è nostro
ci siamo noi dentro
in ogni sua piega
non toccatelo
non odiatelo tanto
abbiamo speso e dato
quasi tutto
felici
agguerriti per la gioia e la vita.


QUELLI CHE PERDONO SEMPRE

Quelli che hanno sempre perso
in ogni età della terra
e in ogni stagione
sono
le mie carni
le mie ansie
i miei stupori.
Quelli che hanno perso
e perdono
in tutti i tempi
hanno i miei stessi passi
irrevocabili
il mio duro sguardo
la mia solitudine.
Quelli che perdono stritolati
da inesistenti e furbe
verità
dentro eterne carceri
e interminabili inverni
sono
le mie ossa
la mia arma di opposizione
il mio dito bruciante
puntato
inchiodato
sulla morte
Con questi io sono nato
e sono sempre vissuto
e vivo
con quelli che perdono
sempre
con quelli che perdono
sempre di più
che sono trascinati
a perdere con terrore
che pagano tutto
che spendono tutto.
Con questi sono cresciuto
e intendo restare
perché esploda
presto
la luce
che non si piega
che non si inginocchia più
perché salti definitivamente
il gelo
di ogni buio angolo
di ogni dolore
ogni guerra
perché
si apra presto un'altra veduta
del cielo
perché
si vuoti questo mondo
di tanta acredine
perché si aprano
pianeti dolci
stelle dolci
perché si aprano
finalmente
i giorni
i nostri giorni
la terra vera
le nostre strade calde
interminabili.


MALVAGIO, SONO MALVAGIO E BESTIA

Mi accorgo ancora del biancospino
che fiorisce
e della rondine che ritorna.
Malvagio, sono malvagio
e bestia.
Non dimentico, non posso dimenticare
il crescere dell'erba
il tempo imbandierato di fiori
e di nidi il profumo del mondo.
Malvagio e bestia
selvaggio
incorreggibile.
Mi batterò per sempre
per questa terra,
mi batterò per sempre
per questi pianeti
fino l'ultima ferita
fino l'ultimo abbandono
fino l'ultima
angosciosa amputazione.
Malvagio
mille volte malvagio
bestia senza briglie selvaggio.
Dentro una storia di morte
dentro uno spazio
di morte
il mio lavoro di sole
non avrà mai fine.



IL MIRACOLO DELLA VITA

Ogni giorno
ogni mezzogiorno
Armando sbraitando
con la sua borsetta di pane
raccolto in mensa
va verso il piazzale
davanti la fabbrica.
I gabbiani arrivano
in picchiata
da tutte le parti a migliaia e migliaia.
Armando in mezzo ai gabbiani
sbatte le mani
gesticola in aria
non si sa cosa dica
chiama, discorre.
Armando in breve
non si vede
quasi più
tutto bianco
in mezzo una neve
che vibra dolcissima
uno squarcio
di primavera
improvviso.
Armando si allontana poi, fa cenni
borbotta, bestemmia
rientra nella gabbia della fabbrica.
Nella muta gabbia
nel nostro sogno
stravolto
il miracolo della vita
non si stanca
di ripetersi anche
in questi giorni
più grigi e scuri dell'inferno.


GIOVANI NUOVI ASSUNTI

Come eravamo belli
un tempo.
Forti decisi.
Eravamo disponibili sempre
generosi
belli
tanto belli.
Non diventate
come noi.
Non diventate vecchi
innanzi tempo
brutti e senza voglia di niente.


IL POPOLO KURDO UN GIORNO

La morte in questi giorni
spadroneggia sarcastica
su tutta la terra.
Il cuore dei fanciulli kurdi
in ginocchio in queste ore
brucia
in un martirio
e una solitudine
crudeli.
Dove ci nasconderemo un giorno
quando il popolo kurdo
scenderà a valle
nelle nostre città
sulle nostre strade?
Balbetteremo ancora con arroganza
l'ordine internazionale
la convivenza, le regole civili?
Dove ci rintaneremo, come schiveremo
la vergogna...
Il popolo kurdo un giorno
scenderà dalle montagne
col peso dello sterminio
nell'anima
con l'angoscia di queste notti
terribili e queste nevi
con il terrore glaciale
dei fucili puntati
le bombe sul capo.
Come potremo menzionare ancora
l'amore
come potremo menzionare ancora
la vita.
Non ci sarà alcun riparo
non troveremo alcun
riparo.
Il popolo kurdo tornerà a valle
un giorno...
Non troveremo più, non troveremo più
chiarimenti spiegazioni
da nessuna parte.

 

 

Ferruccio Brugnaro
da "Le stelle chiare di queste notti"

Nota biografica

FERRUCCIO BRUGNARO

   

Ho cominciato giovanissimo a lavorare come operaio a Porto Marghera. Prima, per alcuni anni, in una piccola fabbrica metalmeccanica e successivamente, per un lunghissimo periodo, in un grande complesso chimico.I giorni in fabbrica erano difficilissimi. Percepivo inizialmente, nei primi anni '50, un salario di settemila lire alla settimana; il lavoro in turno era massacrante, la salute era ogni giorno in forte pericolo, era impossibile vivere...Davanti a tutto ciò la mia rabbia era grande e la voglia di ribellione indescrivibile.Comincio così ad impegnarmi col movimento sindacale di fabbrica su tutti i problemi che ci rendono dura la vita e comincio a battermi con tutto me stesso contro uno sfruttamento intollerabile.Da dentro questa condizione umana e sociale inizio a scrivere anche le mie prime poesie che io definisco ancora oggi "spezzoni sanguinanti di vita", "strumenti di lotta".Nei primi anni '60, con entusiasmo e speranza,mando a diverse riviste letterarie e a scrittori e poeti i miei primi lavori.Salvo qualche eccezione, qualche piccolo riconoscimento, il muro che incontro è indicibile... C'è chi vorrebbe correggere i testi perche' troppo duri, troppo collegati al sociale, troppo politici... C'è chi è anche disponibile a pubblicarli, ma rivedendoli completamente...Si fa strada così in me la convinzione profonda che la mia non è la scrittura del mondo al quale chiedo spazio, ma è la scrittura di un' altra condizione di vita, di un altro mondo e un'altra storia.Verso la metà degli anni '60 alcuni miei compagni di lavoro mi suggeriscono di ciclostilare le mie poesie come i volantini sindacali.Ho un po' di titubanza, ho un pò di paura di fare cio' che mi propongono perchè essendo io un organizzatore, un protagonista,essendo quello che elabora e propone obiettivi e lotte, temo che la cosa venga fraintesa dalla stragrande maggioranza dei lavoratori.Temo insomma di essere considerato quello che approfitta del suo ruolo di dirigente del movimento per far passare le proprie cose.Conosco bene quanto sia grande la diffidenza operaia verso un certo mondo intellettuale...Ma una mia compagna di lavoro,un giorno,in una animata discussione, mi disse che il mio timore non aveva senso in quanto non vedeva alcuna separazione tra la mia scrittura e le azioni concrete che portavamo avanti in quei giorni. Mi fece notare con forza che le mie poesie erano parte integrante del mio comportamento quotidiano, erano parte integrante delle nostre ansie, delle nostre tensioni ideali,delle nostre rivendicazioni di uguaglianza, di giustizia sociale, di libertà. Le tue poesie - mi grido' a un certo momento -con fermezza- sono tutto il nostro sogno.

Questa ultima affermazione mi colpì profondamente...Così nasce a Porto Marghera nel 1963 la poesia al ciclostile,il volantino di poesia.La prima,contro la guerra in Vietnam,viene affissa a tutte le bacheche dei reparti,nelle mense,a tutti gli ingressi della fabbrica.Ci fu molta meraviglia,ci furono accese discussioni,fu un'accoglienza favorevole generale...

Ebbi subito il riscontro concreto che era vero che i miei compagni operai sentivano come propria questa iniziativa,sentivano parte di se stessi questa scrittura...Vennero i grandi scontri del '68, io ero sempre più legato e dentro al movimento operaio e continuavo a lottare e a scrivere.Dapprima come singoli volantini, poi in fascicoli di dieci quindici, le mie poesie passano di fabbrica in fabbrica,di quartiere in quartiere.Ricordo il primo volantinaggio davanti le fabbriche di Porto Marghera con le poesie che andavo scrivendo dentro le lotte.

Ricordo il volantinaggio con Mario e Sergio, due compagni di fabbrica, della poesia ironica-sarcastica "La crisi, c'è la crisi" distribuita in 30 mila copie nelle maggiori fabbriche italiane tra cui la Fiat Mirafiori, il Petrolchimico di Brindisi, l' Alfa di Arese.Mi è impossibile dire oggi la gioia immensa che provavo...Sentivo ,dall' emozione che mi saliva dal profondo, che stava avvenendo qualcosa di nuovo storicamente...Ho presente le diffusioni capillari nelle grandi manifestazioni operaie ,nei cortei, nei picchetti,nelle assemblee...Suscitavano sempre molto interesse e provocavano a volte anche intense discussioni.Un operaio che scriveva poesie...C'era un visibile misto di stupore e di orgoglio nei miei compagni.Ho molto vivi nella memoria i numerosissimi perché,le tante domande sul significato che io davo al mio fare poesia.Ed io a dire loro,a ribadire loro con decisione che dovevamo prendere anche la parola,che la parola è un'arma forte, che dovevamo scrivere noi quello che sentiamo dentro, che saremmo stati più forti insomma se fossimo stati capaci di dire, di raccontare noi la nostra vita e la nostra storia.La poesia al ciclostile entra nelle antologie scolastiche,entra nelle università ed è rottura con la letteratura ufficiale.La cultura dominante cerca di marchiarla come letteratura selvaggia,cerca di emarginarla come fenomeno transitorio.Si cerca di minimizzare la rottura,si cerca di ignorarne con arroganza il contenuto profondo di lotte di milioni di donne e di uomini che non dovrebbero tentare di entrare in certi ambiti...Sull'esperienza di Eugenio Vitali,un artigiano di Ravenna autore del " libro da affissione",nascono anche i manifesti di poesia che vengono affissi nelle fabbriche,nelle scuole,nelle grandi città italiane.A metà degli anni '70 c'è tutto un crescendo di scritture,un movimento dal basso straordinario.Non sono più isolato,la mia voce non è più sola.C'è Vincenzo Guerrazzi da Genova, Tommaso di Ciaula da Bari, Sandro Sardella da Milano, Luigi Di Ruscio dalla Norvegia, Franco Cardinale da Napoli...C'è tutto un fermento di riviste,fogli,fascicoli ciclostilati che rivelano una forte determinazione di impossessarsi della parola.In questo contesto, agli inizi degli anni '80, su iniziativa di Sardella, Garancini e altri tra cui il sottoscritto, nascono a Milano i quaderni di scrittura operaia "abiti-lavoro" che diventano subito un riferimento concreto per chi, dalle aree più marginali ed emarginate della società, tenta di far sentire la propria voce anche con la scrittura.C'è chi ha preso come moda,poi abbandonata,la comunicazione attraverso il ciclostile,il manifesto,la fotocopia,il fax.Per me non è mai stata una moda.E' stata sempre comunicazione libera da qualsiasi condizionamento, da qualsiasi padrone...E' stato sempre un tentativo di dare alla vita, a tutta la vita una possibilità in più per sfuggire a qualsiasi gabbia, a tutte le gabbie.Vedo ora con grande interesse per un verso i Centri Sociali e per un altro verso Internet, che mi sembra possa rappresentare una grande opportunità universale di diffusione libera del sentire umano.Sento queste due cose, diversissime fra loro, ma potenzialmente in grado di sfuggire all'omologazione generale,innestarsi,crescere, proseguire molto da vicino e dentro al lavoro di scrittura,di nuova cultura che abbiamo portato avanti in questi ultimi decenni. Credo poi che Internet possa essere uno strumento formidabile di incontri e avvicinamenti impensabili di immagini, di pensieri e di corpi.Credo insomma che se Internet riuscirà a sfuggire al pericolo speculazione, di sfruttamento, di profitto,potrà diventare senz'altro uno dei canali di risalita di quella immensa voce umana inchiodata ai margini e nel fondo senza tempo e senza storia.

Ferruccio Brugnaro

Ottobre 1997