Rileggo e ricopio alcune pagine del ciclostilato ‘la voce del padrone’degli anni ’70, ci sono qua e là degli spunti sempre validi per non farsi troppe illusioni specialmente nei momenti bassi della classe.

EDITORIALE (dicembre ’73)

In questo periodo assistiamo ad un calo generalizzato della lotta di classe. La classe operaia non ha fiducia nelle proprie capacità di lotta e nei risultati che questa lotta può dare. I padroni, con l’uso dell’inflazione riescono a vanificare le conquiste salariali. Parte della classe operaia non ha mai creduto utile lottare in fabbrica e di conseguenza ha delegato ad altri la soluzione dei propri problemi. Delega di volta in volta i delegati, il sindacato nel suo complesso. Non si riconosce quindi nel movimento sindacale, ma ritiene il sindacato un centro di potere. Può poi sempre dire che il sindacato e i delegati non fanno gli interessi della classe operaia… Nel dire questo – e non lo trova strano- si trova a fianco i padroni nel loro complesso.

I padroni, dal canto loro, ci sguazzano. Di delega in delega, la classe operaia finisce per affidare al suo più grande nemico, la borghesia, la soluzione dei problemi contingenti.

Rifiuta di utilizzare l’arma che ha nelle sue mani: lo sciopero come insubordinazione agli interessi della borghesia. Subisce in fabbrica l’intensificazione dei ritmi, la repressione. Ci riferiamo, naturalmente a quella parte di classe operaia di cui sopra, che in questi giorni va ingrossando le proprie fila.

Come alternativa all’attuale situazione di riflusso, noi proponiamo queste riflessioni sui temi più scottanti, della fase decisiva che stiamo vivendo.

Siamo ben lontani dall’arrogarci il diritto e l’autorità di "pensare in nome della classe operaia" e di sostituire l’opera di elaborazione e di studio che, secondo noi, sono compito di ogni avanguardia della lotta in fabbrica. Crediamo che sia ora di smetterla, una volta per tutte di ascoltare. E’ ora che le avanguardie di fabbrica parlino. Queste nostre riflessioni che proponiamo di seguito non sono la "LINEA", ma uno stimolo perché le avanguardie ricerchino la "LINEA" con determinazione e la costruiscano giorno per giorno nello scontro di classe contro i padroni, nel dibattito, nel confronto, nel superamento della fase di semplice incazzatura, nel lavoro dentro un’organizzazione proletaria che rifiuti di delegare ad altri la soluzione dei problemi della classe operaia e delle sue avanguardie coscienti.

Diamo perciò un contenuto reale allo slogan dei compagni del MIR che facciamo nostro: COMBATIR LOS PATRONES COMO SEA E DONDE SEA:

ES LA UNICA LEY QUE TENIMOS NOS EXPLOTADOS!

 

CHE SI DICE SUL SINDACATO

La nascita di sindacati la si ritrova in Inghilterra nel 1821 (Trade Unions) e in Italia nella prima metà dell’800 con il manifestarsi dei primi scioperi fra i tipografi di Torino e i facchini del porto di Genova. Allora le organizzazioni sindacali avevano il compito di assistere i lavoratori diventati soci attraverso il pagamento di una quota (casse di mutuo soccorso) quando si ammalavano, subivano infortuni o venivano licenziati. Il momento di agitazione sindacale fu successivo a quello della creazione del meccanismo di difesa.

Andiamo a vedere cos’è il sindacato oggi. Esso mantiene inalterata come allora la sua funzione di agente contrattuale della forza- lavoro. Cioè va a trattare col padrone le condizioni in cui i lavoratori intendono vendere la loro capacità lavorativa. Il sindacato è dunque interessato a contrattare la vendita della forza lavoro in condizioni sempre più favorevoli.

QUANDO IL SINDACATO E’FORTE?

Se c’è disoccupazione o minaccia di licenziamenti e di cassa integrazione come in questo momento, la forza contrattuale del sindacato diminuisce. Se il padrone ha bisogno di manodopera, il sindacato può imporre condizioni di lavoro più favorevoli alla classe operaia e il padrone deve mollare di più.

Oggi l’insieme dei lavoratori che si organizzano tra di loro per migliorare le condizioni della classe lavoratrice è il sindacato, e il sindacato è lo strumento che i lavoratori si sono dati per le loro rivendicazioni. Quando diciamo che il sindacato è uno strumento vogliamo dire che ci serve e ci stiamo dentro, non per aver la copertura come dice qualche maligno,. Ma unicamente perché non crediamo e non intendiamo fare un sindacato alternativo.

Però va detto chiaro a noi stessi e agli altri che non lavoriamo per la maggior gloria del sindacato o per accrescere il prestigio di qualche corrente sindacale contro un’altra (cioè la corsa delle magliette della FIM, della FIOM o della UILM), ma perché ci interessa lo sviluppo del dibattito politico nella classe operaia.

Non snobbiamo la funzione del sindacato di contrattare il prezzo della forza-lavoro, ma intendiamo dimostrare a noi stessi e agli altri che l’emancipazione piena della classe operaia non si raggiunge in armonia coi padroni, ma vogliamo dimostrare che con loro non abbiamo nessun interesse in comune.

Essere COMUNISTI vuol dire dimostrare la validità di queste affermazioni nella medesima organizzazione di lotta in cui devono trovare posto anche quei lavoratori che lottano per strappare dei miglioramenti al padrone senza porsi il problema politico di lavorare per abbattere il suo potere.

I comunisti non sono per la collaborazione coi padroni, non sono per la tregua, ma per la lotta fino alla costruzione di una società dove non siano necessari i padroni.

I comunisti devono agire nel sindacato. Secondo noi due modi sbagliati di agire nel sindacato sono:

 

  1. fare i giudici e dire che il sindacato è venduto e traditore degli interessi della classe operaia.Il che, per noi, è solo una scusa come di chi dice che è disposto a fare la rivoluzione ma non lo sciopero tutti i giorni...e che poi,comunque…

2) Non essere né comunisti né col sindacato che è la comoda posizione diffusa tra i cani sciolti e i lavativi vari che sono d’accordo con tutti e con nessuno pur di non addossarsi responsabilità…

3) Siamo per l’unità sindacale, ma siamo più convinti che fare la grande famiglia non serve a rendere più combattiva la classe operaia. L’unità operaia non si raggiunge appoggiando questa o quella corrente delle 3 Confederazioni sindacali perché esse esprimono interessi di strati di lavoratori anche contrastanti fra loro. (Nella CISL forte è la presenza degli statali e del pubblico impiego, settori amici di SCALIA, noto sostenitore della regolamentazione del diritto di sciopero; nella CGIL non è debole l’influenza dei piccoli industriali…)

L’unità operaia si raggiunge secondo noi su un programma politico che unifichi tra di loro i proletari (edili, chimici, metalmeccanici, tessili…) e che instauri un giusto rapporto di alleanza con altri strati sfruttati NON proletari .L’alleanza sarà ‘giusta’ se a guidare lo schieramento e a egemonizzare la lotta saranno gli interessi del PROLETARIATO e non dei medici, dei piccoli industriali e dei commercianti… Quanto ai cosiddetti ‘ceti medi’ dobbiamo sforzarci di chiarire che per loro non esiste avvenire: o con noi, per ritrovare dignità, o con i padroni, per godere le briciole del grande capitale, per accontentarsi di essere delegati a sfruttare i proletari in quei settori dove per ora la borghesia non ritiene ancora di dover intervenire per appropriarsi di quelle briciole che adesso distribuisce ai ‘ceti medi’ sperando di utilizzarli come serbatoio durante le elezioni.

Ma in questa battaglia di lunga durata e per questo progetto di unità operaia e di alleanza popolare occorre organizzarsi in partito e non soltanto in sindacato.

Sul problema del partito non bastano quattro definizioni da catechismo. Anche se non si tratta di una questione semplice noi vogliamo provare ad affrontarla in uno dei prossimi numeri.

 

 

LAVORARE STANCA: la dura lezione degli opuscoli. (gennaio 74)

La scelta iniziale di usare gli opuscoli come strumento di lavoro voleva dire:

 

1 Dobbiamo far sentire la nostra voce sugli argomenti più importanti;

2 Gli opuscoli devono essere frutto di dibattito interno

3 Gli Argomenti devono essere trattati nel modo più completo possibile

4 Devono essere di stimolo alla discussione

Questo dentro il Circolo.

All’esterno la nostra azione doveva essere basata sul lavoro di militanti: suscitare il dibattito sugli argomenti, verificare quali erano gli interessi della parte di classe operaia di cui facciamo parte e trarne le conseguenze per ‘aggiustare il tiro’. In altre parole : raccogliere le esigenze della classe operaia, sistematizzarle e riproporle in forma di posizioni il più possibile unificanti ed avanzate.

Per fare ciò era indispensabile che il dibattito al nostro interno fosse tale da permettere una effettiva appropriazione dei temi da parte dei militanti. Si è riusciti a fare questo fino a quando i temi in discussione sono stati limitati anche se non semplici (esempio –premio collettivo, orario, salario ecc).

Purtroppo però, da un lato l’urgenza di alcune situazioni e la loro complessità, dall’altro la fase calante dell’impegno dei militanti, hanno cambiato le carte in tavola.

Per impegno naturalmente noi intendiamo l’impegno al dibattito e all’analisi, non solo l’impegno alla diffusione degli opuscoli stessi. Mentre cresceva la diffusione (con punte massime di 800 copie) diminuiva il lavoro di ritorno, stavamo diventando dei giornalisti.

Quali sono le cause che hanno portato a questa situazione?

*all’interno del circolo il dibattito si poneva a livelli che in pratica tagliavano fuori gruppi di compagni dalla discussione;

*venivano introdotti, da parte di alcuni compagni, argomenti e posizioni che i più ritenevano estranei alle nostre capacità e ai nostri interessi immediati;

*la situazione di riflusso, prevista ma non valutata in modo corretto

*il rapporto di delega ai compagni considerati più bravi (ma alle volte solo più loquaci);

*la politica, considerata attività complementare, per cui interrogarsi di politica due volte alla settimana (!) diventava troppo gravoso;

*la presenza nel circolo di compagni attendisti, che trovavano copertura nell’azione del circolo, ma contemporaneamente invece di trarre stimolo dalle posizioni prese via via dal circolo e cominciare Ad effettuare un’analisi che portasse magari a posizioni contrastanti, si adagiavano nella nicchia: di fatto restavano solo per simpatia, non per far politica!

E allora?

 

Un tentativo è stato quello di utilizzare i documenti del circolo per un lavoro di agitazione e di formazione ad un tempo. A distanza di alcuni mesi dalla pubblicazione dell’ultimo numero ci siamo resi conto che lo strumento era inadeguato. Il contenuto veniva recepito dai militanti al livello più basso. In alcuni casi, addirittura veniva ignorato e quindi non utilizzato.

Certe posizioni sono state strumentalizzate dai crumiri e da compagni militanti in organizzazioni politiche..

Ci trovavamo a un bivio. Proseguire a pubblicare gli opuscoli così come era stato fatto finora, tentando di integrare la mancanza di dibattito con l’esposizione di posizioni e aspettare che intanto la classe operaia ci riconoscesse : dato che non abbiamo intenzione di ottenere mandati dalla classe operaia si trattava di un lavoro inutile.

Oppure scaricare sui compagni che finora avevano avuto un atteggiamento passivo la responsabilità di proseguire il lavoro. Questo modo di considerare la questione era fondamentalmente sbagliato. Fra l’altro, nel secondo caso, ci illudevamo che i compagni avessero superato, loro stessi, quel rapporto di delega che a parole rifiutavamo perché dannoso per il proletariato.

Poiché non ce ne frega niente di ammettere di aver commesso degli errori, diciamo chiaramente di aver sbagliato. Quello che interessa è trarre delle conseguenze senza fare come le famose scimmie che non vedono, non sentono, non parlano.

Un risultato importante l’avevamo raggiunto: aver individuato alcuni compagni interessati ad un reale confronto con noi. Questi bollettini interni di documentazione che raccolgono i risultati delle analisi e del dibattito sono destinati a loro.

Chi cercasse nel circolo ‘la linea’ per poi valutare se gli va bene o no, rimarrebbe con un palmo di naso! Perché le posizioni che usciranno sull’opuscolo potranno essere anche non omogenee ad una ‘linea’ politica.

L’attuale ‘linea’ (se così la vogliamo chiamare) del circolo è appunto l’analisi e il dibattito.

Si rifiuta l’adesione a livello di delega, si accetta il contributo militante.

Una volta giunti a questo punto la tiratura n scende di colpo da 600 a 120 copie, questo perché ogni compagno raggiunto dalla diffusione abbia un rapporto politico diretto col diffusore.

A questo scopo riteniamo sia utile giungere ad una frequenza settimanale, al fine di fornire uno strumento agile ai compagni ‘ fotografando’ appunto quelli che sono gli argomenti all’ordine del giorno in tutta la classe operaia.

Malgrado l’apparente riduzione della nostra attività l’obiettivo è ambizioso: trasformare avanguardie di lotta che delegano ad altri la scelta delle posizioni, in avanguardie politiche che riescano ad avare un rapporto politicamente corretto con la classe operaia.