La vita di Eugenio Montale è la vita di un uomo
schivo, distaccato e disilluso verso se stesso e la
propria stessa esistenza: scrivendo «sempre da povero
diavolo e non da uomo di lettere professionale», diviene
uno dei massimi rappresentanti della poesia e della
cultura contemporanea.
Nasce a Genova il 12 ottobre del 1896. Trascorre
l'infanzia e l'adolescenza tra Genova e Monterosso, luoghi
e paesaggi divenuti poi essenziali per la sua poesia. Di
salute malferma, compie studi irregolari, nutrendo una
forte passione, oltre che per la letteratura e la poesia,
anche per il canto. Nel 1917 viene chiamato alle armi come
ufficiale di fanteria.
Dopo la guerra stringe rapporti sia con gli
scrittori che a Genova frequentano il Caffè Diana in
Galleria Mazzini (in particolar modo con Camillo Sbarbaro)
sia con il gruppo torinese di Piero Gobetti, che negli
anni venti cerca di attuare una resistenza culturale al
fascismo, in opposizione al futurismo e al
dannunzianesimo. Nel 1925 pubblica, proprio per le
edizioni di Gobetti, il suo primo libro di poesie, Ossi
di seppia, e firma il manifesto antifascista di Croce.
Sempre nel '25 esce sulla rivista milanese «L'esame»
l'articolo Omaggio a Italo
Svevo, con cui contribuisce in modo determinante alla
scoperta dello scrittore triestino, di cui negli anni
successivi diviene amico. Nel '26 conosce inoltre Saba e
il poeta americano Ezra Pound, e d'allora indirizza una
viva attenzione alla letteratura anglosassone. Nel 1927
raggiunge l'indipendenza economica dalla famiglia
ottenendo un impiego a Firenze presso la casa editrice
Bemporad; e conosce Drusilla Tanzi, moglie del critico
d'arte Matteo Marangoni, che più tardi diverrà sua
compagna, ma che sposerà solo nel 1962.
Nel '29 è nominato direttore del Gabinetto
scientifico-letterario Vieusseux, dal quale incarico nel
‘38 verrà esonerato, avendo sempre rifiutato di
iscriversi al partito fascista. In quegli anni Montale è
uno dei principali animatori della vita intellettuale
fiorentina: frequenta il noto caffè degli ermetici Le
Giubbe Rosse, fa amicizia con i maggiori scrittori
italiani del tempo (Vittorini,
Gadda)
e inoltre allarga sempre più i sui interessi alla cultura
europea.
Negli anni bui della guerra e dell'occupazione
tedesca vive attraverso collaborazioni a riviste e
soprattutto grazie ad una varia attività di traduttore.
Nel '39 pubblica la sua seconda raccolta di poesie, Le
occasioni. Dopo una breve poesia introduttiva, Il
balcone, la raccolta si divide in quattro parti: la
prima e l’ultima presentano poesie di carattere diverso;
la seconda, invece, s’intitola Mottetti e
contiene venti brevi componimenti che intendono riprodurre
la forma musicale del "mottetto", sorta nel XIII
secolo; la terza, infine, contiene tre pezzi dal comune
titolo di Tempo di Bellosguardo. Nel '43, a Lugano
esce Finisterre, un volumetto di liriche scritte
tra il '40 e il '42, esportato clandestinamente in
Svizzera. Finita la guerra, si iscrive al partito
d'azione, riceve un incarico culturale dal Comitato
Nazionale di Liberazione e fonda, con Bonsanti e Loira, il
quindicinale «Il Mondo». La sua esperienza politica è
tuttavia assai breve: le sue aspirazioni ad un'Italia
liberale ed europea, estranea a chiusure nazionali e
provinciali, vengono fortemente deluse dallo scontro
creatosi nel dopoguerra tra il nuovo clericalismo e la
sinistra filostalinista.
All'inizio del '48 la sua vita, fino ad allora così
normale, comincia a mutare. Si trasferisce infatti a
Milano, dove lavora come giornalista e critico letterario
al «Corriere della Sera» e al «Corriere d'Informazione».
Pubblica sia una nutrita serie di interventi di attualità
culturale e politica che tendono a sostenere una cultura
borghese critica e razionale, sia recensioni musicali
(raccolte nel 1981 nel volume Prime alla scala),
reportages di viaggio in diversi paesi del mondo (raccolti
nel 1969 nel volume Fuori di casa) e numerosi brevi
racconti, la maggior parte dei quali costituiranno il
volume Farfalla di Dinard (1958).
Nel '56 esce la sua terza raccolta di poesie, per
lo più risalenti agli anni della guerra e dell'immediato
dopoguerra, La
bufera e altro. Negli anni Cinquanta e Sessanta
viene considerato il più grande poeta italiano vivente,
modello di cultura laica e liberale, tanto che riceverà
diversi riconoscimenti culminanti nel 1967 nella nomina a
senatore a vita, e nel 1975 nel premio Nobel per la
letteratura.
Nel 1966 pubblica le riflessioni di Auto da fé,
e nel 1973 il volumetto Trentadue variazioni. Dopo
un periodo di completo silenzio poetico esce nel 1971 Satura,
e nel 1973 Diario del '71 e del '72, nel 1977 Quaderno
di quattro anni; ed infine nel 1980, caso unico per un
autore contemporaneo vivente, viene pubblicata l'edizione
critica della sua intera Opera in versi. Trascorre
gran parte della vecchiaia nell'appartamento milanese in
via Bigli 15. Muore a Milano il 12 settembre 1981. (D.M.)
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Una nuova intensità derivante da una continua ricerca nelle cose
e nelle parole di un legame con la situazione umana, originato
anche dalla forza di un linguaggio fortemente ancorato al
presente; Eugenio Montale individua così il suo punto di
equilibrio tra la letteratura e il quotidiano, uno spazio non
rifiutato, ma vissuto con un sereno distacco lontano dal turbinoso
mutare dei tempi e del significato esistenziale.
Genovese di nascita — la città ligure gli diede i natali
il 12 ottobre del 1896 —, Montale nutriva una forte passione
per la letteratura e la poesia, approfondite in maniera
irregolare e sulla spinta della sete di conoscenza lungo
l’arco di tutta la sua vita. Sergio Solmi, Bobi Bazlen e i
triestini — Italo
Svevo e Umberto
Saba —, passando da Ezra Pound e la tanto amata
letteratura inglese: furono questi gli autori che segnarono i
primi approcci artistici di Montale fino al periodo fiorentino e
alla nomina a direttore del Gabinetto Viesseux a Firenze, città
che lo vide tra i suoi più brillanti intellettuali negli anni
dal 1929 al 1938. Il suo rifiuto di aderire al partito fascista
lo costrinse ad abbandonare la prestigiosa carica e dedicarsi ad
attività di traduzione, inframmezzata da collaborazioni con
alcune riviste. Durante la seconda guerra mondiale fu richiamato
alle armi, ma ben presto fu congedato e visse il periodo
dell’occupazione nazista a Firenze. Dopo la liberazione si
iscrisse al partito d’azione, ma la sua militanza politica durò
poco a causa della delusione provata nell’osservare come tutte
le speranze in un cambiamento si riducevano allo scontro tra la
sinistra e il clericalismo, a discapito di quanti auspicavano
una svolta liberista di stampo europeo, che portasse alla
nascita di un’Italia aliena dai retaggi
nazionalistico-provinciali e proiettata in un orizzonte di più
ampio respiro.
Montale indaga l’uomo e il suo isolamento nel mondo,
osservati anche rispetto al fluire di natura e storia, come
insegnavano i filosofi esistenzialisti e i poeti francesi —
Charles Baudelaire innanzitutto — e inglesi e americani —
Robert Browning, Thomas Stearns Eliot ed Ezra Pound —. La
grandezza del poeta genovese risiede in quella straordinaria
abilità nel tentare di comprendere l’occidente a lui
contemporaneo e i cambiamenti che le arti e il sociale avevano
subito dallo svilupparsi di una cultura massificata di carattere
planetario. Egli aspira a essere una voce laica, razionale,
italiana ed europea, pronta a sondare anche gli aspetti più
terrificanti del presente con la consapevolezza, di fronte ai
sinistri presagi del futuro, dei suoi limiti e
dell’inarrestabile corsa degli eventi.
Una straordinaria capacità di comprensione rese Montale un
acuto lettore e critico dei libri più disparati, esaminati
razionalmente per andare a scovare al loro interno le tracce
della condizione umana e della forza della conoscenza. L’arte,
la parola, l’atto del comunicare erano per il poeta dotati di
concretezza, perciò, radicati nell’esistenza individuale e
proiettati in un ambito storico e collettivo, divenendo così
concreti e influenti. La sua poesia nasce dalla comprensione dei
limiti ad essa connessi, dalla presa di coscienza della
contemporaneità, vista come una minaccia nei confronti
dell’arte, in pericolo non a causa della povertà del
linguaggio, ma travolta dalle tante e troppe parole che
albergano nel mondo. L’unica risposta possibile è la poesia
del confronto con la fine, degli aspetti umani e civili positivi
e, soprattutto, degli oggetti: concreti rivelatori del senso
interno delle cose, nel solco di Eliot e della nuova vitalità
di simbolo e allegoria.
Montale è allo stesso tempo influenzato dalla tradizione
poetica italiana, rivista alla luce di un rapporto differente,
diretto e vitale, dal quale trarre i necessari presupposti per
comprendere la condizione moderna. Tradizione e contemporaneità
viaggiano su di un binario parallelo che porta a un linguaggio
poetico perfetto, essenziale, ma denso e profondo
Ossi
di seppia, dato alle stampe nel 1925, è il primo
esempio di questo tipo di poesia generata da un’emozione
intima ed espressa attraverso l’essenzialità degli oggetti e
del linguaggio. Montale cerca nuove forme, ma non esita nella
sperimentazione dei metri tradizionali, raggiungendo un
eccellente risultato di linearità sintattica; i toni sublimi si
trasformano in concretezza e la parola diventa precisa, tecnica
nelle designazioni per diventare poi ironica e colloquiale in
virtù di un abbassamento del linguaggio. Montale è una voce
immersa nel paesaggio, ma non direttamente partecipante alla
vita, interrogata attraverso segni, forme, suoni e movimenti,
scanditi dal procedere del tempo. La vita diventa così
inafferrabile, vuota e reale, disgregandosi in un continuo
equilibrio con l’io e la sua distanza che si risolve in
angoscia e rovina.
Le
occasioni, pubblicate nel 1939 da Einaudi,
ridimensionano la riflessione esistenziale della precedente
poetica, la parola punta la sua attenzione sugli oggetti,
tralasciando qualsiasi aspetto meditativo e problematico per
concentrarsi sul susseguirsi di immagini nette, frutto anche di
un forte impatto di suoni, parole e frasi. La poetica diventa
complicata, ardua, impenetrabile, portatrice di un messaggio
volutamente occulto, mostrandosi, però, tesa alla ricerca del
contatto con l’altro che diventa una donna persa o
irraggiungibile, o la lontananza del tempo e il suo rievocare
esperienze, oggetti e immagini sbiadite nella memoria e ormai
trascorse e intangibili. La donna rappresenta la salvezza, il
riscatto del poeta da questo vivere e dall’avvicinarsi,
annunciato dalla volgarità e dalla mediocrità del presente,
della catastrofe; essa è reale in alcuni casi, mentre in altri
rivela le tracce di persone diverse, restando, comunque,
l’ultimo baluardo contro il precipitare degli eventi.
La
bufera e altro, terza raccolta poetica di Montale
risalente al 1956, contiene poesie pubblicate precedentemente in
alcune riviste e scritte tra il 1940 e il 1954. La struttura
aperta dell’opera tradisce un intento romanzesco di prossimità
con la Vita Nuova dantesca, nella quale il presente si
intreccia con l’amore per una donna salvatrice. La Beatrice di
Montale è moderna, ostile e amorevole, lotta contro la violenza
e il degrado, permettendo al poeta di riconoscersi e affermare
la strenua resistenza della poesia, confrontandosi con il mondo
e la sua diffidenza. Questa figura femminile si muove in un
ambito enigmatico, cambia qualità e nomi, lanciando segnali
contrastanti al poeta, al cui elegante verso giocosamente si
nasconde. Le figure femminili si intrecciano anche alle diverse
situazioni storiche in atto: il passaggio dalla speranza della
fine della guerra a un dopoguerra angoscioso e sinistro diretto
verso la fine della civiltà.
Al termine di un lungo periodo di silenzio poetico, negli
anni ’60 Montale ritorna con una nuova poesia, più diretta,
quasi dimessa, assolutamente lontana dal tono alto ed essenziale
della poetica precedente. La parodia, l’ironia, la diversità
di stili prendono il posto della tensione lirica per mostrarsi
completamente attraverso una revisione della propria poetica,
ora degradata a un livello più basso. La nuova arte si mostra
semplice solo in apparenza, assumendo su di sé il vuoto delle
banalizzazioni con disincanto e ironia, ma conservando come suo
punto di riferimento la memoria. Il passato si confronta con se
stesso e il presente in una nuova dimensione, nella quale il
contemporaneo è ancora più angoscioso, tra la perduta
giovinezza e l’attuale vecchiaia come scoperta della
precedente condizione e del suo significato. La voce di Montale
sopravvive perché non può accettare il mondo, costretta a
negarsi sottraendosi alla propria identità e alla verità. Satura,
raccolta uscita nel 1971, sarà il primo risultato di questa
nuova poetica, di cui una parte era già stata pubblicata dieci
anni prima, e il suo influsso resterà tale anche nelle
composizioni degli ultimi anni, dove il poeta, sfuggendo al
presente, osserva i dissensi, il disordine e la confusione di
una vita artefatta.
«È ancora possibile la poesia?» — si chiedeva Montale
— «In un mondo nel quale il benessere è assimilabile alla
disperazione e l’arte, ormai diventata bene di consumo, ha
perso la sua essenza primaria?». Questa domanda, rivolta
all’Accademia di Svezia il 12 dicembre del 1975, durante la
cerimonia di consegna del premio Nobel, lo colloca quale spirito
antesignano rispetto ad un futuro, oggi reale, inquietante e
problematicamente terrificante, da lui individuato e
scandagliato con anticipo impressionante. (L.A.)
Milano, 27 ottobre 2003
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