Eugenio Montale (1896-1981)


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La vita di Eugenio Montale è la vita di un uomo schivo, distaccato e disilluso verso se stesso e la propria stessa esistenza: scrivendo «sempre da povero diavolo e non da uomo di lettere professionale», diviene uno dei massimi rappresentanti della poesia e della cultura contemporanea.
Nasce a Genova il 12 ottobre del 1896. Trascorre l'infanzia e l'adolescenza tra Genova e Monterosso, luoghi e paesaggi divenuti poi essenziali per la sua poesia. Di salute malferma, compie studi irregolari, nutrendo una forte passione, oltre che per la letteratura e la poesia, anche per il canto. Nel 1917 viene chiamato alle armi come ufficiale di fanteria.
Dopo la guerra stringe rapporti sia con gli scrittori che a Genova frequentano il Caffè Diana in Galleria Mazzini (in particolar modo con Camillo Sbarbaro) sia con il gruppo torinese di Piero Gobetti, che negli anni venti cerca di attuare una resistenza culturale al fascismo, in opposizione al futurismo e al dannunzianesimo. Nel 1925 pubblica, proprio per le edizioni di Gobetti, il suo primo libro di poesie, Ossi di seppia, e firma il manifesto antifascista di Croce.
Sempre nel '25 esce sulla rivista milanese «L'esame» l'articolo Omaggio a Italo Svevo, con cui contribuisce in modo determinante alla scoperta dello scrittore triestino, di cui negli anni successivi diviene amico. Nel '26 conosce inoltre Saba e il poeta americano Ezra Pound, e d'allora indirizza una viva attenzione alla letteratura anglosassone. Nel 1927 raggiunge l'indipendenza economica dalla famiglia ottenendo un impiego a Firenze presso la casa editrice Bemporad; e conosce Drusilla Tanzi, moglie del critico d'arte Matteo Marangoni, che più tardi diverrà sua compagna, ma che sposerà solo nel 1962.
Nel '29 è nominato direttore del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, dal quale incarico nel ‘38 verrà esonerato, avendo sempre rifiutato di iscriversi al partito fascista. In quegli anni Montale è uno dei principali animatori della vita intellettuale fiorentina: frequenta il noto caffè degli ermetici Le Giubbe Rosse, fa amicizia con i maggiori scrittori italiani del tempo (Vittorini, Gadda) e inoltre allarga sempre più i sui interessi alla cultura europea.
Negli anni bui della guerra e dell'occupazione tedesca vive attraverso collaborazioni a riviste e soprattutto grazie ad una varia attività di traduttore. Nel '39 pubblica la sua seconda raccolta di poesie, Le occasioni. Dopo una breve poesia introduttiva, Il balcone, la raccolta si divide in quattro parti: la prima e l’ultima presentano poesie di carattere diverso; la seconda, invece, s’intitola Mottetti e contiene venti brevi componimenti che intendono riprodurre la forma musicale del "mottetto", sorta nel XIII secolo; la terza, infine, contiene tre pezzi dal comune titolo di Tempo di Bellosguardo. Nel '43, a Lugano esce Finisterre, un volumetto di liriche scritte tra il '40 e il '42, esportato clandestinamente in Svizzera. Finita la guerra, si iscrive al partito d'azione, riceve un incarico culturale dal Comitato Nazionale di Liberazione e fonda, con Bonsanti e Loira, il quindicinale «Il Mondo». La sua esperienza politica è tuttavia assai breve: le sue aspirazioni ad un'Italia liberale ed europea, estranea a chiusure nazionali e provinciali, vengono fortemente deluse dallo scontro creatosi nel dopoguerra tra il nuovo clericalismo e la sinistra filostalinista.
All'inizio del '48 la sua vita, fino ad allora così normale, comincia a mutare. Si trasferisce infatti a Milano, dove lavora come giornalista e critico letterario al «Corriere della Sera» e al «Corriere d'Informazione». Pubblica sia una nutrita serie di interventi di attualità culturale e politica che tendono a sostenere una cultura borghese critica e razionale, sia recensioni musicali (raccolte nel 1981 nel volume Prime alla scala), reportages di viaggio in diversi paesi del mondo (raccolti nel 1969 nel volume Fuori di casa) e numerosi brevi racconti, la maggior parte dei quali costituiranno il volume Farfalla di Dinard (1958).
Nel '56 esce la sua terza raccolta di poesie, per lo più risalenti agli anni della guerra e dell'immediato dopoguerra, La bufera e altro. Negli anni Cinquanta e Sessanta viene considerato il più grande poeta italiano vivente, modello di cultura laica e liberale, tanto che riceverà diversi riconoscimenti culminanti nel 1967 nella nomina a senatore a vita, e nel 1975 nel premio Nobel per la letteratura.
Nel 1966 pubblica le riflessioni di Auto da fé, e nel 1973 il volumetto Trentadue variazioni. Dopo un periodo di completo silenzio poetico esce nel 1971 Satura, e nel 1973 Diario del '71 e del '72, nel 1977 Quaderno di quattro anni; ed infine nel 1980, caso unico per un autore contemporaneo vivente, viene pubblicata l'edizione critica della sua intera Opera in versi. Trascorre gran parte della vecchiaia nell'appartamento milanese in via Bigli 15. Muore a Milano il 12 settembre 1981. (D.M.)
Una nuova intensità derivante da una continua ricerca nelle cose e nelle parole di un legame con la situazione umana, originato anche dalla forza di un linguaggio fortemente ancorato al presente; Eugenio Montale individua così il suo punto di equilibrio tra la letteratura e il quotidiano, uno spazio non rifiutato, ma vissuto con un sereno distacco lontano dal turbinoso mutare dei tempi e del significato esistenziale.

 

Genovese di nascita — la città ligure gli diede i natali il 12 ottobre del 1896 —, Montale nutriva una forte passione per la letteratura e la poesia, approfondite in maniera irregolare e sulla spinta della sete di conoscenza lungo l’arco di tutta la sua vita. Sergio Solmi, Bobi Bazlen e i triestini — Italo Svevo e Umberto Saba —, passando da Ezra Pound e la tanto amata letteratura inglese: furono questi gli autori che segnarono i primi approcci artistici di Montale fino al periodo fiorentino e alla nomina a direttore del Gabinetto Viesseux a Firenze, città che lo vide tra i suoi più brillanti intellettuali negli anni dal 1929 al 1938. Il suo rifiuto di aderire al partito fascista lo costrinse ad abbandonare la prestigiosa carica e dedicarsi ad attività di traduzione, inframmezzata da collaborazioni con alcune riviste. Durante la seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi, ma ben presto fu congedato e visse il periodo dell’occupazione nazista a Firenze. Dopo la liberazione si iscrisse al partito d’azione, ma la sua militanza politica durò poco a causa della delusione provata nell’osservare come tutte le speranze in un cambiamento si riducevano allo scontro tra la sinistra e il clericalismo, a discapito di quanti auspicavano una svolta liberista di stampo europeo, che portasse alla nascita di un’Italia aliena dai retaggi nazionalistico-provinciali e proiettata in un orizzonte di più ampio respiro.

 

Montale indaga l’uomo e il suo isolamento nel mondo, osservati anche rispetto al fluire di natura e storia, come insegnavano i filosofi esistenzialisti e i poeti francesi — Charles Baudelaire innanzitutto — e inglesi e americani — Robert Browning, Thomas Stearns Eliot ed Ezra Pound —. La grandezza del poeta genovese risiede in quella straordinaria abilità nel tentare di comprendere l’occidente a lui contemporaneo e i cambiamenti che le arti e il sociale avevano subito dallo svilupparsi di una cultura massificata di carattere planetario. Egli aspira a essere una voce laica, razionale, italiana ed europea, pronta a sondare anche gli aspetti più terrificanti del presente con la consapevolezza, di fronte ai sinistri presagi del futuro, dei suoi limiti e dell’inarrestabile corsa degli eventi.

 

Una straordinaria capacità di comprensione rese Montale un acuto lettore e critico dei libri più disparati, esaminati razionalmente per andare a scovare al loro interno le tracce della condizione umana e della forza della conoscenza. L’arte, la parola, l’atto del comunicare erano per il poeta dotati di concretezza, perciò, radicati nell’esistenza individuale e proiettati in un ambito storico e collettivo, divenendo così concreti e influenti. La sua poesia nasce dalla comprensione dei limiti ad essa connessi, dalla presa di coscienza della contemporaneità, vista come una minaccia nei confronti dell’arte, in pericolo non a causa della povertà del linguaggio, ma travolta dalle tante e troppe parole che albergano nel mondo. L’unica risposta possibile è la poesia del confronto con la fine, degli aspetti umani e civili positivi e, soprattutto, degli oggetti: concreti rivelatori del senso interno delle cose, nel solco di Eliot e della nuova vitalità di simbolo e allegoria.

 

Montale è allo stesso tempo influenzato dalla tradizione poetica italiana, rivista alla luce di un rapporto differente, diretto e vitale, dal quale trarre i necessari presupposti per comprendere la condizione moderna. Tradizione e contemporaneità viaggiano su di un binario parallelo che porta a un linguaggio poetico perfetto, essenziale, ma denso e profondo

 

Ossi di seppia, dato alle stampe nel 1925, è il primo esempio di questo tipo di poesia generata da un’emozione intima ed espressa attraverso l’essenzialità degli oggetti e del linguaggio. Montale cerca nuove forme, ma non esita nella sperimentazione dei metri tradizionali, raggiungendo un eccellente risultato di linearità sintattica; i toni sublimi si trasformano in concretezza e la parola diventa precisa, tecnica nelle designazioni per diventare poi ironica e colloquiale in virtù di un abbassamento del linguaggio. Montale è una voce immersa nel paesaggio, ma non direttamente partecipante alla vita, interrogata attraverso segni, forme, suoni e movimenti, scanditi dal procedere del tempo. La vita diventa così inafferrabile, vuota e reale, disgregandosi in un continuo equilibrio con l’io e la sua distanza che si risolve in angoscia e rovina.

 

Le occasioni, pubblicate nel 1939 da Einaudi, ridimensionano la riflessione esistenziale della precedente poetica, la parola punta la sua attenzione sugli oggetti, tralasciando qualsiasi aspetto meditativo e problematico per concentrarsi sul susseguirsi di immagini nette, frutto anche di un forte impatto di suoni, parole e frasi. La poetica diventa complicata, ardua, impenetrabile, portatrice di un messaggio volutamente occulto, mostrandosi, però, tesa alla ricerca del contatto con l’altro che diventa una donna persa o irraggiungibile, o la lontananza del tempo e il suo rievocare esperienze, oggetti e immagini sbiadite nella memoria e ormai trascorse e intangibili. La donna rappresenta la salvezza, il riscatto del poeta da questo vivere e dall’avvicinarsi, annunciato dalla volgarità e dalla mediocrità del presente, della catastrofe; essa è reale in alcuni casi, mentre in altri rivela le tracce di persone diverse, restando, comunque, l’ultimo baluardo contro il precipitare degli eventi.

 

La bufera e altro, terza raccolta poetica di Montale risalente al 1956, contiene poesie pubblicate precedentemente in alcune riviste e scritte tra il 1940 e il 1954. La struttura aperta dell’opera tradisce un intento romanzesco di prossimità con la Vita Nuova dantesca, nella quale il presente si intreccia con l’amore per una donna salvatrice. La Beatrice di Montale è moderna, ostile e amorevole, lotta contro la violenza e il degrado, permettendo al poeta di riconoscersi e affermare la strenua resistenza della poesia, confrontandosi con il mondo e la sua diffidenza. Questa figura femminile si muove in un ambito enigmatico, cambia qualità e nomi, lanciando segnali contrastanti al poeta, al cui elegante verso giocosamente si nasconde. Le figure femminili si intrecciano anche alle diverse situazioni storiche in atto: il passaggio dalla speranza della fine della guerra a un dopoguerra angoscioso e sinistro diretto verso la fine della civiltà.

 

Al termine di un lungo periodo di silenzio poetico, negli anni ’60 Montale ritorna con una nuova poesia, più diretta, quasi dimessa, assolutamente lontana dal tono alto ed essenziale della poetica precedente. La parodia, l’ironia, la diversità di stili prendono il posto della tensione lirica per mostrarsi completamente attraverso una revisione della propria poetica, ora degradata a un livello più basso. La nuova arte si mostra semplice solo in apparenza, assumendo su di sé il vuoto delle banalizzazioni con disincanto e ironia, ma conservando come suo punto di riferimento la memoria. Il passato si confronta con se stesso e il presente in una nuova dimensione, nella quale il contemporaneo è ancora più angoscioso, tra la perduta giovinezza e l’attuale vecchiaia come scoperta della precedente condizione e del suo significato. La voce di Montale sopravvive perché non può accettare il mondo, costretta a negarsi sottraendosi alla propria identità e alla verità. Satura, raccolta uscita nel 1971, sarà il primo risultato di questa nuova poetica, di cui una parte era già stata pubblicata dieci anni prima, e il suo influsso resterà tale anche nelle composizioni degli ultimi anni, dove il poeta, sfuggendo al presente, osserva i dissensi, il disordine e la confusione di una vita artefatta.

 

«È ancora possibile la poesia?» — si chiedeva Montale — «In un mondo nel quale il benessere è assimilabile alla disperazione e l’arte, ormai diventata bene di consumo, ha perso la sua essenza primaria?». Questa domanda, rivolta all’Accademia di Svezia il 12 dicembre del 1975, durante la cerimonia di consegna del premio Nobel, lo colloca quale spirito antesignano rispetto ad un futuro, oggi reale, inquietante e problematicamente terrificante, da lui individuato e scandagliato con anticipo impressionante. (L.A.)

A cura della Redazione Virtuale

Milano, 27 ottobre 2003

La primavera hitleriana


Né quella ch'a veder lo sol si gira....
DANTE (?) a Giovanni Quirini


Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l'estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.

Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l'ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch'esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s'è tramutata in un sozzo trescone d'ali schiantate,
di larve sulle golene, e l'acqua séguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.

Tutto per nulla, dunque? - e le candele
romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente
l'orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell'orda (ma una gemma rigò l'aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
dell'avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani - tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio....
                                         Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell'Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince -
col respiro di un'alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz'ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud...


(Eugenio Montale, La bufera)