Postfazione al ‘Diario di Ada’ 

2003: che ne sarà della valle?

Piero lo conosco da sempre. Ha solo due anni meno di me. Tempo fa mi aveva accennato che stava scrivendo qualche cosa ma non gli avevo dato peso. Poi un giorno arriva e mi dice che dovevo scrivere delle considerazioni a margine del ‘Diario’. Me lo dice, nel solito modo che non ammette risposte negative. Però, anche se faccio fatica a scrivere, sono contento perché la ‘storia di Ada’ mi ricorda quelle di mio padre, mio zio, mia sorella e di molti amici che hanno trascorso la loro vita lavorativa al ‘Cotonificio’.

Questo materiale che Piero ha raccolto, con certosina pazienza, non è di facile lettura e comprensione. Contiene una grande quantità di informazioni: storiografiche, tecniche, giornalistiche, ma soprattutto sulla vita quotidiana in fabbrica ed i relativi rapporti u-mani e sindacali. Per capirle a fondo occorre aver vissuto le problematiche sindacali degli ultimi vent’anni o lavorare adesso in una fabbrica qualsiasi; ormai tutte le fabbriche sono diventate piccole e grandi ‘manifatture’.

Sicuramente questo opuscolo può diventare un valido strumento per chi vuole approfondire i grandi temi di attualità: orario di lavoro, utilizzo impianti, flessibilità, precarietà, ambiente di lavoro, accordi sindacali strani.

Alla manifattura è già successo di tutto e di più.

Voglio ora proporvi alcune considerazioni proprio su questi temi e sulle conseguenze concrete, quotidiane, che ne derivano.

Ogni giorno Ada deve misurarsi con situazioni di disagio, le più disparate, che poi automaticamente si ripercuotono su chi le sta attorno, sia nell’ambito famigliare che fuori.

Condizionano la sua vita di relazioni, impedendole la possibilità di partecipare alla vita di gruppo.

Io ho passato trentasei anni alla RIV, poi SKF, e leggendo il Diario provavo una tristezza e una rabbia per le situazioni di Ada. Penso che l’esperienza lavorativa per non essere alienante debba basarsi su: un orario di lavoro che non provochi eccessivi disagi, una mansione con ritmi e condizioni ambientali reggibili, un salario decente, un percorso lavorativo stabile indispensabile per impostare le scelte di vita.

Dall’esperienza di Ada e delle sue compagne traspare in modo evidente che queste quattro condizioni non solo sono disattese, ma sono presenti al massimo grado della negatività.

Orario di lavoro: nel tessile, con la scusa della concorrenza e dell’utilizzo impianti, è da più di vent’anni che sono state introdotte le turnazioni più strane. A partire dal 6x6, allo scorrimento, al lavoro di sabato e domenica, senza parlare del 3° turno fisso. Come si può concepire tutta una vita lavorativa con cadenze così sballate? E’ vero che l’essere umano ha forti capacità di adattamento, però in questi casi vengono alterati i più elementari cicli biologici: notte-giorno, fatica-riposo , con quali conseguenze sulla salute delle lavoratrici?

Ritmi ed ambiente: agli occhi di un osservatore esterno in una visita guidata allo stabilimento, il cotonificio sembra un ambiente chiaro, pulito confortevole. Invece, per chi vi lavora, quando tutte le macchine sono a pieno ritmo, diventa una cosa infernale. La temperatura in estate può raggiungere anche i 45 gradi (pensate quest’anno quando faceva caldo anche all’ombra in riva al Chisone), con una umidità altissima, il tutto condito da ritmi massacranti che non permettono tregua altrimenti non si riesce a fare la produzione; tutto questo provoca stress fisici difficilmente sopportabili.

Però Ada è talmente assuefatta e rassegnata che ne parla raramente, pur essendo uno dei fattori più negativi della sua esperienza.

Quando vado, sporadicamente, a distribuire volantini alla Manifattura, sui volti delle lavoratrici che hanno terminato il turno si leggono in modo evidente i segni di una enorme stanchezza fisica mista a rassegnazione.

Salari: tutti andiamo a lavorare per i soldi. Perché ci servono per vivere. Quando si lavora in un settore ‘maturo’, come il tessile, il salario è uno dei fattori sempre variabili verso il basso. Come avete notato durante la lettura, questo elemento spicca in modo e-vidente, fino ad assumere aspetti grotteschi. Non capita molto sovente di trovarsi in situazioni in cui il sindacato conclude accordi con decurtazioni della retribuzione. Una breve comparazione. Io nel '62, quando sono entrato a lavorare alla RIV, e avevo 17 anni, guadagnavo ‘molto’ di più di mio padre che aveva 58 anni e lavorava al Cotonificio.

Percorso lavorativo: credo che l’aspetto più devastante per un lavoratore dipendente sia l’incertezza del posto di lavoro. Il non essere mai sicuri di cosa succederà nel breve nel lungo periodo perché dal proprio lavoro dipende l’esistenza propria e quella dei figli. Anche se è molto giovane Ada si chiede se riuscirà a raggiungere il traguardo della pensione. Ma alle Ada che hanno 50 anni, se spostano l’età pensionabile – e con queste condizioni di lavoro – viene voglia di buttarsi giù dal ponte.

Un aspetto molto importante da tener presente è che tutte que-ste situazioni negative ricadono su una mano d’opera composta al 85% da donne. Il personale maschile è presente solo nelle mansioni di coordinamento, di manutenzione e di comando.

Ho voluto tratteggiare questo breve quadro d’insieme, per permettere al lettore di capire a fondo gli atteggiamenti di Ada e delle sue compagne di lavoro.

E’ in questa cornice che percorre le varie tappe della sua non agevole esperienza lavorativa.

Ada è stata assunta nel ’90 ed aveva vent’anni. Le sue compagne di lavoro erano di tutte le età, dalle giovani come lei a quelle vicine alla pensione. Il lavoro non le è mai piaciuto, però non avendo impegni famigliari aveva tempo per riposarsi. Vedeva quelle più anziane sempre stanche, non sempre capiva le difficoltà di chi ha figli da accudire ed il marito che fa altri orari. Adesso Ada ha trentatrè anni e la sua vicina di macchina quattro più di lei.

La sua amica ha due figli: uno frequenta la 3a media ed il più piccolo la 5a elementare. Suo marito lavora alla SKF settore Avio, fa i due turni ed ora è preoccupato perché è in cassa integrazione. Lei lavora il sabato domenica, spesso le chiedono di lavorare in settimana. Sua mamma non può darle una mano perché abita in un altro paese, e in alcuni momenti non regge più la situazione.

Eppure non può licenziarsi, non ce la farebbero con un solo stipendio, specialmente nell’ultimo periodo con tutti questi aumenti, senza l’adeguamento dei salari.

Se non bastasse, all’orario disagiato, ai ritmi, ai pochi soldi si aggiunge anche il problema dell’insicurezza.

Infatti da qualche giorno circolano voci di un nuovo riassetto del gruppo Legnano, sembra che possegga uno stabilimento in Egitto, ci saranno ripercussioni negative su Perosa?

La situazione dell’amica di Ada aggiunta a quella di suo marito le pesa come un macigno. In più il prossimo anno devono decidere la scelta della scuola per il figlio maggiore.

Giorgio è bravo a scuola, però sono preoccupati per le spese, e poi non sanno che indirizzo consigliargli. Anche perché in valle ci sono poche prospettive occupazionali. E’ meglio farlo studiare da perito o da geometra, o forse mandarli all’alberghiero. Con le O-limpiadi è previsto un grosso sviluppo turistico di Torino e delle valli olimpiche però in zona nessuno ci crede.

Ada e la sua amica sono sempre più preoccupate: nelle fabbri-che e in miniera i posti di lavoro continuano a diminuire, e gli altri settori non riescono ad assorbire gli esuberi. Dove troveranno lavoro i nostri figli?

Ada cerca aiuto per rispondere a questi pesanti interrogativi, ma spesso non lo trova, rimane sola senza riposta anzi fatica a ca-pire a fondo molte problematiche, le sembra tutto così complicato.

Sperava che il sindacato le desse una mano a risolvere i pro-blemi dei turni, dei ritmi, invece molte volte lo sente come contro-parte. I sindacalisti vengono solo a spiegare che le proposte del padrone non si possono rifiutare altrimenti perdiamo le commesse, spostano la produzione altrove.

Sì, c’è l’ALP-CUB che dice cose diverse, però è così piccolo e solo su base locale. Gli altri sindacati le spiegano il ‘Just in time’, che il mercato cambia velocemente, che tutti vogliono la maglia alla moda di un certo colore e quindi questo modo di produrre è giustificato.

I partiti Ada non li ha mai sentiti vicini. Solo Rifondazione Co-munista con Paolo Ferrero è stata presente per un certo periodo. Gli amministratori locali poi non parliamone, li ha visti solo per i vari funerali che ci sono stati. E’ ovvio che in una situazione simile qualsiasi persona si sarebbe fatta un’idea molto negativa del sin-dacalismo e della politica in generale. Purtroppo quest’approccio negativo è un dato diffuso ormai in molte fabbriche e anche negli altri luoghi di lavoro.

Però in questi anni, dopo il ‘Diario’, Ada è maturata molto. Adesso che ha messo su casa ed ha dei figli, ha scoperto motivazio-ni nuove per lottare sia in fabbrica che nella società.

Le basterebbe che il sindacato dicesse che ‘il mercato’ non è un dio assoluto al quale sacrificare tutti i valori dell’esistenza; che gli orari strani e la flessibilità sono stati uno sbaglio, anche perché non si è fatta più produzione; che i soldi in busta non sono sufficienti e che l’inflazione è al 6%.

Le basterebbe che i partiti le dicessero che le pensioni non vanno modificate (Dini aveva già fatto un bel casino); che la riforma della scuola è contro i figli dei lavoratori; che la sanità pubblica è indispensabile che rimanga pubblica migliorando nella qualità del-le prestazioni; che la guerra in Iraq e altrove è una cosa sbagliata.

Le basterebbe che gli Amministratori scoprissero che il territorio sta diventando invivibile per la mancanza dei servizi essenziali, che le Olimpiadi non sono il toccasana delle valli; che il turismo non risolverà i problemi occupazionali; che non svendessero il territorio e le sue risorse naturali ai privati.

Tutti quelli che vogliono dare una mano ad Ada non possono trovare la scusa di non sapere cosa fare.

Ps.

Ada ha scritto una lettera all’autore in cui gli chiede, se ha un po’ di tempo libero, di affrontare i seguenti temi: Ada e le pensioni, e Ada e la sanità e i servizi in valle.

Franco Polastro, Perosa Argentina, 10-11-2003