Iterazioni & reiterazioni nella letteratura popolare e nel fumetto
tesina di Simone Baral- 2006
iterazione: [i-te-ra-zió-ne]
Dal lat. iteratio¯ne(m), deriv. di itera¯re 'iterare' s. f.
1 (lett.) ripetizione
2 (mat.) procedura di calcolo che consiste nel ripetere più volte
o indefinitamente lo stesso procedimento
3 in retorica, ripetizione di concetti o frasi con intenti stilistici.
reiterazione [re-i-te-ra-zió-ne]
s. f.
1 (lett.) il reiterare, l'essere reiterato
2 procedimento stilistico per cui la stessa idea è variata e ripetuta (p.
e. attraverso sinonimi o perifrasi); ripetizione.
Quando
si è bambini, si tende a farsi raccontare o leggere la stessa storia numerose
volte, preferendola a racconti di cui non si sa nulla. Un esempio di questa
reiterazione “infantile” era riscontrabile nelle strisce del Signor
Bonaventura, in cui l’acquisizione del milione, alla fine della storia. non
modificava affatto la situazione dello stesso nell’avventura successiva, in
cui si ritrova nuovamente sull’orlo della miseria. Nel corso di questa tesina
affronterò la reiterazione in alcuni tipi di fumetto ed, in particolare, come
questa viene “sfruttata” dagli autori.
Crescendo,
il “desiderio di reiterazione” diviene più celato ed è ad esempio ciò che
risiede dietro il successo del romanzo giallo: questo stesso genere, che si
sarebbe tentati di catalogare come uno dei prodotti che soddisfano il gusto
dell’imprevisto e del sensazionale, viene alla radice, paradossalmente,
consumato proprio per le ragioni opposte, cioè come invito a ciò che è
scontato, prevedibile. L’ignorare il colpevole è un elemento accessorio,
quasi pretestuoso; tanto è vero che nel giallo d’azione (di cui esaminerò
nelle prossime pagine due tra i maggiori esponenti, Hammet e Chandler) la
tensione circa il colpevole molte volte non sussiste neppure; non si tratta di
scoprire chi abbia commesso un delitto, ma di seguire alcuni gesti “tipici”
di personaggi “tipici” di cui ormai amiamo i comportamenti. Su questi ultimi
molti giallisti classici hanno fatto la loro fortuna: i tic di Sherlock Holmes,
le vanità di Hercule Poirot, la pipa e i guai famigliari di Maigret, le
orchidee di Nero Wolfe. Vizi, gesti, vezzi quasi nervosi che ci permettono di
ritrovare nel personaggio un vecchio amico e che sono la condizione principale
affinchè noi possiamo “entrare” nella vicenda.
Per
esplorare questa “riproposizione” di personaggi, situazioni, temi e schemi
narrativi partirò dai pulp-magazine americani, riviste di genere in cui
apparivano personaggi stereotipati con caratteri “scolpiti con colpi
d’accetta” ma nei quali era facile immedesimarsi, per poi perdersi con loro
nei mondi che di episodio in episodio andavano a visitare.
L’ultima
sezione è dedicata allo strutturalismo in linguistica e narratologia, dove ogni
racconto e romanzo viene scomposto in parti elementari, eternamente ripetute e
simili.
PULP MAGAZINES
Il
termine “pulp” al giorno d'oggi viene usato per indicare un tipo di
narrazione violenta, sincopata, diretta e molto sanguinolenta, rilanciata da Pulp
Fiction, il film di Quentin Tarantino del 1994. Ma questa accezione del
termine racchiude solo una piccola parte dei generi che il Pulp rappresenta:
avventura, mistero, fantascienza, azione, amore, western...
Quando, nell'ultimo decennio del XIX secolo, Frank
Munsey rilanciò la rivista "Argosy", scelse di stamparla su "pulpwood
scraps", ovvero su cartaccia ottenuta con la polpa di legno, il materiale
più povero ed economico possibile con cui andare in macchina.
Questo permise a lui, e a tutti gli editori che lo
seguirono, di stampare immense quantità di pubblicazioni ad un costo
risibile, puntando più sulla quantità che sulla qualità.
Tom
Swift è tra i personaggi nati nella prima ondata di queste riviste
economiche, vendute al pubblico per un "dime", dieci centesimi;
nel 1910 la
Grossett & Dunlap pubblicò "Tom Swift and His Motorcycle", per lo
Stratemeyer Syndicate, ed il personaggio si rivelò subito un beniamino dei giovanissimi:
con la sua variopinta compagnia di amici e parenti, e la sua mirabolante serie
di invenzioni e gadget, il piccolo Tom combattè i cattivi, esplorò il mondo in
lungo e largo e raggiunse anche lo Spazio. Nel 1941, dopo ben quaranta libri
all'attivo, la sua prima serie ebbe termine; anche se il suo periodo d'oro
terminò allora, le gesta di Tom Swift sono continuate fino ai giorni nostri,
con altre tre serie.
Due anni dopo la prima apparizione di Tom Swift
debuttò un personaggio di ben maggiore rilievo: Tarzan, il Signore
delle
Scimmie, creato da Edgar Rice Burroughs; nel 1912 sulla copertina di "The Ali-Star Story" campeggia
un indomito selvaggio dalla fluente chioma nera e dallo sguardo di ghiaccio
, che si appresta ad uccidere un leone che tiene ben saldo per la gola. È
questa la prima immagine che hanno i lettori di
"pelle bianca", prima di immergersi nelle sue origini narrate
in "Tarzan of the Apes". Il fascino di Tarzan è dovuto al suo non
essere semplice selvaggio nella giungla, ma anche un Lord inglese, combattuto
tra i suoi due retaggi; questa invenzione narrativa, pur essendo poco originale,
fece subito breccia nella fantasia del pubblico, che decretò l'enorme
successo del personaggio, presto trasposto nel cinema e nei fumetti, che ne
ampliarono ancor di più la popolarità. Ogni generazione ha il suo Tarzan:
nella prima metà del XX secolo c'è stato Johnny Weismuller che l'ha incarnato
sullo schermo, nella seconda Burne Hogart ha raggiunto la vetta della sua
splendida trasposizione nei comics, alle soglie del nuovo millennio la Walt
Disney l'ha riproposto a cartoni animati per i bambini di oggi, rinfrescando un
mito ormai immortale.
Un
altro personaggio diventato un'icona leggendaria, ma questa volta come
sinonimo di malvagità e spietatezza, è Fu Manchu,
creato
dall'irlandese Sax Rohmer. Cosa ispirò Rohmer per creare la "nemesi
gialla" non è dato da sapere con sicurezza, visto che lo stesso autore ne
fornì almeno cinque versioni differenti; quel che è, certo è che nel 1913 fu pubblicato nel Regno Unito "The Mistery of Fu
Manchu", ristampato nello stesso anno in America col titolo di "The
Insidious Dr. Fu Manchu". Il racconto presentava il Mandarino Cinese come
il capo di un'organizzazione segreta orientale atta a sottomettere il mondo
occidentale. Il più temibile dei poteri di Fu Manchu era il suo sguardo
ipnotico, capace di piegare alla sua volontà chiunque ne fosse caduto vittima;
l'unico in grado di resistere a questa forza persuasiva era l'investigatore
britannico Sir Dennis Nayland Smith.
Nel 1931 avvenne la svolta che moltiplicò le vendite di questo
tipo di pubblicazioni: la Street and Smith Publications lanciò i "character
magazine" , ovvero riviste tutte incentrate su un solo personaggio. Il
primo a debuttare fu "The Shadow, A Detective Magazine", che riscontrò
un successo immediato, esaurendo l'intera tiratura in un solo giorno: la nuova
strada era aperta, e tutti gli editori si lanciarono sul mercato.
Il termine "pulp" passò dall'essere un
semplice dato tecnico a sinonimo di questi magazine, di solito con una
foliazione dalle 114 alle 162 pagine in bianco e nero (anche se
"bianco" era un eufemismo per quel. tipo di carta). Le edicole erano
affollate almeno da duecentocinquanta titoli
diversi, coprivano i più disparati
temi del Fantastico.
Sulla scia del successo di "The Shadow"
della Street and Smith, la rivale Popular Publications lanciò un suo clone,
"The Spider Master
of Men!", che uscì dall'ombra nell'ottobre del 1933, col racconto
"The Spider Strikes".
The
Spider nella vita pubblica era il ricco Richard Wentworth, ma nella sua identità
segreta combatteva boss della mala o criminali di strada; il tono delle storie
cambiò col terzo numero: dopo i primi due scritti da Reginald Thomas Maitland
Scott, i successivi furono ideati da Norvell Page (con lo pseudonimo di Grant
Stockbridge), che rese The Spider tanto efferato da far sembrare l'odierno
Punisher una maestrina delle elementari. Nella sua identità segreta Wentworth
non esitava ad uccidere chiunque gli si frapponesse, fosse anche un ignaro
passante, se lo riteneva necessario. Il luogo in cui condurre i criminali non
era la prigione, ma la tomba, e per tomba si intendeva qualunque lurido vicolo
in cui The Spider potesse piantare una pallottola in mezzo agli occhi del
malvivente. Le sue pistole ruggirono per 118 numeri, fino al dicembre del 1943.
Ma i pulp non erano solo sangue e ombre: nell'ottobre del
1933 decollò
"G-8 and H is Battle Aces". Creata dall'ex pilota Robert Jasper Hogan, ed
ambientata durante una fantascientifica I Guerra Mondiale (dove
la Germania ha allungato il
proseguio del conflitto per undici anni, e minaccia il mondo occidentale con
zombie, teste volanti e bestie umane), la serie narrava le avventure dell'eroico
aviatore G-8 e della
sua incredibile squadriglia.
Tanto erano speciali i piloti che volavano al fianco
della più grande spia aerea americana, tanto lo erano i loro nemici: Herr
Doktor Kreuger
era il "tipico"
scienziato pazzo, un genio nel campo scientifico, che conduceva i più efferati esperimenti in nome della sua amata
Germania; Herr Stahlmaske aveva una maschera d'acciaio che nascondeva il suo volto
sfigurato in battaglia da G-8. Dalla maschera spuntavano solo i suoi occhi
ipnotici, brucianti rabbia ed odio contro gli americani; Herr Grun aveva
l'aspetto di un mostro preistorico, e per questo odiava qualunque forma di bellezza o normalità. Questo suo
odio l'aveva portato
a rinnegare il
suo paese natale, gli Stati Uniti.
Questi ed altri avversari diedero del filo da torcere a G-8 per 110 missioni, fino al dicembre del
1942, quando la
loro I Guerra Mondiale
infinita era diventata anacronistica.
Negli anni '30, un altro strenuo difensore dell'American Way
of Life fu Jimmy Christopher, "Operator 5" dei servizi segreti.
Frederick C. Davis (sotto lo pseudonimo di Curtis Steele) ideò il personaggio
per la Popular Publications, e ne narrò le gesta in quarantotto racconti,
divisi in due
serie. La
prima, durata circa venti quattro
numeri, non si discostò troppo dai classici racconti della bizzarra
fantascienza pulp; la seconda,
iniziata nel giugno del 1936, e proseguita per 13 capitoli, fu quella che rese
celebre l'agente segteto. Operator 5 si trovò ad affrontare la "Purple
Invasion" messa in atto dall'Imperatore Maximilian I di Balkaria che,
dopo aver
conquistato l'Europa e
l'Asia, invase
l'America e mise a ferro e fuoco la costa orientale, radendo al suolo New York e
facendone
il proprio quartier generale.
Gli eventi si suseguirono sempre più cataclismatici;
tra le altre
cose, gli ufficiali dell'esercito
americano tradiscono il
loro paese, il Presidente degli USA si suicida, il I Canale di Panama viene
distrutto, una piaga
batterica
viene rilasciata sopra Salt Lake City, l'armata purpurea abbatte San Francisco e Pittsburgh, l'esercito
rivoluzionario americano passa al contrattacco e cattura l'Imperatore, le orde mongole
conquistano Chicago e liberano il tiranno ed i goti attaccano la Grande
Mela. Alla fine,
in un colossale e
decisivo
scontro a New York, gli
americani riescono a sgominare le truppe purpuree, ma tutta l'America del Nord
giace in rovina (a questi incredibili eventi fa riferimento Warren Ellis, quando Jimmy ricorda di aver appena
fermato un'invasione).
Questa
monumentale epopea di settecento ottantamila parole fu giustamente definita la
"Guerra e Pace" dei pulp.
Tutti i sunnominati eroi ebbero il loro vasto pubblico, ma
l'unico personaggio che riuscì a rivaleggiare in popolarità con "The Shadow"
fu Doc Savage,
l'Uomo di Bronzo.
Doc esordì nel marzo del 1933 nel racconto "The Man of Bronze" scritto da Lester Dent,
su idea iniziale di Henry W. Ralston e John L. Nanovic della Street & Smith. Doc
Savage è il
soprannome di
Clark Savage Jr, un uomo che deve il suo appellativo al fatto di avere un fisico che sembra scolpito nel
bronzo. Ma l'enorme forza fisica
non è la sua sola qualità, visto che Doc possiede un'intelligenza smisurata e
delle capacità incredibili di controllo sul suo corpo; nonostante questi
incredibili poteri, Doc si circonda di valenti amici e collaboratori per
combattere l'eterna lotta contro i pericoli che minacciano l'umanità: la banda
di Savage è
composta da Theodore "Ham" Marley Brooks, uno dei più bravi avvocati usciti da Harvard,
John "Renny" Renwick, ingegnere dotato
di una notevole
forza bruta, William Harper
Littlejohn,
tra le più alte autorità nel campo della geologia e dell'archeologia, Thomas
"Long Tom"
J. Roberts, esperto di elettricità e, infine, Andrew "Monk" Blodgett Mayfair, un
genio della chimica con un corpo scimmiesco. Partendo dal loro quartier
generale sito all'ottantaseiesimo piano di un grattacielo a Manhattan, questi
prodi compirono ben 181 missioni (di cui 165 scritte da Dent!) in un arco di
tempo compreso tra il 1933 ed il 1949.
Frank Munsey, l'uomo da cui si può dire sia partito tutto, ci ha
lasciato una
preziosa frase
su cui
riflettere, il segreto del successo dei Pulp: "La storia
vale molto di più della carta su cui è stampata". Una lezione che purtroppo oggi sembra persa, in un
mare di fumetti "cool" - pubblicati su carta patinata, lucida,
splendida, con copertine rigide e piene di effetti speciali - ma vuoti nei
contenuti, impalpabili : destinati a resistere per anni all'usura del tempo,
nelle loro belle
buste protettive, ma senza lasciare traccia nella fantasia dei lettori.
BLACK MASK
Black Mask was a pulp magazine launched in April 1920 by H. L.
Mencken and George Jean Nathan to support the loss-making but prestigious
literary magazine Smart Set. Mencken was a well-known literary journalist and
sometime poet; Nathan a drama critic. They had been financially successful with
another pulp money spinner of theirs called Parisienne, which itself had been
followed by an erotic stablemate called Saucy Stories. Keeping Smart Set solvent
was always their priority, and there had initially been plans to follow up Saucy
Stories with an all-Negro pulp.
These plans were scrapped in favor of Black
Mask. It was a purely commercial venture, in direct contrast to Smart
Set, and its first issue was not even devoted exclusively to crime. In an open
attempt to cater to as wide a readership as possible, Black
Mask initially offered "Five magazines in one: the best stories
available of adventure, the best mystery and detective stories, the best
romances, the best love stories, and the best stories of the occult." The
few pages devoted to detective stories offered little that was special. It was
all standard, English-influenced mystery. Despite the poor quality of Black Mask's early issues, Mencken and Nathan quickly made a return
on their initial $500 investment. Eight issues after its successful launch, they
sold the magazine to its publishers Eltinge Warner and Eugene Crow for $12,500.
After their departure, Black Mask
was colonized by a new school of tough crime writers, under the direction of an
imaginative and inspired.new.editor,.Joseph.Shaw.
Shaw often wrote editorials for the magazine on
subjects such as the jury system and gun control. He believed strongly in the
moral responsibility of crime fiction. Specifically, he believed that crime
fiction could promote the ideal of justice on the increasingly lawless streets
of America. It could show criminals for the spineless villains they were, and
restore the tarnished image of law enforcement. The reason so many of Black
Mask's fictional law enforcers were private detectives rather than
policemen was more than partly due to a growing public distrust of the police.
Although it was Shaw who nurtured the realistic detective element of Black
Mask, it had been before his 10-year tenure, in the issue of May 15,
1923, that the magazine had published what is considered to be the first ever
tough private detective story - Three Gun Terry by Carroll John Daly. Daly followed Terry Mack with a detective called Race Williams and it was
this violent and wisecracking character who really set up the prototype for the
hard boiled sleuth. The detective stories appearing in Black
Mask grew more violent, the style harder, the dialogue blacker, and the
wit.dryer. Under Shaw, this crude but immediately successful type of story was made
a priority. He spent a week reading through Black Mask back issues. He decided that the best writers were those
producing detective stories and, as a result, decided to drop most of the rest.
He outlined his plans for Black Mask
in a 1927 editorial. "Detective fiction as we see it has only commenced to
be developed. All other fields have been worked and overworked, but detective
fiction has barely been scratched. The focus of inspiration for Shaw, his writers, and the readers who
backed this new-look Black Mask
was Dashiell Hammett. He alone seemed to have first realized the full potential
of hard boiled detective fiction beyond its gunslinging appeal. As an
ex-Pinkerton detective turned self-taught writer, Hammett was uniquely qualified
to give his characters the three dimensions of which other.writers.of.the.tough.detective.story.were.largely.incapable. Hammett's first story in Black
Mask was "The Road Home", published in December 1922
under name Peter Collinson. In the December 15, 1923, issue, Erle Stanley
Gardner's first story "The Shrieking Skeleton," appeared under
the pen name Charles M. Green. "Black mailers Don't Shoot" was
Raymond Chandler's first story, published in 1933.
11-01-1936 In piedi da sinistra:Raymond
J. Moffatt*, Raymond Chandler, Herbert Stinson, Dwight Babcock, Eric Taylor,
Dashiell Hammett DASHIELL
HAMMETT
Hammett
fu un uomo la cui personalità oscurava le sue creazioni, un uomo che, quando si
dedicava alla scrittura lo faceva con un impegno totale. Si racconta che Hammett,
da sempre avvezzo ad una vita sregolata e piena di eccessi, al momento di
iniziare un nuovo lavoro, chiudeva ogni contatto con vizi e mondanità per
dedicarsi alla scrittura in una sorta di eremitaggio. Viene descritto da chi
l’ha conosciuto come un maniaco perfezionista, attento alla scelta di ogni
singola parola e addirittura fissato sulla precisione della pagina battuta a
macchina. Samuel Dashiell Hammett nasce
nel 1894 a St. Mary County nel Maryland. All'età di quattordici anni è
costretto ad abbandonare gli studi a causa della precaria situazione finanziaria
della famiglia. Dopo alcuni anni passati a svolgere i lavori più svariati (da
operaio per le ferrovie ad agente di cambio), all'età di venti anni viene
assunto dalla Agenzia Investigativa Pinkerton, contattata attraverso un annuncio
pubblicitario. Nel 1918 si arruola nel Motor Ambulance Corps dell'esercito
americano. E' in questo periodo, siamo durante la prima Guerra Mondiale, che in
seguito ad una influenza, si ammala di tubercolosi. Nel 1919 riprende il suo
lavoro di investigatore per la Pinkerton, ma sempre a causa della tubercolosi si
vede costretto ad una serie di ricoveri ospedalieri. In ospedale conosce una
infermiera che diverrà sua moglie ed insieme a lei si stabilisce a San
Francisco, dove riprende a lavorare per la Pinkerton fino al 1922. A questo
punto, sempre perseguitato dal suo stato di salute, abbandona definitivamente
l'attività di detective e si dedica alla scrittura a tempo pieno.
I
personaggi Continental
Op
- Il protagonista di moltissimi racconti del primo periodo di Hammett è
l'anonimo "Continental Op" (Continental Operator), un detective
privato al servizio dell'Agenzia Continental, fisicamente grassoccio e cinico di
carattere.
Sam
Spade
- Il terzo romanzo di Hammett, The Maltese Falcon (Il Falco Maltese) del 1930,
vede come protagonista il detective privato Sam Spade. Questo
personaggio diventerà il simbolo stesso dell'autore, come Philip Marlowe per
Chandler. Nota curiosa è il fatto che, al contrario di Chandler, che dedicò
tutti i suoi romanzi al personaggio, Sam Spade appare solo in questo romanzo e
in alcuni racconti. A contribuire alla fama di Spade è stata certamente la
perfetta interpretazione, nella versione cinematografica del romanzo, ad opera
di Humphrey Bogart (che fu altrettanto perfetto in altra sede nei panni di
Marlowe) nel film diretto da John Houston nel 1941. Ma il motivo principale
resta indubbiamente la caratterizzazione fornitagli dall'autore: Sam Spade è
ancora più cinico, freddo e calcolatore dei precedenti personaggi creati da
Hammett. La sua maggior dote è l'abilità diabolica di manipolare ogni cosa a
proprio favore e la disinvoltura nel barcamenarsi in complicatissime situazioni,
ricorrendo alla menzogna e al raggiro. E' quanto di più ambiguo si potrebbe
immaginare nei panni "dell'eroe positivo". Certamente Spade è
motivato da una propria morale, regolata da un proprio codice d'onore. Ma la
vera filosofia di vita di Spade, la radice del suo pensiero, è la sopravvivenza
ad ogni costo in un mondo la cui visione è altrettanto pessimistica quanto
quella mostrata anche da alcuni autori contemporanei. Mai come in questo caso la
trama del romanzo diventa relativa di fronte ad un personaggio che regge da sè
la narrazione, nulla togliendo ad una storia ottimamente congeniata. RAYMOND CHANDLER
L’autore Raymond Chandler fu per alcuni il più
grande, per altri il più decadente, ma sicuramente, all’unanimità, il più
romantico fra tutti i romanzieri hard-boiled. Nato il 23 luglio 1888 a Chicago,
Illinois, da padre Quacchero e madre Irlandese, visse con la madre divorziata e
compì i suoi studi in Inghilterra, facendo ritorno negli Stati Uniti,
stabilmente, solo alla fine della Prima Guerra Mondiale. Negli anni che
precedettero la Grande Crisi, in veste di funzionario amministrativo e
contabile, Chandler viaggiava su e giù per la costa occidentale intento a
controllare i bilanci e le spese per conto di una serie di piccole, ma floride,
compagnie petrolifere. I tempi in cui le giornate trascorrevano serenamente in
compagnia di poeti e dei loro versi, di compagni di College e dei Classici della
letteratura, erano lontani. Lontani anche i giorni spesi presso l’Ammiragliato
Inglese nel servizio civile e quelli della Guerra, trascorsi in Francia e in
Inghilterra prestando servizio nel Corpo di Spedizione Canadese. Da poco morta
la madre, cui era attaccatissimo, si era sposato il 8 febbraio 1924 con Pearl
Cecily Bowen di diciassette anni più grande e divorziata da quattro. Ormai era
uno stimato uomo d’affari che percorreva la costa per amministrare gli
interessi dei suoi clienti. Durante le monotone e solitarie serate trascorse in
alberghi anonimi di città che non conosceva, era solito ammazzare il tempo
leggendo, anzi divorando, i racconti pubblicati dalle riviste popolari del
tempo: SmartSet, BlackMask, Dime Detective Monthly. Racconti d’azione e di
delitti , scritti spesso con scarse pretese letterarie ma non per questo privi
di una loro efficacia e di uno stile proprio ben riconoscibile. L’ avvento
della Grande Crisi però era alle porte a minacciare questa rassicurante
stabilità. Le piccole compagnie indipendenti iniziarono a chiudere i battenti,
e la disoccupazione raggiunse percentuali fino ad allora mai viste. Trovare un
lavoro era decisamente impresa ardua e fu così che Chandler decise di provare a
scrivere lui stesso qualche storia da vendere ai giornali , sul genere di quelle
lette tante volte sui Pulp Magazine. Dobbiamo immaginare che la conoscenza che
ne aveva, unitamente agli studi umanistici compiuti non gliele facesse sembrare
irraggiungibili. Dashiell Hammett, che scriveva racconti su Black Mask, era tra
i suoi preferiti e così decise di
cimentarsi sulla scia di questi, proponendo il suo primo racconto.
Chandler fu sempre uno scrittore lento, tra il 1933 ed il 1939 scrisse
soltanto 19 romanzi 'pulp' ( al contrario della maggior parte dei suoi fin
troppo prolifici colleghi ). Nel suo quarto romanzo “Killer in the rain”
Chandler introduce il personaggio che lo avrebbe reso famoso, il detective Philp
Marlowe. Trentotto anni, cinico ma profondamente onesto Marlowe e' una sorta di
cavaliere dei tempi moderni. Appare in 9 romanzi, ma il migliore (e
certamente il piu' famoso, anche grazie alla trasposizione cinematografica fatta
nel 1946 dalla Warner Bros con H.Bogart e L.Bacall) e' sicuramente The Big Sleep
del 1939. Anche se inizialmente passo' abbastanza inosservato, oggi The Big
Sleep e' considerato una delle pietre miliari della letteratura hard-boiled
americana. Raymond Chandler ebbe occasione di collaborare parecchie volte con
Holliwood, ma non fece mai mistero di non trovarsi a proprio agio nell'ambiente
del cinema, pur apprezzandone i vantaggi economici. I produttori del resto
ricambiavano questa diffidenza, intimoriti dalle tematiche dei suoi romanzi che,
spesso, trattavo di sesso, corruzione, pornografia ed omosessualita'. Chandler
non si riprese mai completamente dalla morte della moglie nel 1954, si trasferi'
in Europa ( dove incontro' fra gli altri Ian Fleming - il padre di 007 - e Lucky
Luciano ). Mori' il 26 Marzo 1959 all'eta' di 71 anni.
Il personaggio Philippe Marlowe - Marlowe non è un duro nel senso dei
personaggi di Hammett, ma può diventarlo all’occasione, può essere un uomo
pericoloso ma sempre dotato di un forte senso di solidarietà, cinico ma
generoso, pronto a incassare, ma subito dopo a restituire i colpi ricevuti. Il
sapore amaro che spesso sente in bocca è dovuto essenzialmente al fatto che,
nonostante tutto, il marcio che lo circonda è qualcosa a cui non si è ancora
assuefatto, e che continua a disgustarlo. E’ sempre pronto, se il cliente gli
va a genio e sempre a 25 dollari al giorno che al massimo arrivano a 40, a
lanciarsi anche in imprese che difficilmente potranno rivelarsi adeguatamente
remunerative, rispetto ai rischi che comportano, ma il suo senso dell’onore
accompagnato da una forte tendenza a schierarsi dalla parte del più debole e a
contrastare l’ingiustizia lo guidano a percorrere anche le strade più strette
e più ardue…..”e comunque senza mai parlarne troppo” ( R.Chandler, saggio
“The simple art of murder” 1944). Sa molto bene che non può cambiare il
modo in cui vanno le cose, che non può ripulire il mondo da quella patina di
sporco che lo ricopre né cambiare le regole di un gioco che sempre più spesso
prevede la sopraffazione e la
violenza
come modus operandi, ciononostante continua a provarci solo per impossibilità
ad agire diversamente. Ama, da uomo sano, le donne, l’alcool, il tabacco ma
ancor di più di questi ama le sue regole etiche che riesce a non tradire mai.
E’ un abile giocatore di scacchi e a volte si cimenta in lunghe partite
notturne solitarie, riproducendo incontri famosi tra professionisti. E’
decisamente un solitario, anche se le presenze femminili nella sua vita si
alternano con una discreta frequenza, eppure nell’ultimo romanzo prende
moglie. La sua Crociata consiste nell’essere lì ancora a provarci, facendo
del proprio meglio per combattere l’ingiustizia e la prevaricazione, pur ben
sapendo che non si può svuotare una vasca con un contagocce. La metropoli non
muta il suo carattere vizioso e decadente, il mondo in cui viviamo non è dei
migliori, e sull’ Umanità è difficile illudersi ancora, ma è qui che
viviamo ed è qui che prestiamo la nostra opera. Per quanto la lotta sia impari,
esiste un solo fronte su cui schierarsi.
a detective pulp magazine
Shaw was an unsuccessful adventure story writer who was appointed editor of Black
Mask in 1926. Through nepotistic contacts in New York, he was placed in
charge of a magazine with which he said he "had not even a bowling
acquaintance." He nevertheless approached his task with vocational verve.
His editorial agenda demanded clarity and plausibility. He once said, "We
always held that a good story is where you find it regardless of author fame or
medium of publication. It has been said that with proper materials available, a
good mouse trap can be built anywhere."
Seduti da sinistra: Arthur Barnes, John K. Butler, W. T.
Ballard, Horace McCoy, Norbert Davis
L’autore
Inizia così a pubblicare una lunga serie di racconti su rivista, prima per
"Smart Set" e poi su "Black Mask", con cui inizia a
collaborare nel dicembre del 1922. Nel
1923 scrive il primo racconto con il personaggio Continental Op, che comparirà
in 28 racconti e due romanzi. Dal 1929 si dedica soprattutto a un altro
investigatore privato, Sam Spade, che diventerà uno dei personaggi più celebri
del romanzo giallo americano. Dopo aver scritto il suo quinto e ultimo romanzo,
si mise a lavorare per il cinema e si dedicò all'attivismo politico di
sinistra. Nel 1942 riuscì ad arruolarsi di nuovo, nonostante la tubercolosi, e
fu inviato con il rango di sergente nelle Isole Aleutine, dove curò un giornale
dell'esercito. Quando tornò in America era affetto da enfisema e il suo
alcolismo era peggiorato. Nel 1948 riuscì a liberarsi dal vizio dell'alcool, ma
iniziò a pagare per le sue idee politiche. Per aver contribuito in qualità di
tesoriere a un fondo per la cauzione di sospettati comunisti in attesa di
processo, fu processato e costretto a testimoniare sui nomi dei contribuenti al
fondo. Hammett rifiutò di testimoniare e fu condannato a sei mesi di carcere
per oltraggio alla corte. Al suo ritorno in libertà scoprì che il suo nome era
sulle "liste nere": Hollywood troncò ogni rapporto di lavoro con lui
e le trasmissioni radiofoniche basate su materiale dello scrittore furono
sospese. Fu di nuovo citato in tribunale contro lo stato, per una causa di tasse
arretrate che si chiuse con la confisca di ogni suo bene. Hammett si ritirò in
solitudine, in stato di povertà, vivendo da solo fino al 1956, quando il
continuo aggravarsi della sua salute lo costrinse, malgrado il proprio orgoglio,
a trasferirsi in casa della Hellman. Successivamente la tubercolosi si trasformò
in cancro e diede inizio un'agonia destinata a protrarsi fino al 10 gennaio 1961
quando Hammett morì in un ospedale di New York. Come veterano di due guerre
mondiali, fu sepolto al cimitero nazionale di Arlington.
I casi in cui è coinvolto sono narrati in prima persona con uno stile
didascalico, freddo e distaccato di cui Hammett fu maestro. Le trame per queste
storie venivano ricavate da casi veri di cui lo scrittore stesso fu testimone o
che gli venivano raccontate da altri colleghi. E' proprio da quel bagaglio di
esperienze vissute che Hammett ricava una sintesi stilistica di aderenza alla
realtà, il tutto unito ad uno stile personale, asciutto, secchissimo e privo di
fronzoli. L'insieme di questi fattori (la dote personale abbinata ad una reale
conoscenza "dell'ambiente") impongono Hammett come maestro e padre del
genere "Hard Boiled", a cui in seguito si ispirò Raymond Chandler per
il suo Marlowe.
La
nascita di Superman
Il
pianeta Kripton sta per essere distrutto da una catasrtofe cosmica e il padre di
Superman, abile scienziato, è riuscito a mettere in salvo il proprio figlio
mettendolo su un veicolo spaziale. Cresciuto sulla terra, Superman si trova
dotato di poteri sovrumani: la sua forza è illimitata, può volare alla velocità
della luce e possiede una vista a raggi x. Ma non è finita qui, egli infatti è
buono, bello, umile e servizievole: la sua vita è dedicata alla lotta contro le
forze del male e la polizia ha in lui un collaboratore instancabile. Superman
però decide di vivere tra gli uomini sotto le mentite spoglie del giornalista
Clark Kent; e come tale è un tipo apparentemente pauroso, timido, di mediocre
intelligenza, un po' goffo, miope, succube della collega Lois Laine che lo
disprezza, essendo pazzamente innamorata di Superman. Clark Kent sta al lettore
tipico medio, assilatto da complessi e disprezzato dai suoi simili come Superman
sta ai miti antichi, a icone archetipiche, somma di aspirazioni collettive.
Questa doppia identità è fondamentale per il successo del personaggio: se da
una parte l'eroe positivo deve incarnare oltre ogni limite pensabile le esigenze
di potenza che il cittadino comune
nutre e non può soddisfare, dall'altra parte il lettore riesce facilmente ad
identificarsi nell'alter-ego giornalista, pieno di problemi.
La
serializzazione del mito
Prenderemo ora in analisi le avventure
di Superman apparse su comics o strips dalla sua prima apparizione fino al primo
dopoguerra; successivamente con la cosiddetta silver age dei comics il
linguaggio dei fumetti e la loro struttura hanno subito tali cambiamenti e
sviluppi da non essere assimilabili a quelli antecedenti.
Come
abbiamo visto, Superman possiede tutte le caratteristiche di un personaggio
mitologico anche se opera in un contesto attuale e viene proposto serialmente al
pubblico.
Nella
tradizione storica e popolare, il “mito” ha una serie di avventure che tutti
conoscono e queste vengono riproposte all’infinito (con qualche abbellimento
romanzesco, ma il contenuto non cambia). Ad esempio quando veniva raccontata la
storia di Orlando Paladino, il pubblico non si aspettava di ascoltare una nuova
vicenda ma pretendeva di sentirsi raccontare in modo piacevole un mito,
ripercorrendo lo sviluppo conosciuto ogni volta in modo più ricco ed intenso.
I
fumetti ed i personaggi che appaiono in essi, invece, nascono nell’ambito di
una civiltà del romanzo, in cui l’interesse del lettore è incentrato sulla
vicenda e su ciò che non conosce di essa (anche se come visto nell’analisi
dei romanzi gialli resta comunque un desiderio di reiterazione a livello
inconscio ma più legato al personaggio che alla vicenda in sè).
Il
personaggio mitologico del fumetto (in questo caso Superman) si trova quindi in
una situazione singolare: egli deve essere un archetipo e quindi deve
necessariamente immobilizzarsi in una sua fissità che lo renda facilmente
riconoscibile; ma poiché è commercializzato nell’ambito di una produzione
romanzesca ed è consumato da lettori abituati a tale struttura narrativa, egli
deve piegarsi allo sviluppo caratteristico del personaggio del romanzo.
I
soggettisti di Superman si trovano però davanti altri problemi: egli infatti è
il tipico personaggio che nulla può contrastare, rischia quindi di essere un
eroe senza avversario; per precise ragioni commerciali (il pubblico non è
abituato a seguire una vicenda per più settimane e perciò le sue avventure si
esauriscono nel giro di poche pagine) non possono essere elaborate storie troppo
impegnative ed a lunga gittata.
Vengono
così escogitati espedienti che al giorno d’oggi possono far sorridere per la
loro ingenuità: Superman viene indebolito dalla kriptonite, un metallo che
proviene dal suo pianeta natale (il nemico di turno cercherà quindi in tutti i
modi di farne incetta per sconfiggere l’eroe); nulla può inoltre contro la
magia dello gnomo Mxyzptlk che può essere ricacciato nella propria dimensione
solamente facendogli pronunciare il proprio nome al contrario.
Se questi accorgimenti risolvono il problema dei nemici e della short-story, nulla possono contro il tempo che passa. Superman è mito (e perciò inconsumabile) a condizione di essere immerso nella vita quotidiana, nel presente, legato alle nostre stesse condizioni di vita e di morte anche se dotato di facoltà superiori. Superman immortale non sarebbe più uomo, ma dio, e l’identificazione del pubblico con la sua doppia personaltà cadrebbe nel vuoto. Egli deve dunque rimanere incosumabile e tuttavia consumarsi secondo i modi dell’esistenza quotidiana.
Per
ovviare a tale problema le storie di Superman vengono fatte svolgere in una
sorta di clima onirico in cui risulta molto difficile per il lettore (e in
alcuni casi anche per l’autore) capire cosa sia venuto prima e cosa dopo, e
chi racconta riprende sempre il filo della vicenda come se si fosse dimenticato
di dire qualcosa e volesse aggiugere particolari a quanto aveva già detto.
Vengono quindi proposte a lato delle avventure di Superman quelle di Superboy e
Superbaby (vale a dire Superman da ragazzo e da piccolissimo). Ad un certo punto
si scopre che Superman ha una cugina, Supergirl, scampata anch’essa al
disastro di Kripton; le vicende dell’eroe vengono perciò raccontate
nuovamente tenendo conto di questo personaggio. Attraverso la posta dei lettori
prendono poi forma i primi “What if…?” ad esmpio “cosa succederebbe se
Superman sposasse Lois Lane?” che offrono illimitati spunti narrativi. A tal
proposito nascono in seguito veri e propri “elseworld” cioè mondi paralleli
in cui qualcosa è successo in maniera differente. Fondamentali per concludere
il discorso sono i cossiddetti “untold tales” avvenimenti già raccontati ma
di cui si era trascurato di dire qulcosa. Questi non sono altro che le
“aggiunte” fatte dai cantori raccontando i miti popolari e quindi la
reiterazione di storie gia conosciute con l’inserimento di piccoli
arricchimenti.
Esaminiamo
infine Krazy Kat di George Harriman, apparso nelle edicole statunitensi tra il
1911 e terminato nel 1944 con la morte dell’autore.
I
protagonisti sono tre: un gatto , dal sesso imprecisato, probabilmente una
gatta; un topo, Ignatz Mouse; un cane in funzione del poliziotto, Offsa Pop. Un
disegno singolare per certe sue sforate surrealistiche, specie nei paesaggi
lunari e improbabili, fatti apposta per sottrarre la vicenda ad ogni
verosimiglianza. La situazione: il gatto ama follemente il il topo e il topo,
malefico, odia e tiranneggia il gatto, di preferenza colpendolo alla testa con
un mattone (Tavole 1, 2 e 3). Il cane cerca in ogni momento di proteggere il
gatto (Tavole 3 e 4), ma il gatto disprezza questo suo amore senza riserve; egli
ama il topo ed è sempre pronto a giustificarlo (Tavola 4). Da questa
situazione, assurda e senza particolari situazioni comiche, l’autore traeva
una serie infinita di variazioni basandosi su un fatto strutturale che è di
fondamentale importanza per la comprensione del fumetto in genere: la storia
giornaliera o settimanale, la striscia tradizionale, anche se racconta un fatto
che si conclude nel giro di quattro vignette, non funziona presa a sé, ma
acquista ogni sapore solo nella sequenza continua e testarda che si snoda,
striscia dopo striscia, giorno per giorno. Non solo ogni puntata esaurisce una
vicenda, ma la “saga” ne suo complesso trae valore proprio dal sistema
reiterativo con cui le varie vicende concluse si addensano una sull’altra, da
un lato portando all’esasperazione alcuni elementi fissi, dall’altra
giocando proprio sulla riconoscibilità di tali elementi e non usandoli come
artifizi per coordinare la memoria del lettore, ma come veri e propri oggetti di
un’ironia cosciente. In Krazy Kat la poesia nasceva da una certa cocciutaggine
lirica dell’autore che ripeteva all’infinito la sua vicenda, variando sempre
sul tema, e solo a quel patto le cattiverie del topo, la pietà senza ricompense
del cane e il diperato amore del gatto raggiungevano quella che a molti critici
parve una vera e propria condizione di poesia.
In
un fumetto del genere lo spettatore, non sollecitato dalla gag straripante, dal
riferimento realistico a caricaturale, da un qualsivoglia appello al sesso o
alla violenza, sottratto quindi alla routine di un gusto che lo portava a
cercare nel fumetto il soddisfacimento di determinate esigenze, scopriva così
la possibilità di un mondo esclusivamente allusivo e un gioco di sentimenti non
banali.
Tavola 1 Tavola 2 Tavola 3 Tavola 4
LO
STRUTTURALISMO IN LINGUISTICA E NARRATOLOGIA
Ferdinand
de Saussure distingue tra langue e parole (in italiano:
tra lingua e parola), cioè tra il linguaggio come sistema,
che preesiste qualsiasi singola lingua, e l'espressione linguistica, quella che
effettivamente i parlanti utilizzano. In altri termini, la langue
rappresenta l'aspetto sociale del linguaggio, il sistema linguistico che ognuno
di noi inconsciamente condivide con tutti i parlanti della propria lingua; la parole
rappresenta la realizzazione individuale della langue.
Questa distinzione sta alla base di tutte
le successive teorie strutturaliste. Infatti, gli studi linguistici
strutturalisti si caratterizzano per avere, come oggetto, il sistema che implica
qualsiasi tipo di campo umano di significato, e non le realizzazioni
individuali. Secondo Saussure, le parole non sono simboli che corrispondono agli
oggetti del mondo che ci circonda (i referenti), ma segni
costituiti da due parti: il significante
e il significato. Il
significante è la parte concreta, tangibile del segno (suoni, disegni,
inchiostro, gesti, ecc.); il significato è il concetto racchiuso nel segno
(quello che si "pensa" vedendo o sentendo la parte concreta del
segno). Ad esempio: al semaforo, il significante "colore rosso" è
legato al significato "fermarsi", e il significante "colore
verde" al significato "avanzare". Altro esempio: con un
campanello, il significante "suono driiin" è legato al significato
"aprite la porta". Ancora: su un libro, le macchie d'inchiostro
"Ciao" sono legate al significato di "saluto".
Il filosofo americano C. S, Peirce ha distinto tra tre tipi di segno: quello
"iconico" (che assomiglia al suo referente; per esempio il disegno di
una nave), quello "indessicale" (che mantiene una relazione,
possibilmente causale, col referente; per esempio le nuvole come segno della
pioggia), e quello "simbolico" (che non ha nulla a che fare col
referente).
Nonostante queste distinzioni, rimane il fatto che il
segno è arbitrario: anche il più iconico tra i segni è stato
convenzionalmente (e dunque arbitrariamente) scelto per rappresentare
un certo referente.
I primi studi strutturalisti si sono
concentrati sull'analisi dei fonemi, cioè delle parti più piccole del sistema
linguistico dotate di significato. Il concetto principale di questo modo di
concepire il linguaggio è quello di considerarlo come un sistema in cui ogni
elemento si oppone ad un altro elemento; un sistema perciò costituito
da opposizioni binarie.
La
teoria linguistica strutturalista è estesa da Roland
Barthes a tutte
le pratiche sociali. Ogni campo dell'umano si caratterizza dunque per avere
singole ed individuali realizzazioni (o espressioni) di un sistema generale
originario. Se è vero che ogni sistema col tempo può cambiare, lo
strutturalismo si basa sull'idea in ogni dato momento esso possa essere studiato
così come si presenta. Per questa ragione lo strutturalismo è uno studio
sincronico (e non
diacronico) dei fenomeni umani.
Gli strutturalisti considerano la
letteratura come un sistema che ha molte affinità col sistema linguistico. In
effetti, la letteratura veicola i suoi significati attraverso l'uso del
linguaggio. Perciò la teoria narratologica strutturalista si basa su
presupposti molto simili alla teoria strutturalista del linguaggio. Così, come
in linguistica si divide il linguaggio nelle sue diverse parti costitutive
(fonemi, morfemi, ecc., ecc.: in breve, in elementi sintattici), anche la
narratologia divide il testo nelle sue parti costitutive: agente, azione, ecc.:
nasce la sintassi narrativa.
Vladimir Propp
sviluppa la sua teoria delle fiabe russe a partire da questa concezione
sintattica del testo. Oltre ad individuarne i soggetti principali (l'eroe, il
cattivo, l'aiutante, ecc.), egli ne enuncia anche le parti fondamentali:
"un difficile compito assegnato all'eroe"; "risoluzione del
compito"; "ricognizione dell'eroe"; "denuncia del
cattivo"; "punizione del cattivo"; "premiazione dell'eroe
tramite matrimonio e ascesa sociale".
Queste funzioni narrative
sono applicabili a quasi tutti i tipi di testo, e non solo alle fiabe, anche se
soltanto dopo un'adeguata rielaborazione.
L'antropologo
strutturalista Claude Lévi-Strauss
analizza il mito di Edipo secondo criteri strutturalisti. Egli individua le unità
minime del mito e le chiama mitemi,
organizzandole secondo opposizioni binarie (proprio come le unità del
linguaggio come i morfemi, i fonemi.ecc.).
A. J. Greimas offre
un'interessante rielaborazione della teoria di Propp: invece di soffermarsi
unicamente su un solo genere narrativo, come la favola, egli allarga le funzioni
narrative in modo da costituire una "grammatica" narratologica
universale. Le sue categorie binarie sono: 1. Soggetto/Oggetto; 2. Destinatario/Destinatore;
3. Aiutante/Oppositore; ecc. Ad ognuna corrisponde un momento (o una parte)
della narrazione: 1. Desiderio, ricerca, o compito; 2. Comunicazione; 3.
Supporto o impedimento ausiliare.
In questo senso Greimas è più "strutturalista" di Propp, perché
riorganizza le funzioni narratologiche inserendole tutte in opposizioni binarie,
mentre Propp le considera tutte in relazione le une con le altre.
Egli, inoltre, riduce le 31 funzioni
individuate da Propp a sole 20, e le raggruppa in 3 categorie: sintagmi
contrattuali (in cui si stabiliscono regole o si stipulano contratti), sintagmi
performativi (in cui si svolgono azioni) e sintagmi disgiuntivi.
Tzvetan Todorov svolge
un lavoro di rielaborazione dei lavori di Greimas e Propp. Egli distingue tra
sequenza e testo.
Un gruppo di proposizioni forma una sequenza.
La sequenza-base è costituita da cinque proposizioni che descrivono un certo
stato che viene disturbato e poi nuovamente ristabilito in una forma alterata.
Una successione di sequenze forma un testo.
Gérard Genette
parte dall'analisi dell'opera di Proust intitolata A'
la recherche du temps perdu per approfondire la
distinzione tra storia
e plot - o fabula
e intreccio.
Egli
divide la narrazione in tre livelli: storia,
discorso e narrazione.
Ad esempio, nel romanzo La coscienza di Zeno: Zeno è colui che racconta la
storia (livello della narrazione), il personaggio la racconta tramite un
discorso verbale (livello del discorso), e il suo discorso rappresenta una serie
di eventi in cui lui appare come personaggio (livello della storia).
Questi
tre livelli sono legati a tre aspetti narrativi, che Genette individua a partire
da tre qualità verbali: tempo, modo e voce. In
particolare, la distinzione tra modo e voce chiarifica la nozione di "punto
di vista", che spesso erroneamente viene intesa mescolando le due cose.
Secondo Genette, mentre, di fronte a un testo, la domanda «qual è il
personaggio su cui è focalizzata la narrazione?» o «chi vede?» appartiene al
problema del modo, la domanda «chi è il narratore?» o «chi parla?»
appartiene invece al problema della voce.
ROLAND
BARTHES
Vita
e Opere
Roland
Barthes nacque a Cherbough, in Normandia. Dopo la morte del padre in una
battaglia navale nel 1916, la madre, Henriette Binger Barthes, si trasferì a
Bayonne, dove Roland trascorse la sua infanzia. Nel 1924 si trasferirono a
Parigi, dove egli frequentò prima il liceo Montaigne (1924-30) e poi il
Louis-le-Grand (1930-34). Nel 1927, Henriette diede alla luce un figlio
illegittimo, Michel Salzado. Quando i nonni di Roland si rifiutarono di aiutare
sua madre dal punto di vista economico, questa mantenne la sua famiglia
lavorando come rilegatrice di libri. Alla Sorbona, Roland studiò la letteratura
classica, le tragedie greche, la grammatica e la filologia, laureandosi in
letteratura classica (1939) e grammatica e filologia (1943). Nel 1934 contrasse
la tubercolosi e trascorse gli anni dal 1934 al 1935 e dal 1942 al 1946 in dei
sanatori. Durante l’Occupazione, si trovava in un sanatorio a Isère. Numerose
ricadute gli impedirono di terminare la sua tesi di dottorato, ma egli continuò
a leggere avidamente, fondò una compagnia teatrale e incominciò a scrivere. Fu
insegnante in dei licei di Biarritz (1939), Bayonne (1939-40), Parigi (1942-46),
all’Istituto Francese di Bucarest (1948-49), all’Università di Alessandria
d’Egitto (1949-50) e alla Direzione Generale degli Affari Culturali (1950-52).
Dal 1952 al 1959 lavorò come ricercatore al Centro Nazionale della Ricerca
Scientifica, dal 1960 al 1976 fu direttore degli studi presso l’Ecole Pratique
des Hautes Etudes. Negli anni 1967-68 insegnò alla John Hopkins a Baltimore, e
dal 1976 al 1980 ebbe la cattedra di semiologia al Collège de France. Nel 1953
pubblicò Il grado zero della scrittura: il libro fu dapprima pubblicato
sotto forma di articoli nella rivista di Albert Camus, “Combat”.
Quest’opera confermò Barthes come uno dei critici di maggior rilievo della
letteratura modernista in Francia e introdusse il concetto di écriture
in quanto distinto dallo stile, dal linguaggio e dalla scrittura. Quest’opera
aveva molte affinità con quelle degli scrittori del nouveau roman. Egli
fu il primo critico a definire gli obiettivi degli scritti di Alain
Robbe-Grillet e Michel Butor. Inoltre, considerò le condizioni storiche del
linguaggio letterario e ribadì la difficoltà di una pratica moderna di
scrittura: dedito al linguaggio, lo scrittore è immediatamente assorbito in
ordini discorsivi particolari.
In
Michelet par lui-même (1954), una biografia di Jules Michelet, storico
del XIX secolo, Barthes si concentrò sulle ossessioni personali di Michelet e
ritenne che esse fossero parte del suo modo di scrivere e che dessero una realtà
esistenziale ai momenti storici collegati alla scrittura dello storico. In Mitologie
(1957), impiegò dei concetti semiologici nell’analisi dei miti e dei segni
nella cultura contemporanea. I suoi materiali di studio erano costituiti da
quotidiani, film, spettacoli, mostre, a causa della loro relazione con l’abuso
ideologico. Il suo punto di partenza non risiedeva nei giudizi tradizionali e
nello studio delle intenzioni dell’autore, ma nel testo stesso in quanto
sistema di segni, la cui struttura soggiacente forma il significato
dell’intera opera. Un’agenzia di pubblicità trovò i suoi lavori talmente
interessanti che lo persuase a lavorare per un breve periodo come consulente per
la Renault.
Lo
studio Su Racine (1963) originò qualche controversia a causa del
giudizio non ortodosso di Barthes nei riguardi di Racine. Raymond Picard,
professore della Sorbona e studioso di Racine, criticò nella sua Nuova
critica o nuova impostura? (1965) la natura soggettiva dei saggi di Barthes.
Per tutta risposta, in Critica e verità (1966), Barthes auspicava che
una “scienza della critica” potesse sostituire la “critica
universitaria” perpetuata da Picard e dai suoi colleghi. Barthes raccomandava
inoltre che il criticismo diventasse una scienza e mostrasse che i termini e gli
approcci critici sono connessi all’ideologia della classe dominante. I valori
di chiarezza, nobiltà e umanità, considerati come base ovvia per ogni tipo di
ricerca, secondo lui costituivano in realtà una censura nei confronti di altri
tipi di approcci.
Durante
la sua carriera, pubblicò saggi più che studi veri e propri, presentando le
sue opinioni sotto forma di aforismi soggettivi e non di ipotesi teoriche. Ne Il
piacere del testo (1973), egli sviluppò ulteriormente le sue idee sulle
dimensioni personali in relazione al testo. Analizzò anche il suo desiderio di
leggere secondo le sue preferenze, le sue avversioni e le sue motivazioni
associate a tale attività. L’impero dei segni (1970) fu scritto dopo
che egli visitò il Giappone e tratta dei miti di quel paese.
In
Elementi di semiologia (1964), organizzò le sue opinioni a proposito
della scienza dei segni, basandosi sul concetto di linguaggio e sull’analisi
del mito e del rituale di Ferdinand de Saussure. Barthes fornì poi la sua
applicazione più approfondita della linguistica strutturale in S/Z
(1970). Analizzando punto per punto una novella di Balzac, Sarrasine,
considerò l’esperienza della lettura e le relazioni del lettore in quanto
soggetto nei confronti del movimento linguistico all’interno dei testi.
Secondo lui, la critica classica non aveva mai considerato debitamente il
lettore. Ma il lettore è lo spazio dove tutti i molteplici aspetti del testo si
incontrano. Infatti, l’unità di un testo non risiede nella sua origine, ma
nella sua destinazione. Lo studio diventa il punto focale e il modello per una
critica letteraria a più livelli, grazie alla sua concentrazione analitica
sugli elementi strutturali che costituiscono l’insieme letterario.
L’ultimo
libro di Barthes fu La camera chiara (1980), in cui la fotografia viene
considerata in quanto mezzo di comunicazione. Fu scritto nel corto lasso di
tempo tra la morte della madre e la propria. La fotografia, e soprattutto i
ritratti, erano per lui “una magia, non un’arte”. Durante la sua vita,
egli visse sempre con o vicino a sua madre, la quale morì nel 1977, mentre
Barthes morì più tardi a Parigi, in seguito a un incidente stradale avvenuto
il 23 marzo del 1980. Pubblicato postumo, il libro Incidenti (1987) rivelò
l’omosessualità dell’autore e le sue passioni segrete.
Il
Pensiero
Tra
gli anni 40 e la fine degli anni 50, Barthes insegnò per brevi periodi a
Bucarest, in Egitto e a Parigi. In quell’epoca, pubblicò importanti opere
critiche, quali Il grado zero della scrittura, Michelet par lui-même,
Mitologie e una moltitudine di saggi autorevoli sul teatro, il nouveau
roman e altri temi. Nel 1960, ottenne un posto più stabile all’Ecole
Pratique des Hautes Etudes (EPHE) a Parigi, dove, nel 1962, divenne Direttore
degli Studi in “Sociologia dei segni, dei simboli e delle rappresentazioni”.
Il suo incarico all’EPHE corrispose a una seconda fase nella sua carriera. Già
critico e intellettuale insigne, incominciò da allora a pubblicare lavori di
rilievo nell’ambito dello strutturalismo e della semiologia. Gli ultimi saggi
nei suoi Essais critiques trattano soprattutto dei cambiamenti che questi
movimenti stavano apportando alle nozioni accademiche e intellettuali della
critica, della letteratura e dell’interpretazione. Durante gli anni 60, egli
pubblicò anche importanti opere semiologiche che prendevano spunto dallo
strutturalismo, come gli Elementi di semiologia, il suo rilevante saggio
del 1966 sull’analisi strutturale delle narrative letterarie e infine Il
sistema della moda. Gli anni successivi all’EPHE furono caratterizzati da
una serie di brillanti articoli e libri che lo videro andare oltre un approccio
strettamente semiologico e strutturalista, verso una posizione che divenne
conosciuta come post-strutturalista. L’impero dei segni, S/Z, Sade,
Fourier, Loyola, Il piacere del testo e Roland Barthes,
assieme ad alcuni saggi che ancora oggi sono molto influenti, quali La morte
dell’autore, pubblicato per la prima volta nel 1968, confermarono Barthes
come forse lo scrittore più importante di un periodo che molti considererebbero
il culmine della teoria e della critica letteraria, a partire dalla Seconda
Guerra Mondiale. Negli ultimi lavori di questa insigne lista di libri, egli
sviluppò una nuova teoria erotica e fortemente personale di lettura e di
scrittura. L’ultima sua opera, infatti, è segnata dall’interesse per
l’effetto fisico della letteratura e di altre forme d’arte, per i piaceri
edonistici offerti al lettore dai testi letterari, dalla musica e dalla
fotografia, e infine per la violenza (la repressione di tali piaceri e reazioni
fisiche) insita nel linguaggio stesso. Gli fu assegnata una cattedra di
semiologia letteraria al Collège de France nel 1976. Nel suo famoso discorso
inaugurale dichiarò che “il linguaggio – la realizzazione concreta di un
sistema linguistico – non è né reazionario né progressista; è piuttosto
semplicemente fascista”. Le sue ultime opere, in modo particolare il suo libro
sul discorso dell’innamorato, Frammenti di un discorso d’amore, e la
sua analisi della fotografia nel contesto della morte di sua madre, La camera
chiara: nota sulla fotografia, incominciarono a condurre tale visione del
linguaggio, e quindi anche della scrittura, in un ambito in cui il lavoro
teorico veniva sostituito da un genere di discorso che egli denominò
“romanzesco”.
Se
alla fine Barthes avrebbe tentato di scrivere un romanzo, o se i suoi ultimi
lavori costituiscono già un tipo di scrittura romanzesca, è ancora un punto
che viene discusso dagli studiosi, dai teorici e dai critici della sua opera.
Forse la domanda resterà senza una risposta, siccome egli non visse tanto a
lungo da terminare i progetti che aveva in animo alla fine degli anni 70. Dopo
essere stato a pranzo dal futuro Presidente della Repubblica, François
Mitterand, venne investito mentre stava attraversano la rue des Ecoles, il 25
febbraio 1980. Morì all’incirca un mese dopo. Varie sue opere sono state
pubblicate postume, in particolare diversi brevi diari tenuti dal 1969 al 1979.
La pubblicazione di questi testi è particolarmente notevole per la descrizione
esplicita dell’omosessualità dell’autore. L’importanza di Barthes
nell’ambito della storia culturale e intellettuale francese è stata anche
onorata dalla pubblicazione di tutte le sue opere in Oeuvres complètes
(3 voll. Ed. Eric Marty, Paris: Le Seuil, 1993-5). Barthes ha sempre avuto e
continua ad avere un’immensa influenza su varie discipline all’interno delle
istituzioni accademiche, come le discipline umanistiche. La sua opera sugli
studi culturali, esemplificata da Mitologie e Il sistema della moda,
ha contribuito a porre le basi per un modo particolare stimolante di studio e di
analisi. Concetti quali la testualità e l’intertestualità, la morte
dell’autore, il testo di scrittura e il testo di lettura e così via svolgono
ancora un ruolo cruciale nella maniera in cui gli studenti e gli studiosi di
oggi si accostano ai testi letterari. Le sue meditazioni provocative sulla
musica, sul cinema e soprattutto sulla fotografia continuano a fornire un
fondamento per una grande quantità di opere teoriche contemporanee in queste
aree. Recenti innovazioni nella teoria, in modo particolare quelle riguardanti
le nuove tecnologie informatiche, continuano a trovare una molteplicità di
domande, e a volte anche di risposte, nell’opera di Barthes. Tuttavia, bisogna
ammettere che non c’è mai stata e probabilmente mai ci sarà una scuola di
critica o di teoria barthiana; infatti, nessuno si fa chiamare critico o teorico
barthiano. Come spiega Tzvetan Todorov, nel suo saggio critico sul pensatore
francese, Barthes “ha creato un ruolo per se stesso che consisteva nel
rovesciare la padronanza inerente al discorso e nell’assumere quel ruolo che
[…] egli stesso ha reso insostituibile”. Barthes era un teorico e uno
scrittore allo stesso tempo insostituibile e irripetibile. Uno scrittore che non
può essere considerato a parte, poiché adottò durante tutta la sua carriera
innumerevoli stili e approcci teorici contrastanti e la sua scrittura,
dall’inizio alla fine, si confronta con il problema di base dell’avanguardia
moderna e del pensiero intellettuale: come produrre una forma di scrittura o di
discorso che può resistere all’assorbimento attuato dalla cultura dominante e
quindi da ciò che, nelle sue ultime opere, egli chiamò semplicemente
“potere”. Di rado era ottimista riguardo le probabilità di creare un modo
simile di scrittura e di discorso. In tutti i suoi lavori, dal primo libro
all’ultimo, è testimone degli irresistibili poteri di assimilazione posseduti
dalla cultura dominante e istituzionalizzata. Eppure l’intera sua opera oggi
risalta di fronte ai nostri occhi quale testamento di una vita vissuta nella
resistenza contro tali poteri. Non esiste una scuola di critica o di teoria
barthiana, eppure Roland Barthes resta un modello fondamentale per tutti coloro
che oggi vorrebbero impegnarsi nel campo teorico e intellettuale.
JULIEN
GREIMAS
Le
sue ricerche riguardano la semantica generale, l'applicazione dei metodi
dell'analisi fonologica alla semantica, e la semiotica.
Emigrato
in Francia alla vigilia della guerra, Greimas si laurea in lettere alla Sorbona
nel 1949, (aveva prima studiato all'università di Grenoble). Si
specializza nella storia della lingua francese (pubblicherà del resto nel 1968
un dizionario del francese antico); inizia ad interessarsi alla semantica e si
immerge nella lettura dei linguisti: Ferdinand de Saussure, Viggo Brøndal,
Roman Jakobson... Il suo incontro con Roland Barthes ad Alessandria d’Egitto
contribuirà a destare in quest'ultimo l’interesse per la linguistica.
Naturalizzato francese nel 1951, Greimas insegna all'università di
Alessandria nel 1958 quando vi conosce Barthes, poi è ad Ankara ed
Istanbul prima di ottenere un posto all'università di Poitiers, quindi all'École
pratique des hautes études (1965), dove ritrova il suo amico Roland Barthes.
Ma, se tutti e due si rifanno alla semiologia, la loro concezione di questa
scienza non è tuttavia la stessa, e laddove Barthes evolve lentamente verso la
letteratura ed il "piacere del testo", Greimas tenderà sempre più
verso il formalismo ed il rigore.
La
sua tesi di dottorato riguardava la lessicologia, ma, di fronte alla difficoltà
di fondare una scienza delle "unità-parola", Greimas si dedica ben
presto alla semantica (scienza della linguistica che studia il significato
nei processi di comunicazione). I suoi primi libri, Semantica strutturale (1966),
Del senso I (1970), dimostrano una volontà di lavorare al livello dei
discorsi e dei testi. Influenzato allo stesso tempo dall'analisi del racconto
orale che aveva effettuato il russo Vladimir Propp (Morfologia della fiaba)
e dalla linguistica strutturale, propone ciò che chiama un "modello
attanziale" del racconto, ed elabora una metodologia estremamente precisa,
messa ad esempio in pratica nel suo studio intitolato Maupassant, la
semiotica del testo (1976).
Prendendo
in prestito da Propp il concetto di "attante", (o “funzione”) darà
a questo termine un senso leggermente diverso, considerando gli attanti,
che riduce a sei, come funzioni sintattiche (le sujet, l'objet, le
destinateur, le destinataire, l'opposant, l'adjuvant, ossia il soggetto,
l'oggetto, il destinatore, il destinatario, l'oppositore, l'aiutante). Al centro
delle proprie ricerche si troverà sempre un accento posto sulla struttura
logica che sottende la dimensione sintagmatica del racconto: tenterà di seguire
la modulazione del senso nel passaggio di questa struttura sottostante ai vari
livelli del testo e del discorso. Semplificando molto, secondo
Greimas qualsiasi personaggio o vicenda del racconto - di qualsiasi
racconto - si riduce a queste sei funzioni semantiche o attanti: Qualcuno (il
Soggetto o protagonista) è incaricato da un secondo (Destinatore) di fare
qualcosa (Oggetto) e in ciò è ostacolato da un terzo (Oppositore) o
aiutato da un quarto (Adiuvante) facendone beneficiare un quinto (Destinatario).
La teoria sembra molto rarefatta e potrebbe far nascere il dubbio che
possa adeguatamente interpretare racconti complessi quali i romanzi moderni: ma
se si dà un’occhiata ai plot più correnti dei film di Hollywood, si
potrà subito comprendere come Greimas non sia andato troppo distante dal vero
per le narrazioni filmiche standard.
Più
professorale, meno conosciuto e meno al centro dell’attenzione dei media
del suo amico Roland Barthes (al quale verrà spesso accostato per
via della loro vicenda intellettuale in parte condivisa), Greimas ha
tuttavia esercitato un'influenza notevole nell’ambiente accademico ed ha
segnato durevolmente gli studi semantici francesi. Da questo punto di vista,
"ha fatto scuola", come è testimoniato dalla pubblicazione alcuni
mesi subito dopo la sua morte di un libro destinato alle sue teorie (Thérèse
Budniakiewicz, Fundamentals of Story Logic, introduction to Greimassian
Semiotics, Amsterdam, 1992) e dalle numerose note facenti riferimento ai
suoi lavori ai piedi di molti testi di semiotica.
Il
suo ultimo lavoro, Semiotica delle passioni (1991), in collaborazione con
Jacques Fontanille, è un'applicazione della semiologia all'universo delle
passioni, con uno studio focalizzato sull’avarizia e la gelosia, e qui si
può vedere – per la consonanza dei temi – quanto lo separava da Barthes,
che, in Frammenti di un discorso amoroso, aveva praticato un approccio
molto meno formale e frontale su un argomento così poco sistematizzabile e
sfuggente.
È
questa volontà di formalismo, a volte spinta all’eccesso, che caratte -rizza
tutta l’opera di un uomo di una cultura estrema e, nonostante le
apparenze, di un'apertura estrema.
Altre
sue opere importanti: Semiotica e scienze sociali (1976); Del senso II
(1983); Dell'imperfezione, 198
Bibliografia
Umberto Eco, Apocalittici
ed integrati, Bompiani
Umberto Eco, Il
superuomo di massa, Bompiani
Alessandro Di Nocera, Supereroi
e superpoteri, Castelvecchi Editore
Riccardo Corbò, Pulp:
centodieci anni e non sentirli, Magic Press
Dashiell Hammet, Il
falcone maltese, Guanda
Raymond Chandler, Il
lungo addio, Feltrinelli
Webgrafia
It.wikipedia.org
www.sherlockmagazine.it
www.filosofico.net
www.blackmask.com