Ghiannis Ritsos 


Nato a Monemvasìa [Peloponneso] nel 1909. Comunista, prese parte alla resistenza antinazista. Nel 1948-1952 subì il campo di concentramento e il confino. Dopo il colpo di stato del 1967 fu nuovamente deportato e torturato. Solo in seguito alla protesta internazionale fu posto, gravemente malato, in libertà vigilata a Samos. Nel 1977 ricevette il premio lenin.


L'esordio di Ritsos risale alla raccolta Trattori (1934), in cui prevalgono le tinte fosche e un crepuscolarismo di maniera. Nel 1936 la sua poesia ha una svolta: il poema Epitaffio ispirato alla morte di un manifestante, chiude una prima fase del suo lavoro. Testi come Lo straniero, quasi contemporanei, mostrano accanto ai segni della sua adesione alla poesia d'avanguardia, un uso più frequente del processo analogico e associativo, e una preferenza per temi più luminosi e sereni. Durante la dittatura di Metaxas, La canzone per mia sorella (1937) fu letta come un testo di resistenza passiva. Gli anni della guerra civile e delle persecuzioni politiche suggerirono a Ritsos poesie nelle quali afferma ostinatamente la sua fede nell'uomo e denuncia l'oppressione: Epitaffio e Makronissos (1957).
Un nuovo ciclo ha inizio con La sonata al chiaro di luna (1956): ampio monologo rivolto a una persona che tace. L'andamento discorsivo, che punta sulla durata e sull'accumulazione, trova sbocco in questo modulo larvatamente teatrale, che sarà ulteriormente valorizzato grazie a nuovi temi: in Filottete, Crisotemi, Elena, Ismene, Oreste. la memoria del poeta si identifica con quella dei personaggi mitologici, in cerca di una perennità del mondo greco.
Da ricordare anche alcune sue poesie brevi, molto incisive: Diciotto canzonette per la patria amara, Dodici poesie per Kavafis, Portineria, Poesie di carta.

Bibliografia: Ghiannis Ritsos

-Trattori (1934)
-Epitaffio (1936)
-Lo straniero
-La canzone per mia sorella (1937)
-Epitaffio e Makronissos (1956)
-La sonata al chiaro di luna (1956)
-Diciotto canzonette per la patria amara
-Dodici poesie per Kavafis
-Portineria
-Poesie di carta
-Filottete
-Crisotemi
-Elena
-Ismene
-Oreste

 Ghiannis Ritsos
Erotica



Niente più della poesia, sembra dirci Ritsos – uno degli autori classici della poesia greca contemporanea – può esprimere la forza travolgente dell’eros. Nelle tre raccolte comprese in Erotica (“Piccola suite in rosso maggiore”, “Corpo nudo” e “Parola carnale”) l’amore è cantato da Ritsos in tutte le sue manifestazioni. Ora tenero, ora spirituale, ora selvaggio, ora carnale l’amore racchiude in sé il senso ultimo del mondo, la sua cifra occulta, celata nel corpo della persona amata: “Il tuo corpo è infinito. / Indescrivibile il tuo corpo”. L’amore è la forma di comunicazione fisica e spirituale più alta tra due esseri, ma anche tra gli uomini e la natura: “Ah, sere voluttuose / la luna nella stanza / la luna sul letto / sul corpo nudo –”, “Profumo improvviso / d’origano bagnato. / T’indicai la piccola luna / sopra il colle”. La natura, la lussureggiante natura greca, fatta di suoni, profumi, luce, sensualità purissima, diventa così partecipe dei sentimenti umani, e assurge a simbolo della forza creatrice dell’amore, della sua carica vitale ed esistenziale. Ritsos, insomma, concepisce l’eros come valore assoluto, predominante, tanto che anch’egli, come la sua progenitrice Saffo di Lesbo, potrebbe dire: “Chi un esercito di cavalier, chi una schiera di fanti, / chi una flotta di navi dirà che sia la cosa più bella / sopra la terra nera, io dico / ciò che si ama”.




Anche le parole
vene sono
dentro di esse
sangue scorre
quando le parole si uniscono
la pelle della carta
s’accende di rosso
come
nell’ora dell’amore
la pelle dell’uomo
e della donna.


Ghiannis Ritsos
Quarta dimensione



La forza dell’Ellade, il fascino assoluto del suo mistero, si incarnano, nei cinque poemetti raccolti in questo volume, nella figura di altrettante donne-eroine che ci raccontano, con la loro tragica e maestosa voce, la fatica e la sofferenza dell’esistenza, ma anche l’amore e la gioia di poter dire: “io sono viva!”: Crìsotemi, relitto dei tempi; Ismene, figlia d’Edipo; Fedra, folle d’amore; Elena, che fu bella e fatale; Persefone, sepolta viva. Le Signore del Mito, che è la vera “quarta dimensione”, mentre il lettore le ascolta raccontare di sé, in un contesto temporale indeterminato, e quindi assoluto e mitico, assumono contorni assolutamente umani quanto più si stagliano nella loro sublime grandezza, fatta di dolore e di passione, di intelligenza e di coraggio, di travolgente impeto di vita. Ritsos, il Maestro della poesia greca contemporanea, ci immerge nella quarta dimensione restituendoci un mondo che credevamo sepolto nelle sale dei musei o nelle pagine di libri polverosi. Paradossalmente Ritsos, decostruendo il mito originale e reinventandolo, ci insegna che esso in realtà non muore mai, che le potenti figure della leggenda ci raccontano di noi e del nostro dolore, come un oracolo. Il trionfo finale è sempre della vita, come nota Ezio Savino nella sua essenziale introduzione: “Non c’è vera morte, in questi versi greci. Il Maestro ha una missione: ostinarsi a inneggiare alla vita”.




Crisòtemi


[...]


Di pomeriggio tardi, inverno e estate, nel giardino, o qui alla fine-
stra, sotto
l’influsso della stella della sera, sollevavo la mano sinistra
a sfiorarmi le labbra, lentamente, con cura, distrattamente, torno
torno,
come per aiutare il formarsi d’una parola sconosciuta o come
dovessi
inviare a qualcuno un bacio procrastinato.
A quei tempi,
spesso, passeggiando da sola in giardino, capitava
che mi s’avvicinasse alle spalle senza far rumore la luna, e d’im-
provviso
mi tappasse con le mani gli occhi domandando: “Chi sono?”.
“Non so, non so”, rispondevo perché lo richiedesse.
Ma lei non ripeteva la domanda. Disserrava le dita. Mi voltavo.
Faccia a faccia, noi due. La sua guancia fresca
contro la mia guancia; e il suo sorriso pieno – glielo strappavo e
via di corsa;
lei mi rincorreva intorno alla fontana.
Una notte
mi sorprese sul fatto mia madre: “Con chi stai parlando?”.
“Rincorrevo il gatto per impedirgli di mangiare i pesci rossi”, ri-
sposi. “Stupida”,
disse mia madre; “non crescerai mai”. Proprio in quel mentre,
il gatto mi si strusciò davvero sui piedi. Un grande pesce rosso
si lanciò fuori dalla fontana. Il gatto l’afferrò
e si nascose tra le rose. Gridai. Lo rincorsi –
(temevo che mi mangiasse una mano della luna); mia madre mi
credette.
Avviene sempre così. Non sappiamo più come comportarci,
come parlare, a chi, e che cosa dire. Restiamo soli
con invisibili travagli, in guerre invisibili, senza vittoria né sconfitta,
con una moltitudine di invisibili nemici o, semmai, di ostilità. E
nel contempo
con una folla d’alleati – invisibili anch’essi – come la luna
del vecchio giardino, come il pesce rosso e perfino il gatto.

[...]

ROMIOSYNI
 

These trees do not compromise with less sky,
these stones do not compromise under the steps of foreigners,
these faces do not compromise anywhere else but under the sun,
these hearts do not compromise but in justice

At the combat positions petrified they burn the cow-dung even at night
staring at the rough sea where the broken mast of the moon has sunk.

They are sort of bread, they are sort of bullets,
now they are only putting their hearts in the cannons.

All these years besieged from land and sea,
they starve, they all get killed but no one is dead,
at the combat positions their eyes shine,
a big flag, a great deep-read fire
and every dawn thousand of pigeons fly away from their hands
towards the four doors of the horizon.

ΓΙΑΝΝΗΣ ΡΙΤΣΟΣ

 

ΡΩΜΙΟΣΥΝΗ

 

Ι

 

Αυτά τα δέντρα δε βολεύονται με λιγότερο ουρανό,

αυτές οι πέτρες δε βολεύονται κάτου απ’τα ξένα

         βήματα,

αυτά τα πρόσωπα δε βολεύονται παρά μόνο στον

         ήλιο,

αυτές οι καρδιές δε βολεύονται παρά μόνο στο δίκιο.

 

....................

 

Πάνου στα καραούλια πετρωμένοι καπνίζουν τη

         σβουνιά και τη νύχτα

βιγλίζοντας το μανιασμένο πέλαγο όπου βούλιαξε

το σπασμένο κατάρτι του φεγγαριού.

 

Το ψωμί σώθηκε, τα βόλια σώθηκαν,

τώρα γεμίζουν τα κανόνια τους μόνο με την καρδιά τους.

 

Τόσα χρόνια πολιορκημένοι από στεριά και θάλασσα,

όλοι πεινάνε, όλοι σκοτώνονται και κανένας δεν

         πέθανε –

πάνου στα καραούλια λάμπουνε τα μάτια τους,

μια μεγάλη σημαία, μια μεγάλη φωτιά κατακόκκινη

και κάθε αυγή χιλιάδες περιστέρια φεύγουν απ’

         τα χέρια τους

για τις τέσσερις πόρτες του ορίζοντα.