Ghiannis
Ritsos
Erotica
Niente
più della poesia, sembra dirci Ritsos – uno degli autori classici della
poesia greca contemporanea – può esprimere la forza travolgente dell’eros.
Nelle tre raccolte comprese in Erotica (“Piccola suite in rosso
maggiore”, “Corpo nudo” e “Parola carnale”) l’amore è cantato da
Ritsos in tutte le sue manifestazioni. Ora tenero, ora spirituale, ora
selvaggio, ora carnale l’amore racchiude in sé il senso ultimo del mondo, la
sua cifra occulta, celata nel corpo della persona amata: “Il tuo corpo è
infinito. / Indescrivibile il tuo corpo”. L’amore è la forma di
comunicazione fisica e spirituale più alta tra due esseri, ma anche tra gli
uomini e la natura: “Ah, sere voluttuose / la luna nella stanza / la luna sul
letto / sul corpo nudo –”, “Profumo improvviso / d’origano bagnato. /
T’indicai la piccola luna / sopra il colle”. La natura, la lussureggiante
natura greca, fatta di suoni, profumi, luce, sensualità purissima, diventa così
partecipe dei sentimenti umani, e assurge a simbolo della forza creatrice
dell’amore, della sua carica vitale ed esistenziale. Ritsos, insomma,
concepisce l’eros come valore assoluto, predominante, tanto che anch’egli,
come la sua progenitrice Saffo di Lesbo, potrebbe dire: “Chi un esercito di
cavalier, chi una schiera di fanti, / chi una flotta di navi dirà che sia la
cosa più bella / sopra la terra nera, io dico / ciò che si ama”.
Anche le parole
vene sono
dentro di esse
sangue scorre
quando le parole si uniscono
la pelle della carta
s’accende di rosso
come
nell’ora dell’amore
la pelle dell’uomo
e della donna.
Ghiannis
Ritsos
Quarta dimensione
La forza dell’Ellade,
il fascino assoluto del suo mistero, si incarnano, nei cinque poemetti raccolti
in questo volume, nella figura di altrettante donne-eroine che ci raccontano,
con la loro tragica e maestosa voce, la fatica e la sofferenza dell’esistenza,
ma anche l’amore e la gioia di poter dire: “io sono viva!”: Crìsotemi,
relitto dei tempi; Ismene, figlia d’Edipo; Fedra, folle d’amore; Elena, che
fu bella e fatale; Persefone, sepolta viva. Le Signore del Mito, che è la vera
“quarta dimensione”, mentre il lettore le ascolta raccontare di sé, in un
contesto temporale indeterminato, e quindi assoluto e mitico, assumono contorni
assolutamente umani quanto più si stagliano nella loro sublime grandezza, fatta
di dolore e di passione, di intelligenza e di coraggio, di travolgente impeto di
vita. Ritsos, il Maestro della poesia greca contemporanea, ci immerge nella
quarta dimensione restituendoci un mondo che credevamo sepolto nelle sale dei
musei o nelle pagine di libri polverosi. Paradossalmente Ritsos, decostruendo il
mito originale e reinventandolo, ci insegna che esso in realtà non muore mai,
che le potenti figure della leggenda ci raccontano di noi e del nostro dolore,
come un oracolo. Il trionfo finale è sempre della vita, come nota Ezio Savino
nella sua essenziale introduzione: “Non c’è vera morte, in questi versi
greci. Il Maestro ha una missione: ostinarsi a inneggiare alla vita”.
Crisòtemi
[...]
Di pomeriggio tardi, inverno e estate, nel giardino, o qui
alla fine-
stra,
sotto
l’influsso della stella della sera, sollevavo la mano sinistra
a sfiorarmi le labbra, lentamente, con cura, distrattamente, torno
torno,
come per aiutare il formarsi d’una parola sconosciuta o come
dovessi
inviare a qualcuno un bacio procrastinato.
A quei
tempi,
spesso, passeggiando da sola in giardino, capitava
che mi s’avvicinasse alle spalle senza far rumore la luna, e d’im-
provviso
mi tappasse con le mani gli occhi domandando: “Chi sono?”.
“Non so, non so”, rispondevo perché lo richiedesse.
Ma lei non ripeteva la domanda. Disserrava le dita. Mi voltavo.
Faccia a faccia, noi due. La sua guancia fresca
contro la mia guancia; e il suo sorriso pieno – glielo strappavo e
via di
corsa;
lei mi rincorreva intorno alla fontana.
Una
notte
mi sorprese sul fatto mia madre: “Con chi stai parlando?”.
“Rincorrevo il gatto per impedirgli di mangiare i pesci rossi”, ri-
sposi.
“Stupida”,
disse mia madre; “non crescerai mai”. Proprio in quel mentre,
il gatto mi si strusciò davvero sui piedi. Un grande pesce rosso
si lanciò fuori dalla fontana. Il gatto l’afferrò
e si nascose tra le rose. Gridai. Lo rincorsi –
(temevo che mi mangiasse una mano della luna); mia madre mi
credette.
Avviene sempre così. Non sappiamo più come comportarci,
come parlare, a chi, e che cosa dire. Restiamo soli
con invisibili travagli, in guerre invisibili, senza vittoria né sconfitta,
con una moltitudine di invisibili nemici o, semmai, di ostilità. E
nel
contempo
con una folla d’alleati – invisibili anch’essi – come la luna
del vecchio giardino, come il pesce rosso e perfino il gatto.
[...]
ROMIOSYNI | ||
These
trees do not compromise with less sky, At the combat positions
petrified they burn the cow-dung even at night They are sort of bread,
they are sort of bullets, All these years besieged
from land and sea, |
Ι
Αυτά τα
δέντρα δε
βολεύονται με
λιγότερο
ουρανό,
αυτές οι
πέτρες δε
βολεύονται
κάτου απ’τα
ξένα
βήματα,
αυτά τα
πρόσωπα δε
βολεύονται
παρά μόνο στον
ήλιο,
αυτές οι
καρδιές δε
βολεύονται
παρά μόνο στο
δίκιο.
....................
σβουνιά και
τη νύχτα
βιγλίζοντας
το μανιασμένο
πέλαγο όπου
βούλιαξε
το σπασμένο
κατάρτι του
φεγγαριού.
Το ψωμί
σώθηκε, τα
βόλια σώθηκαν,
τώρα γεμίζουν
τα κανόνια τους
μόνο με την
καρδιά τους.
Τόσα
χρόνια
πολιορκημένοι
από στεριά και
θάλασσα,
όλοι
πεινάνε, όλοι
σκοτώνονται
και κανένας δεν
πέθανε –
πάνου στα
καραούλια
λάμπουνε τα
μάτια τους,
μια
μεγάλη σημαία,
μια μεγάλη
φωτιά
κατακόκκινη
και κάθε
αυγή χιλιάδες
περιστέρια
φεύγουν απ’
τα χέρια τους
για τις
τέσσερις
πόρτες του
ορίζοντα.