TEMPI DI GUERRA

PRIMA PARTE

Premessa

Noi partecipanti alla lotta partigiana eravamo giovani nati o vissuti nel ventennio fascista. Avevamo tutti avuto la tessera della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) ed eravamo stati: Figli della Lupa (dai 6 agli 8 anni), Balilla (dagli 8 agli 11 anni), Balilla Moschettieri (dagli 11 ai 13 anni), Avanguardisti (dai 13 ai 17 anni) e Giovani Fascisti dai (17 ai 21 anni).Al sabato (chiamato sabato fascista) era obbligatorio nel pomeriggio frequentare i corsi premilitari il cui motto era "Libro e Moschetto fascista perfetto".

Nel 1935 io frequentavo la scuola di avviamento professionale a Villar Perosa, con un compagno, in qualità di Balilla Moschettiere. Insieme fummo scelti per rappresentanza della scuola e messi di guardia al cimitero di Villar Perosa, presso la tomba della famiglia Agnelli per il funerale di Edoardo Agnelli, che aveva perso la vita in un incidente aereo a Genova il 14 luglio.

Noi eravamo giovani dai diciassette ai vent’anni. Rimanevano in minoranza le classi più anziane costituite da ex militari che avevano combattuto sul fronte occidentale in Francia, in Grecia, nei Balcani, in Russia e nell’Africa settentrionale. Questi ultimi, all’armistizio dell’otto settembre 1943 si trovavano in Italia, ed erano riusciti a rientrare a casa; successivamente in buona parte erano saliti in montagna. Noi più giovani li seguivamo e li ascoltavamo data la loro esperienza.

Oltre settecentomila militari furono fatti prigionieri nel periodo bellico in Russia e in Africa settentrionale. Dopo l’otto settembre i tedeschi deportarono in Germania, nei campi di concentramento, seicentomila militari italiani.

Mussolini, liberato dai tedeschi il 12 settembre 1943 a Campo Imperatore sul Gran Sasso, venne trasportato in Germania e rientrò poi in Italia.

Al Gardano sul lago di Garda e sede del Quartier Generale, Mussolini fondò la R.S.I (Repubblica Sociale Italiana) e cercò di ricomporre l’esercito fascista chiamando alle armi le classi 1924-25 e 26 e unitamente a volontari costituì le Brigate Nere, San Marco, X°Mas, Nembo, Muti e Folgore. Inoltre, con prigionieri rientrati in Italia che avevano aderito alla R.S.I., costituì le divisioni Littorio e Monte Rosa. Successivamente questi ultimi in parte disertarono e con le armi vennero con noi.

A scuola

A scuola ci insegnavano ad esaltare le imprese fasciste, la fondazione dell’Impero con la conquista dell’Etiopia il 9 maggio 1936, la guerra civile di Spagna del 1937, l’occupazione dell’Albania del 12 aprile 1939, i martiri fascisti. Non sapevamo però nulla dei fuorusciti antifascisti e confinati.

 

Nell’inverno del 1940, prima dell’entrata in guerra, noi studenti manifestavamo in piazza contro la Francia, al grido "Nizza e Savoia".

Venivano inoltre effettuate delle simulazioni di attacchi aerei con gas, e a noi, forniti di maschere veniva spiegato come entrare nei rifugi. Ci informavano della pericolosità del gas iprite, già usato nella prima guerra mondiale; il gas provocava lesioni all’apparato respiratorio ed azioni devastanti sulla cute.

Queste manifestazioni venivano fatte volentieri dato che erano momenti di svago e non si avevano lezioni.

Anche oggi durante le manifestazioni studentesche si vedono giovani gioiosi e saltellanti sfilare con striscioni di protesta, che mi rammentano quei lontani momenti di evasione. I giovani d’oggi sono come furono i loro padri e noi i loro nonni.

La differenza consiste nel fatto che allora le manifestazioni erano ordinate dalle autorità, poichè si era in un regime totalitario, mentre oggi, nel sistema democratico, le manifestazioni sono promosse dalla base contro le autorità.

Giugno 1940

Nella tarda primavera del 1940, prima dell’entrata in guerra dell’Italia del 10 giugno, vedevo i nostri soldati salire la valle verso la Francia.

Gli abitanti del Comune di Prali, trovandosi in zona di confine, dovettero abbandonare le loro case e trovare rifugio in valle presso parenti od amici; diversi non potendo portare con sè il bestiame, lo dovettero vendere. Il loro trasferimento fu breve poiché il 23 giugno terminava la guerra sul fronte francese e, dopo una ventina di giorni, tornarono alle loro case.

Per tutti, ma in particolare per gli anziani, erano momenti di tristezza, dato che si sapeva che oltre il confine si trovavano molti parenti o conoscenti.

Nelle valli Piemontesi si può ben dire che quasi la totalità delle famiglie avesse dei parenti in Francia emigrati nel periodo fascista; lì avevano trovato lavoro ed ora nipoti e fratelli degli emigrati marciavano contro il paese che li aveva accolti.

Noi italiani ci trovavamo inoltre alleati con i tedeschi che i nostri padri avevano combattuto per 40 lunghi mesi in una guerra in cui i nostri nonni avevano perso i loro figli.

Tutto ciò capitava anche alla nostra famiglia. Mio nonno aveva perso il figlio il 23 agosto 1917 ad Haime durante la ritirata di Caporetto e mio padre aveva partecipato alla prima guerra mondiale ed inoltre aveva un fratello in Francia (Parigi).

Due giorni dopo l’entrata in guerra si ebbe il primo bombardamento su Torino da parte di aerei inglesi, seguito da numerosi altri su diverse città italiane.

Da parte del P.N.F. (Partito Nazionale Fascista) per propaganda, venne coniato e distribuito a scuola un distintivo con la scritta (Dio stramaledica gli Inglesi), cosa che mi aveva colpito e mi aveva fatto meditare, ed aveva prodotto in me l’effetto opposto a quello voluto.

Anno 1942

Il 15 luglio 1942 mi trovavo con Edoardo De Giovanni al rifugio di Selleries per salire il giorno successivo al M.Orsiera dalla cresta Nord-Est (Via Dumontel).

Era notte, seduti sul muricciolo del cortile antistante il rifugio, vedemmo lontani bagliori in direzione di Torino. Sentimmo il boato dello scoppio delle bombe, era in atto un bombardamento aereo sulla città; i lampi delle bombe della contraerea si confondevano con i lampi delle bombe e degli spezzoni incendiari lanciati dagli aerei.

Noi assistevamo al fuoco da un posto sicuro. Non avrei mai immaginato che due anni dopo mi sarei trovato nello stesso luogo in situazione di pericolo quando, salito dal Laux e da Pra Catinat con Aldo Viotto, ero giunto a Selleries per effettuare un collegamento con un gruppo di partigiani.

Bomba Rio Agrevo

L’undici novembre 1942 mi trovavo nella vigna a prendere una qualità di uva che avevo lasciato dalla vendemmia, erano circa le 21; sentii passare degli aerei che ritornavano dal bombardamento su Torino. Ci fu un forte bagliore, seguito da un tremendo scoppio: era una bomba di grosso calibro sganciata da un aereo forse colpito dalla contraerea, che cadde tra Prageria e Rio Agrevo senza causare grandi conseguenze, tranne spavento, vetri ed infissi rotti nelle borgate.

Anno 1943

25 luglio

Domenica 25 luglio mi trovavo a Serre Marchetto con Edoardo De Giovanni quando apprendemmo la notizia della caduta di Mussolini, fu una notizia di speranza per la fine della guerra.

Il Gran Consiglio fascista si era riunito nella notte del 24-25 luglio, durante la drammatica seduta, dopo durissimi interventi Mussolini era stato messo in minoranza.

La storica seduta del Gran Consiglio fascista decretava con la destituzione di Mussolini la fine del Regime.

La conseguenza del colpo di stato fu il disastroso e totale crollo del fronte interno italiano.

I gruppi antifascisti si riversarono sulle vie e sulle piazze a gridare la loro gioia.

Gli italiani si sentirono liberi dall’oppressione.

I bombardamenti aerei misero a ferro e fuoco le città, la popolazione civile venne colpita ovunque.

Il proclama del sovrano fu: "Badoglio capo del Governo";

Il Re assunse il comando delle forze armate;

Badoglio dichiarò agli italiani: "la guerra continua".

8 settembre

Messaggio di Badoglio:

" Il Governo Italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto l’armistizio al gen. Eisenhower, comandante in capo delle Forze Alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta, conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo- americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però, reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza."

L’esercito italiano non ebbe ordini precisi, la fuga del re e di Badoglio, immediatamente seguita all’annuncio, lasciò l’esercito e tutta la nazione in una situazione improvvisamente capovolta, senza direttive né guida.

Nell’ora più tragica, il popolo italiano dovette improvvisarsi guida di se stesso.

L’otto settembre 1943 all’armistizio vidi scendere, sbandati, i militari della IV armata che si trovavano in zona di occupazione in Francia dal 1940, erano decisi a rientrare alle loro case, cercavano abiti civili al fine di non essere individuati dai tedeschi e catturati.

A casa mia numerosi alpini trovarono asilo, dormivano nel fienile e ricevevano da noi ristoro, ma non potevamo dare loro vestiti, poiché i miei erano troppo stretti e quelli di mio padre del peso di 130 kg. erano troppo larghi.

A Perosa Argentina assistetti ad uno spettacolo sconfortante. Sui gradini dell’albergo Nazionale vidi un colonnello che piangeva. Davanti a lui sulla strada transitavano in disordine e ciascuno per proprio conto, degli alpini senza armi, con giacche slacciate, altri erano senza il cappello. Non avevano più l’obbligo del saluto agli ufficiali, era proprio la disfatta totale dell’esercito italiano.

Domenica 12 settembre alcuni giovani di Perosa Argentina e di Pinasca, in accordo fra loro e altri individualmente salirono a Fenestrelle, perché erano venuti a conoscenza dai militari, che erano state abbandonate armi al forte.

Io salii in bicicletta da solo, sapevo che Enrico e Gianni Gay con altri sarebbero saliti con un autocarro che era stato abbandonato dagli alpini al campo sportivo di Perosa Argentina.

Raggiunsi Fenestrelle e qui con altri andai alle casermette, eravamo accompagnati da un sergente degli alpini che sapeva dove si trovavano le armi; questi fece saltare la serratura della porta d’ingresso con alcuni colpi di pistola Berretta calibro 9, entrammo nel locale e vedemmo mucchi di armi gettate alla rinfusa, moschetti, mitragliatori, mitragliatrici, con relative cassette di munizioni, bombe a mano.

Fuori delle casermette si trovava un carro con un cavallo, incominciammo trasportare le armi.

Avendo caricato troppo sulla parte posteriore, le barre del carro si alzarono, dovetti salire per spostare delle armi per bilanciare il carico. Nel frattempo era arrivato l’autocarro che altri si interessavano a caricare.

Le armi furono trasportate al Laux.

Io mi diressi al forte (1) dove era in attoun vero e proprio saccheggio c’era un via vai di gente: chi portava un materasso, chi damigiane di olio. Vidi un uomo barcollare per il peso di un sacco sulle spalle, mi dissero che trasportava dei piccioni viaggiatori da lui uccisi.

Entrai in un locale che era adibito a gabinetto di chimica, i filtri, le ampolle in vetro, erano stati totalmente distrutti: i vetri erano sparsi ovunque.

Scesi a Perosa Argentina, quando entrai nella piazza arrivò un autocarro tedesco, c’era un militare in piedi sul cassone che impugnava un mitragliatore collocato sul tetto di guida, il camion procedeva lentamente, non si fermò ma proseguì.

I giovani che scendevano da Fenestrelle riuscirono a nascondersi o a buttare le armi giù per le scarpate al sopraggiungere dell’autocarro tedesco.

 

 

 

 

(1) "Il forte di Fenestrelle rappresenta una delle opere militari più imponenti. d’Europa"

I Piemontesi sotto Amedeo II di Savoia iniziarono nel 1727 la costruzione che fu portata a termine nel 1836 da Carlo Alberto. La fortezza si sviluppa su un crinale montagnoso, compreso fra le quote 1135 e 1770 m.

La parte del forte sulla statale 23 venne distrutta dai partigiani il 31 luglio 1944 per ostacolare il rastrellamento nazifascista.

Tutti rientrarono alle loro case, alcuni però solo il giorno successivo.

Quando giunsi a casa mia venni informato di non recarmi a Perosa Argentina poiché sembrava che fossero state segnalate le persone che erano salite a Fenestrelle. Dopo due giorni seppi che erano notizie infondate.

Nei giorni successivi all’otto settembre 1943 mi trovavo spesso nella casa dei fratelli Enrico e Gianni Gay a Perosa Argentina, arrivavano giovani che portavano delle armi le quali venivano nascoste nel caminetto. Di notte erano trasportate in un fabbricato nella vigna di proprietà dei Gay sopra Perosa Argentina, dove attualmente si trova il faro dei caduti per la libertà. Le armi venivano portate da Alessandro Griglio che era in quel periodo bracciante presso la famiglia Gay. Griglio venne poi arrestato, poichè padre di Gustavo comandante partigiano, fu deportato a Mathausen non fece più ritorno, morì verso la metà di marzo del 1945.

In quei giorni Enrico Gay tentò di coordinare i primi nuclei di resistenza. A San Bartolomeo di Prarostino si trovava Ciocchino con alpini della caserma Berardi di Pinerolo, a Perrero si trovava Guermani (1) con alpini della caserma, ma purtroppo tutto si dissolse in pochi giorni.

In tutti i paesi occupati dai tedeschi l’opposizione sollevò una resistenza morale, che alimentò le formazione di gruppi attivi di resistenza armata contro l’invasore.

NASCEVA LA GUERRA PARTIGIANA con una forma di lotta insidiosa e senza fronte.

La resistenza si manifestava con iniziative propagandistiche, con attacchi contro le forze armate tedesche e repubblichine, con sabotaggi militari ed industriali, con interruzioni stradali e ferroviarie, con spionaggio a favore degli alleati, con una guerriglia sistematica di unità armate che operavano con l’aiuto delle popolazioni esposte a dure rappresaglie.

La lotta si protrasse per venti lunghi mesi.

Sfollati

Alla fine dell’autunno 1943 si presentarono a casa nostra due donne, madre e figlia provenienti da Torino, dichiararono di essere ebree e cercavano ospitalità: erano state indirizzate a noi da membri della chiesa Valdese di Torino (negli anni precedenti la guerra nel mese di luglio ed agosto venivano ospitati dei villeggianti e fra di loro anche alcune famiglie ebree, (famiglia Segre, famiglia Luzzatti).

Da parte nostra non avremmo avuto alcuna difficoltà ad ospitarle, anche perché in quel periodo non ci rendevamo conto di quale fosse il pericolo ad accogliere ebrei.

 

 

 

 

 

(1) Ciocchino e Guermani, ufficiali degli alpini.

Purtroppo non avevamo più camere libere. Alla fine della guerra, venuto a conoscenza della realtà dei lagher da superstiti e da letture di testimonianze, ho pensato più volte a quelle donne ebree e a quale fosse stata la loro sorte. Con noi abitava mia zia Pia fin dal 1935, un’altra zia, Sofia, con il marito Michele Currado e la figlia Maria Luisa, che erano sfollati da Torino fin dal 1941, da Via Passo Buole 52, zona colpita più volte dai bombardamenti perché posta tra la Fiat e la ferrovia.

Abitava pure presso di noi un geometra di Genova con moglie e figli; lavorava in qualità di tecnico del Catasto di Torino e censiva i fabbricati al Nuovo Catasto Edilizio Urbano. Si allontanò alla fine di gennaio 1944. In seguito vennero ad abitare presso di noi le sorelle Ferrero di Perosa Argentina, che erano sfollate per gli attacchi avvenuti il 17 febbraio a Perosa Argentina tra forze tedesche e partigiane.

Erano bravissime persone: il giorno in cui partii per la montagna, mi offrirono un santino, mi augurarono buona fortuna e dissero che avrebbero pregato per me; io lo accettai anche se per me valdese quel santino non aveva alcuna importanza, loro ne furono felici.

Bombardamento

Villar Perosa

Il 3 gennaio 1944 al compimento dei miei 20 anni, mi trovavo con mio padre presso il forno per il pane (1).

Stavamo sfornando, era quasi mezzogiorno quando sentii dei colpi di cannone; mi spostai nel prato vicino per vedere il fondo valle; in alto vidi le nuvolette provocate dagli scoppi della contraerea e formazioni di aerei provenienti da Pra Martino che avanzavano verso Villar Perosa. Vidi sganciare le bombe, gli scoppi proiettavano enormi colonne di terra in alto, in breve tempo tutto si oscurò. Aerei anglo–americani stavano bombardando le officine R.I.V. di Villar Perosa (2).

Già il 9 novembre 1943 aereoplani da bombardamento avevano sganciato alcune bombe che erano cadute però oltre il Chisone e sulle montagne di Inverso Pinasca.

Il 10 novembre si era ripetuto l’attacco, alcune bombe erano cadute vicino allo stabilimento senza colpirlo, erano state distrutte alcune case ed altre erano state danneggiate (3).

Ma questa volta numerose fortezze volanti sganciavano bombe ad alto potenziale sulle officine R.I V che veniva colpita, furono 60 le bombe che caddero sullo stabilimento.

Le altre caddero sull’abitato attorno all’officina, molte furono le case distrutte, furono sconvolte le strade, i binari del tram e le linee elettriche.

(1) Fino verso la fine del 1950 a casa nostra il pane veniva fatto ogni 15 giorni.

(2) Erano cinquantadue fortezze volanti B17, scortate dai caccia P38,di base a S.Severo presso Foggia, scaricarono il loro micidiale carico, 312 bombe in parte dirompenti, in parte ad esplosione ritardata ed altre al fosforo.

(3) Erano aerei del tipo B24 detti "Liberator", di base ad Orano in Algeria e con scali di rifornimento in Sardegna, con bombe di cinquecento libbre (227 Kg).

Appena terminato il bombardamento che durò meno di dieci minuti, inforcai la bicicletta e raggiunsi Villar Perosa, intanto era stato dato il cessato allarme.

All’inizio dello stabilimento arrivò Viola Lageard, insieme a piedi ci dirigemmo verso il centro abitato. In quel momento stavano uscendo dai rifugi gli operai, bianchi in volto per i terribili momenti passati, ma incolumi (1). Avevano premura di rientrare alle loro case per assicurare le loro famiglie dello scampato pericolo.

All’angolo dello stabilimento una enorme buca ci costrinse a prendere le biciclette in spalla.

Tutt’intorno era distruzione, il fabbricato appena costruito dell’ospedale non esisteva più. Attraversammo il paese in rovina, nel frattempo gli operai usciti dai rifugi, presa la loro bicicletta si allontanarono con noi.

Quando suonò un nuovo allarme, tutti a grande velocità scendemmo verso San Germano Chisone. Alla Segheria vedemmo gli addetti alle batterie della contraerea che manovravano i cannoni.

L’allarme era dovuto al passaggio di un aereo che fotografava l’esito del bombardamento ed i danni arrecati.

Anche in questo terribile bombardamento non ci fu alcuna vittima tra la popolazione civile.

Due furono i tedeschi della Flak caduti, colpiti nella loro batteria, collocata nei pressi della villa Agnelli; altre batterie erano a Pinasca nei campi del Cottolengo, altre nei pressi della Segheria di Villar Perosa ed altre ancora a Perosa Argentina vicino al cimitero (2).

17 Febbraio

Nel 1944 frequentavo la IV geometri all’Istituto Tecnico Michele Buniva di Pinerolo, intendevo finire l’anno scolastico per poi salire in montagna e partecipare direttamente alla lotta partigiana.

Il 17 febbraio arrivato a Dubbione, di ritorno da scuola, dovetti proseguire a piedi, poiché era stato fermato il tram, a causa dei combattimenti avvenuti a Perosa Argentina tra tedeschi e partigiani.

Mentre procedevo con mio nonno e Laura Micol che divenne poi staffetta partigiana, incrociai i militari tedeschi che scendevano con tute mimetiche, elmetti, carichi di bombe e nastri di pallottole a tracolla. Queste immagini dovetti poi purtroppo rivederle e sperimentarle successivamente.

Nelle prime ore del pomeriggio di quel giorno ci fu uno scontro di reparti della SS germanica con un gruppo di partigiani, nel centro abitato di Perosa Argerntina. Numerosi civili vennero tradotti in un ampio cortile e costretti a tenere le mani alzate, furono minacciati di fucilazione.

 

 

 

(1) I rifugi misuravano 760 metri di lunghezza m.75 di profondità ed offrivano una capienza per 2700 persone.

(2). Le batterie antiaeree erano arrivate in valle il 26/10/1943 ed erano costituite da settantotto cannoni da 90 e 108 mm.

In presenza di tutti venne finito a colpi di calcio di fucile un giovane partigiano, Carlo Giraudo di 19 anni di Torre Pellice, cadde pure al Beale Villa, Antonio Galletto

La popolazione fu salvata dall’intervento dei direttori degli stabilimenti Gutermann ed Abegg, entrambi di origine tedesca, che dichiararono che gli arrestati erano i loro operai.

Venivano uccisi nei dintorni di Perosa (1).

Enrico Gay

Nei primi giorni di aprile 1944, passarano a casa mia i fratelli

Enrico e Gianni Gay, i fratelli Marcello ed Aldo Long, Giorgio Bertetto e Dario Caffer.

Provenivano da Inverso Pinasca ed intendevano salire in valle. Venne loro offerta la cena, raccontarono della cattura del presidio repubblichino a Sestriere avvenuto con l’inganno; avevano fatto credere che il presidio fosse circondato da numerosi partigiani muniti di lanciafiamme. Maggiorino Marcellin con alcuni uomini era entrato nel fortino, erano repubblichini, circa una trentina, si venne ad un accordo, loro sarebbero rimasti nel fortino, mentre i partigiani avrebbero avuto libero accesso al colle.

Terminata la cena Dario Caffer manifestò l’intenzione di andare a Perosa per trovare la ragazza, ma Enrico e gli altri lo sconsigliarono per il rischio che avrebbe corso, quindi era meglio rinunciare poiché a Perosa si trovava il presidio tedesco e repubblichino.

Mio padre che non aveva seguito totalmente il dialogo, alla manifestazione di Dario di andare a Perosa si offrì di andare lui e Dario rispose " a ser pa "non serve, ci fu una risata

Incendio

dei Pons

Il 21 marzo ci furono combattimenti tra partigiani e tedeschi nella zona di Brandoneugna di Perosa Argentina ed ai Pons di Pomaretto con l’arrivo di carri armati. Nino Bertalmio che si trovava ai Pons si allontanò e mi raggiunse ai Maurin ed insieme salimmo nei boschi sopra l’Albarea di Pinasca.

Da qui vedemmo l’incendio della borgata Pons, Nino vedeva la sua casa in fiamme.

E io vedevo mio padre a casa mia, che trasportava sacchi di grano dal piano primo per nasconderli in cantina, dove erano già state interrate delle patate, per il timore d’ incendio.

(1). Brun Giov:Battista di anni 65 al Beale Villa alle ore 16

Ghigo Luigi di anni 65 la Gonera (località tra il Forte, Faro e

Beale Villa) alle ore 16

Ghigo Metilde di anni 39 Forte alle ore 15

Pedron Pasquale di anni 42 Pelissieri alle ore 15.30

Pons Giovanni di anni 45 Forte, alle ore 16

Galliano Giuseppe di anni 50 Via Roma (Piazza) decedeva a

seguito ferite il 1 aprile

Calzi Renato di anni 16 ferito ad un braccio rimaneva

parzialmente invalido

(sarà Sindaco di Perosa Argentina negli anni 1975-1978).

Dal diario del Pastore Guido Mathieu di Pomaretto:

"22 marzo 1944

Da Perosa Argentina i tedeschi stanno spiando i minimi movimenti di persone sulle pendici del monte e nei dintorni dei villaggi e, dove sospettano colpiscono col cannone e col mortaio.

Sono così messi a prova i villaggi di Gilli, del Clot di Boulard, degli Enfous dove viene incendiata una casa, dei Blegieri ed il Girp. Qui un proiettile di mortaio penetra nella casa scoppia investendo una bimba di 10 anni producendogli grave ferite.

Sette soldati teteschi SS proveniente da Perosa sono penetrati nel villaggio dei Pons sparando all’impazzata. L’intero villaggio è in fiamme la soldataglia incendiaria non si accontenta ma uccide,quattro sono gli uccisi.

Baret Ferdinando, di anni 59, conoscendo il tedesco può evitare che la propria casa sia incendiata, ma mentre si reca ad impedire ad un altro gruppo di soldati di appiccare il fuoco al fienile è da questi senza altra formalità colpito mortalmente.

Baret Alberto, di anni 69, fratello del precedente vista la propria casa in preda alle fiamme cerca riparo in quella del fratello .Sta seduto su una sedia a sdraio affranto e desolato quando giungono gli uccisori del fratello i quali, qui pure senza altra formalità, lo freddano.

Bernard Arturo di anni 40, uscito dalla stalla attraversa il breve spazio prospiciente quando lo raggiunge una raffica che lo atterra.

Bonaudo Alfredo di anni 40, è seduto sull’uscio di casa, ha le sue carte di d’identità, personali in mano, ma quei documenti non sono neppure guardati, e viene colpito a morte. Il suo cadavere con quello del precedente viene trascinato verso le fiamme che divampano. La loro cremazione è evitata dai primi soccorsi.

Al padre di una avvenente figliola, catecumena del terzo anno avanzata la proposta, la figliola per noi,o la casa alle fiamme (La casa alle fiamme) è la fiera risposta.

E poco dopo le fiamme lambiscono col loro vorace amplesso l’oggetto di tanti anni di lavoro, di sacrifici, di tante economie."

 

Medicinali

Ero stato informato da Viola Lageard che era collegata con i primi nuclei partigiani che occorrevano bende, garze, cotone idrofilo e disinfettanti per un partigiano ferito.

Ero in pensione a Pinerolo presso la Sig.ra Laura Tron, il figlio Silvio era prigioniero in Germania, la figlia Lucilla era infermiera presso l’ospedale civile di Pinerolo. Questa alla mia richiesta mi consegnò un pacco di medicinali che portai a Viola alla borgata Fleccia di Inverso Pinasca.

Il giorno successivo arrivato col tram a San Germano Chisone si avvicinò un repubblichino che mi fece aprire la cartella, accertato che c’erano solo libri passò oltre.

Se questo controllo fosse avvenuto il giorno precedente, mi sarebbe stato chiesto da dove provenivano i medicinali e a chi erano diretti, sarebbe stato per me un grosso pericolo.

 

 

 

Richiardone

Riccardo

Il 10 maggio mi trovavo dietro casa quando verso sera sentii delle raffiche che provenivano dalla statale; venni poi a sapere che dei partigiani erano stati fucilati sotto il ponte di Castelnuovo a Pinasca, erano giovani che erano stati catturati verso il colle della Roussa(1), portati all’Istituto Salesiano di Perosa Argentina e qui percossi brutalmente.

In quella circostanza all’Istituto Salesiano si trovava agli arresti con il padre anche Riccardo Richiardone. Questi, sebbene sedicenne, operava come staffetta: era stato incaricato da Viola Lageard che il giorno precedente era già salita due volte a Gran Dubbione, di portare ordini e notizie dell’imminente rastrellamento in zona a Marcellin.

Riccardo Richiardone e il padre di ritorno durante il coprifuoco

furono arrestati a Tagliaretto, ricondotti poi a Gran Dubbione e obbligati a portare uno zaino carico di bombe come scudo per la colonna tedesca. Il giorno successivo furono trasferiti all’Istituto Salesiano di Perosa Argentina dove Riccardo riuscì a liberarsi del biglietto col messaggio degli ordini di Marcellin da consegnare a Favout a Perrero che aveva nascosto in una scarpa. Con loro era stato arrestato anche un partigiano catturato a Serre Moretto che, sceso in pianura per trovare la madre, al ritorno, non era riuscito a raggiungere

gli altri della banda.

Riccardo Ricchiardone e il padre furono condannati a morte, ma riuscirono a dimostrare di essere dipendenti R.I.V. I dodici partigiani vennero fucilati. Nello stesso giorno fu fucilato dopo essere stato barbaramente torturato Stefano Manassero preso il C.V.S. (Cotonoficio Valle di Susa) di Perosa Argentina (1).

Al mattino successivo passai sotto il ponte di Castelnuovo per rendermi conto di quanto fosse successo, non scoprii nulla, poiché passai velocemente; avevo timore di essere avvistato da pattuglie tedesche che transitavano sulla statale. Mi diressi a Fleccia di Inverso Pinasca da Viola per riferire quanto era successo, ne era già informata, prima che mi allontanassi mi chiese quando mi sarei deciso a salire in montagna; fui colpito da quella domanda, risposi che intendevo terminare l’anno scolastico.

 

(1) Nel vallone della Roussa cadevano Mario Challier, Achille Marinetto, Beniamino Tron, Remo Vola, Guglielmino Talmon, e Severino Barale (fatto prigioniero venne fucilato a Coazze).

A ricordo dei caduti fu eretto un cippo nei pressi del ponte con la scritta:

Solo colpevoli

Di amare Patria e Libertà

Dopo atroci sevizie

Caddero sotto il piombo nazifascista

12 Patrioti

la popolazione a ricordo

Castelnuovo 10-05-1944

Detto cippo era stato voluto da Dario Bonadeni e costruito da Ettore Bertetto reduce dalla prigionia in Germania, le loro mogli Ada Morero e Maria Bresso dopo la morte dei mariti hanno sempre avuto cura della piccola aiuola collocando dei fiori.

Cattura Partigiani

Alcuni giorni dopo l’avvenuta fucilazione dei dodici partigiani al ponte di Castelnuovo, altri sei o sette partigiani catturati nella zona di Gran Dubbione, furono portati dietro casa mia, erano custoditi da soldati russi. Mia madre e mia zia si avvicinarono e si adoperarono a cucire i pantaloni strappati di alcuni, io mi avvicinai loro e vista la posizione del mitragliatore sulla strada li invitai a tentare la fuga, ovviamente non potevo dire loro che alcuni giorni prima altri partigiani erano stati fucilati.

Chiesi ad uno di loro l’indirizzo dei genitori a Torino per avvisarli della cattura; avevo uno zio sfollato, che lavorava alla FIAT, riuscì ad informare i parenti.

Il giorno successivo arrivò a casa mia il padre del giovane: era arrabbiatissimo poiché il figlio non si era presentato nella R.S.I. come lui avrebbe voluto. A questo punto non ci pronunciammo oltre, mio padre lo condusse all’Istituto Salesiano di Perosa Argentina dove erano stati trasferiti i prigionieri.

Alcuni anni dopo la liberazione mio padre recatosi a Gran Dubbione venne riconosciuto da uno di quei giovani, il quale lo informò che era l’unico superstite, alcuni di loro erano stati fucilati per rappresaglia, ed altri, inviati in Germania, non avevano più fatto ritorno (1).

(1) Il 26 maggio 14 giovani catturati nella zona di Gran Dubbione unitamente ad altri 27 "ribelli" condotti nelle carceri nuove di Torino venivano fucilati.