SECONDA PARTE

13 giugno

Il 13 giugno partii per la montagna, avevo già assunto questa decisione precedentemente anche con il consenso dei miei genitori e del nonno, benché non avessi obblighi di leva ed inoltre fossi in possesso di un esonero per motivi di lavoro, in qualità di boscaiolo !!

All’uscita del cancello di casa abbracciai il nonno, notai le lacrime agli occhi, compresi la sua preoccupazione, poiché nella prima guerra mondiale aveva perso il figlio.

Nello stesso luogo nel 1952 mi incontrai ancora con il nonno, aveva le lacrime agli occhi, ma questa volta erano lacrime di gioia poiché gli annunciavo la nascita del mio primo figlio, Daniele.

Corsi via e non mi fermai fino a quando voltandomi indietro non avrei più visto la casa.

Raggiunsi un gruppo di giovani a Vivian d’Inverso Pinasca, qui pernottai in un fienile.

14 giugno

Partii da Vivian alle cinque del mattino con i fratelli Ercole ed Aldo Costabello, Rinaldo Costabel; a Reynaud si unì a noi Giorgio Bertetto, quindi passammo a Faiola, Gerbout, Enfous, Clot di Boulard, Gilli, ponte di Pomaretto, retro casa Coucourde, Girp, Cataudia e scendemmo a Meano dove si stava costruendo il bacino per la nuova centrale elettrica del C.V.S. Seguendo la statale raggiungemmo il Laux.

Con Giorgio Bertetto, prima di Villaretto scendemmo nel piazzale della centrale Lombroso, scavalcammo il muro nei pressi della condotta forzata e sotto ad una roccia recuperammo un paio di scarponi.

Durante il rastrellamento del 24 maggio Giorgio Bertetto e Gianni Gay individuati e sotto tiro di truppe tedesche con carri armati avevano abbandonato un paio di scarponi, che avrebbero dovuto portare ad Enrico Gay, il giorno successivo separatamente si erano ritrovati a Reynaud di Inverso Pinasca nella casa di Giorgio, l’uno aveva temuto per la sorte dell’altro.

Raggiunsi il Laux, prima che posassi lo zaino due partigiani mi diedero un’accetta, mi ordinarono di spaccare della legna, dopo pochi colpi venni fermato da Angelo Bonadeni, un mio vicino di casa di 40 anni, partigiano con il figlio Dario.

I partigiani dello scherzo erano i due fratelli Dalla Mura di Torino addetti alla cucina, chiamati Barbun il più anziano e Barbuncin il più giovane per la loro folta barba, due ragazzi molto simpatici.

Incontrai quindi Enrico Gay, ci abbracciammo e quella sera volle che dormissi accanto a lui.

15 giugno

La mattina venni svegliato bruscamente per il capovolgimento della branda vicina, era quella di Enrico Gay, Gustavo Griglio si era sbagliato credendo fosse la mia.

In quel giorno arrivò al Laux Maggiorino Marcellin su un autocarro per incontrarsi con Enrico Gay, Gianni Daghero, Fiore Toje, Eugenio Juvenal per la controversia ricordata come "il pronunciamento del Laux".

Questi ultimi si erano rifiutati, all’ordine di Marcellin, di effettuare un attacco a Perosa Argentina e a Cesana, ritenendolo inoportuno, data la situazione che si era venuta a creare in quel momento. C’era stato un notevole aumento di giovani che erano saliti in valle, che erano disarmati e impreparati per azioni di guerra.

Eugenio Juvenal mi consegnò un fucile tipo 1941, arma che avrei dovuto restituire a fine guerra a sua madre in caso di morte.

Quest’arma, al 25 aprile, all’insurrezione, con altre che avevo nascoste vicino a casa venne consegnata a partigiani disarmati e non più restituita.

Dalle ore 12 alle 20 effettuai il primo turno di guardia con giovani di Prarostino alla postazione oltre l’abitato del Laux (1).

16 giugno

Dal Laux scesi al forte di Fenestrelle per il ricupero di armi ed esplosivi. Raggiunsi il Forte San Carlo dove entrai in un ampio locale in cui si trovavano depositate delle bombe in una enorme catasta, alcune di queste erano aperte e contenevano delle biglie in ferro ed una polvere di colore rossastro.

Stavo per allontanarmi quando, voltandomi, vidi Marcello Long che; presa una manciata di polvere, la depositò sul pavimento e si mise ad armeggiare con un fiammifero. Ci fu una vampata ed un urlo, Marcello fu colpito da una fiammata alle mani ed al volto, fortunatamente l’accensione era stata effettuata ad una quindicina di metri dalla catasta delle bombe.

Accompagnai Marcello presso la farmacia di Fenestrelle dove ebbe le prime cure e ne uscì con mani e volto completamente fasciati.

Lo portai in una stanza dell’albergo della Rosa Rossa e passai la notte con lui.

Quella sera nell’albergo si stavano festeggiando delle nozze alle quali in parte partecipai anche io.

17 giugno

In mattinata ero seduto con Enrico e Gianni Gay sulle nostre brande, quando entrò un giovane che da Massello attraverso il colle dell’ Albergian era sceso al Laux, Sapeva di trovare i fratelli Enrico e Gianni Gay, che aveva conosciuto a Torino all’Unione Giovanile Valdese.

(1) Laux località in comune d’Usseaux, che nel 1526, 140 barba Valdesi si erano aggregati in un Synodo tenuto al Valone del Lauso in Val Clusone per orientarsi verso l’adesione dei Valdesi alla Riforma che si realizzò nel 1532 a Chanforan in Val Pellice.

Stava davanti, parlava loro senza conoscerli a causa della loro barba molto folta; il dialogo si protrasse per alcuni minuti prima che si accorgesse di essere davanti ai due fratelli, si chiamava Francesco Bruno.

18 giugno

Ero di guardia a valle dell’abitato del Laux, località dove si poteva controllare totalmente la Copura ed inoltre la mulattiera che da Fenestrelle sulla destra orografica del Chisone sale al Laux.

Oltre alle nostre armi individuali, fucile e bombe a mano noi eravamo dotati di un mitragliatore, avevamo inoltre una tenda per il pernottamento.

I turni erano di otto ore in due, suddivisi con due ore di guardia, e due di riposo alternate; al posto di guardia mi trovai con giovani di Prarostino, Enrico Paschetto, Edmondo Avondet, Walter Fornerone, Guido Valdo Godino ed altri.

19 giugno

Dal Laux scesi al forte di Fenestrelle per ricerca e recupero di esplosivo.

Trovammo delle bombe del 210, si trattava di svuotarle per ricuperare il tritolo in esse contenuto.

Ero con Luigi Gariglio il quale, presa una bomba, incominciò a svitarla; non conoscevamo la pericolosità dell’operazione, io mi misi al riparo di un muricciolo alla distanza di pochi metri, lo guardai mentre ricuperava il tritolo con un ferro per scheggiarlo, mi illudevo di essere al riparo in caso di scoppio!!

Iniziai anch’io l’opera di recupero, la polvere che si propagava durante l’estrazione del tritolo provocava in noi un gusto amaro in bocca ed insieme una colorazione da giallo alle mani, alla faccia ed ai capelli. Quindi per evitare questi inconvenienti, trovate delle maschere antigas le adoperammo.

Il tritolo recuperato venne consegnato agli uomini di Gianni

Daghero (Lupo) della banda guastatori, che lo usavano per interruzioni stradali e distruzioni di ponti.

Ricordo il viso ed i capelli di Lupo colorati di un giallo intenso perché non aveva messo la maschera.

20 giugno

Ero di guardia dalle 20 alle quattro del giorno successivo, facevo il primo turno; era quasi notte, scorsi due che salivano sulla mulattiera. Al mio chi va là, non ricevetti alcuna risposta. Mi avvicinai alla strada, riconobbi Riccardo Albinolo e Giosuè Moretti che stavano rientrando da Fenestrelle. Ritornai in postazione, nel frattempo era venuto ad ispezionare Rocco Galliano, il quale mi rimproverò poiché mi ero allontanato dal posto di guardia.

 

 

(Rocco ebbe una gamba fratturata durante il rastrellamento del successivo mese d’agosto. Dopo diverse peripezie, in groppa ad un mulo, fu trasportato a Bout du Col, qui fu aiutato dalla Sig.ra Berger di Prali che gli portava il cibo.

Venne inoltre visitato dalle staffette Viola Lageard ed Alma Baral che in bicicletta da Inverso Pinasca salivano a Prali.)

Dal racconto di Viola Lageard:

"Il 23 agosto sempre con Alma Baral salii a Bout du Col da Rocco Galliano che era ferito, e lo trovai immobilizzato a causa di una frattura ad una gamba, sotto ad una " balma " avvicinatomi sentii la sua voce e con stupore, non vedendo nessun altro con lui, scoprii che stava parlando con le formiche, cosa può fare la solitudine".

Dal racconto di Alma Baral

"Ricordo lo spostamento del partigiano Rocco Galliano, che era stato gravemente ferito, da Prali a Pinasca. Camuffato da pastore, con la gamba steccata, sulla bicicletta, attorniato da un gruppo di accompagnatrici, egli passò senza conseguenze i posti di blocco lungo il percorso raggiungendo la propria abitazione".

Rocco Galliano venne poi catturato a Pinasca il giorno di Natale 1944 e fucilato a Rivoli il 25 febbraio 1945 per rappresaglia.

Durante una commemorazione in onore dei Caduti dopo la liberazione nel cimitero di Pinasca si alternarono due oratori, il primo ricordava Rocco come militante Comunista, mentre il secondo lo ricordava Democristiano.

Fui profondamente colpito dal fatto che i nostri caduti venissero utilizzati come oggetto di propaganda politica, da persone che durante la lotta partigiana o si erano tenuti ai margini o ne erano contrari.

Purtroppo questa cosa si manifestò negli anni successivi anche in campo Nazionale.

21 giugno

Al Laux era stata costruita una zattera con la quale a turno ci divertivamo a spostarci da una sponda all’altra del lago (1).

Quel giorno era salito Marcello Long per consumare il rancio.

Tentava poi di avvicinarsi a riva, quando alcuni di noi scagliavano delle pietre nell’acqua per non lasciarlo accostare, Marcello non era tipo che accettasse scherzi, non esitò, imbracciò il parabellum e scagliò una raffica ai nostri piedi che ci fece subito desistere.

(1) Il bellissimo lago era alimentato da sorgenti d’acqua provenienti dal fondo, ma negli anni 70 con la costruzione della galleria che passa all’interno delle rocce del Laux per convogliare le acque del lago artificiale di Pourrières alla centrale della R.I.V. di Fenestrelle, aveva interrotto l’afflusso dell’acqua al lago rendendolo quasi privo di acqua.

Con l’interessamento dell’amministrazione del comune di Usseaux si costruì una canalizzazione proveniente dal rio che scende dal vallone dell’ Albergian per alimentare il lago.

22 giugno

Con Gianni Gay scesi a Fenestrelle all’Albergo dei Tre Re dove il proprietario Sig.Toje con tutta la famiglia era sempre disponibile con noi.

Di ritorno al Laux appresi da Enrico della morte d’ Alfredo De matteis avvenuta in circostanze assurde.

Mentre stava giocando a carte, era stato colpito da un proiettile partito accidentalmente dall’arma di un altro partigiano, era stato colpito al ventre; ebbe una morte lenta, terribile, senza che ci fosse stata la possibilità di portargli soccorso o di alleviargli i dolori.

23 giugno

 

Di guardia dalle 24 alle ore 8

24 giugno

Riposo al Laux

Giulio Morello giovane stravagante, già nel settembre 1943 si era recato al Forte di Fenestrelle per ricuperare armi che aveva portato a Perosa Argentina nella casa Gay.

In uno dei sopralluoghi al forte venne scoperto da militari tedeschi, stava litigando con un compagno per degli scarponi trovati al forte. Fortunatamente avevano nascosto le armi ed i tedeschi si limitarono ad allontanarli. In un altro sopralluogo al forte fu catturato dai tedeschi, caricato su un camion, durante la notte riuscì a fuggire.

Al Laux sulla terrazza che divideva la villa dalle camerate si trovava un mitragliatore, il Morello caricò l’arma ed esplose una raffica verso la parte opposta del lago prendendo come bersaglio dei pantaloni stesi che furono colpiti in pieno e ridotti ad uno straccio.

I pantaloni erano di Ettore Viotto al quale fu dato un telo da tenda, questi scese da un sarto a Fenestrelle, per farsene confezionare un altro paio.

II Morello voltò poi l’arma e sparò alcuni colpi nella camerata, fortunatamente nessun partigiano si trovava sulle brande.

Alla fine della guerra si arruolò nella legione straniera, inviato in Indocina morì nella battaglia di Dien Bien Phu.

25 giugno Laux Villaretto.

Mi venne attribuito il nome di battaglia "cavaliere " Questo titolo era dovuto al fatto che mio nonno Natale Rostan era stato nominato cavaliere nel 1917 e aveva avuto la nomina di Giudice Conciliatore nel 1898 che si protrasse poi per ben 52 anni fino al 1950. (1)

 

    1.  
    2. Per 30 anni, dal 1965 al 1° maggio 1996, (data in cui venne istituita la figura del Giudice di Pace) anche io ebbi l’incarico di Giudice Conciliatore. Pure mio bisnonno, Carlo Rostan aveva rivestito questa carica a San Germano Chisone: nato nel 1842 aveva partecipato alla guerra per l’indipendenza e l’unità d’Italia del 1860/61, ottenendo una decorazione al merito.
  • 26 giugno
  • Con Enrico Gay salimmo alle Grange di Pragelato ( Albergo Passet) al comando divisione.

    Qui si trovava il campo di concentramento per persone sospette, si trovavano pure persone che collaborarono con noi, qui trattenute per mascherare la loro vera attività dopo il rilascio

    27 giugno Laux Fenestrelle

    28 giugno Guardia dalle ore 22 alle ore 6

    29 giugno Laux Fenestrelle

    30 giugno

    Con Gianni Gay ed Umberto Mourglia salii ai laghi dell’Albergian, attraverso il colle a quota 2880 tra il Bric Rosso e Truc Cialabrie passammo in territorio di Massello per scendere al lago del Vallone (2311 m.).

    Nella discesa sul nevaio, Umberto, per frenare una caduta piantò il parabellum nella neve, partì una raffica, lo vidi portarsi le mani alla faccia e quindi osservarle se vi erano traccie di sangue; lo guardai e con grande sorpresa vidi le sopracciglia bruciacchiate, le pallottole non erano passate molto lontano.!!

    Scendemmo alle bergerie del Lauson di Massello. Qui chiedemmo del latte, che inizialmente ci venne rifiutato, anche se c’erano almeno 50 mucche, in seguito, ci venne dato polenta latte e formaggio.

    Scendemmo a Massello, poi passammo a Maniglia e verso sera raggiungemmo delle baite nei pressi del colle della Buffa. Qui trovammo partigiani della banda del Tetu ( Enrico Ribet ) Entrai a tentoni in un fienile e scossi un partigiano che dormiva, con sorpresa vidi che era Giovanni Scalerandi di Pinerolo un compagno di scuola; non vi era alcuna sentinella di guardia!!

    Qui il Tetu ci accolse con grande ospitalità, sul tavolo davanti a noi cominciò a mettere pane, salame, formaggio e scatolette, era sua abitudine offrire a tutti, tutto quanto aveva.

    Altre volte mi ero trovato con uomini della sua banda anche in periodi precari, ma sempre erano stati prodighi di dare quello che avevano.

    1 luglio

    Dal colle della Buffa scendemmo alla Cataudia, dove avemmo un incontro con il Direttore del C.V.S. (Cotonificio Valle di Susa) il Sig.Bocca per concordare la fornitura di stoffa per la confezione di pantaloni e giacche.

    Raggiungemmo la borgata del Passoir, andammo dai borghigiani a chiedere qualcosa da mangiare, Gianni ed Umberto arrivarono con delle uova, io nulla poichè non osavo chiedere.

    Arrivammo a Selvaggio e consegnammo le nostre uova ad una signora che ci preparò una frittata.

    Da Selvaggio scendemmo verso la statale, ci fermammo sulla riva del Chisone, nascosti tra i cespugli per riposare.

    Ad un tratto vedemmo passare sulla statale un autocarro del C.V.S. che conoscevamo, chiamato la tartaruga per la sua lentezza nel procedere. Gianni esplose una raffica in aria, il mezzo si fermò e raggiuntolo, scoprimmo che nel cassone si trovavano giovani di Perosa fra i quali Luciano Meitre, salimmo anche noi e tutti insieme raggiungemmo il Laux.

    Agli inizi del mese di giugno c’eravamo trovati a Perosa Argentina tra amici, si parlava di quale scelta ciascuno di noi avrebbe fatto, tutti avevamo dichiarato che saremmo stati a casa. Alla fine del mese eravamo tutti saliti al Laux separatamente uno dall’altro.

    2 luglio Laux – Fenestrelle

    3 luglio Guardia al Laux dalle 20 alle 4

    4 luglio Laux

    5 luglio

    Dal Laux con Aldo Viotto salimmo a Selleries passando per Depot-Pra Catinat, qui avremmo dovuto prendere contatto con partigiani della Val Sangone, ma l’indicazione era errata, poiché il luogo dell’appuntamento era Selleries della Val Sangone.

    6 luglio Laux – Depot – Chambon

    7 luglio Laux – Roussa

    Qui ebbe inizio il collegamento giornaliero tra la Val Chisone e le formazioni partigiane della Val Sangone.

    Eravamo in tre, Aldo Viotto di Pinasca, Enrico Garibaldi di Villar Perosa ed io.

    I viaggi venivano effettuati due alla volta, in modo che ciascuno di noi a rotazione dopo due viaggi consecutivi avesse un giorno di riposo.

    A Villaretto provenienti dal Laux, acquistavamo della frutta, pesche o pere che portavamo al nucleo di partigiani alla Roussa, qui arrivavamo verso mezzogiorno, noi davamo loro la frutta e da loro ricevevamo rancio e sigarette.

    Al ritorno dalla Roussa a volte avevamo un buono per una cena all’albergo dei Tre Re a Fenestrelle.

    Quella sera mi incontrai con Giorgio Diena, gli offrii un buono pasto, poichè Aldo Viotto era salito al Laux.

    Quel giorno avrebbe dovuto avere un colloquio a Castel del Bosco con un maresciallo tedesco, quindi era sceso munito di una pistola Berretta cal 9, consegnatagli da Percivatti di Mentoulles .

    Mi consegnò la pistola affinché la restituissi al Percivatti, cosa che non feci, mi trattenni la pistola per tutto il periodo partigiano.

    8 luglio

    Al ritorno dalla Roussa a Fenestrelle venni a conoscenza della morte di Guido Morello caduto ad Exilles nella valle di Susa durante una azione di sabotaggio.

    Arrivato al Laux dovetti salire fino alla bergeria dell’Albergian ed in serata ero di nuovo al Laux.

    9 luglio

    Era domenica, giornata libera, quindi con Riccardo Leger decidemmo di scendere a casa, raggiungemmo il colle della Roussa il M.Bocciarda, quindi scendemmo a Rio Agrevo, qui ci dividemmo, Riccardo scese verso Perosa ed io passando per Ciampiano raggiunsi i Maurin.

    Quella sera dormii nel mio letto, fu l’unica volta in tutto il periodo partigiano.

    10 luglio

    Rientrai al Laux passando da Ciampiano, Ciapelle, borg Lageard, Castel del Bosco, quindi per la statale raggiunsi il Laux.

    11 luglio

    Salito alla Roussa trovai il colonnello Tullio Giordana, proveniente dalla Val Sangone che intendeva trasferirsi in Val Chisone, dove noi dovevamo accompagnarlo.

    Durante la discesa ci avvicinammo ad una sorgente d’acqua per bere e scherzosamente disse "peccato che non sia vino", gli risposi che a me andava bene così, poiché ero astemio. La sua risposta fu "non sei un alpino".

    Raccontò di fatti inerenti la guerra.

    Sul fronte Libico durante l’avanzata delle truppe italo tedesche, dalle retrovie immettevano acqua nelle cisterne della benzina, per sabotaggio, in modo che non ci fosse carburante per i mezzi corazzati ed acqua per bere.

    Parlò inoltre di un colpo di stato (non mi risulta che questi fatti siano stati riferiti da storici) che si sarebbe dovuto verificare con la destituzione di Mussolini allo sbarco degli alleati nel 1942 in Africa Settentrionale e precisamente l’11 novembre al genetliaco del Re Vittorio Emanele III. Di questo colpo di stato il re sarebbe stato contrario mentre il Principe Umberto sarebbe stato favorevole, ciò che avvenne poi al 25 luglio 1943.

    12 luglio

    Al Laux di ritorno dalla Roussa dalla camerata mi trasferii nella villa accanto, con Aldo Viotto ed Enrico Garibaldi in qualità di staffette.

    Qui nella sede del Comando si trovava il nostro furiere Guido Baret che svolgeva il suo lavoro con competenza e scrupolosità.

    E’ interessante vedere i documenti relativi alla nostra Banda.

    Per motivi che mi sfuggono alcuni di questi documenti sarebbero poi venuti in possesso dei Giudici del Tribunale di Pinerolo i quali nell’esaminarli rimasero meravigliati nel constatare i particolari riportati Non avrebbero mai pensato che dei ribelli avessero una contabilità così corretta.

     

    Riporto uno stralcio di alcuni documenti di contabilità

     

    C.L.N.

    CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA’

    I° DIVISIONE ALPINA AUTONOMA VAL CHISONE A.SERAFINO

    BRIGATA M. ALBERGIAN E. JUVENAL l°BANDA

    N° 214 di Prot………………………..Z.O. 1/45

    Al Comando Brigata M.Albergian.

    Oggetto: Resoconto spese dal 6-11-44 al 3.1.1945

    10/11-44 Rimanenze L. 1.085

    10/11.44 pagate patate L. 72

    14/11.44 pagate patate L. 168

    18/11.44 pagato sale L. 80

    25/11.44 pagato riparazione scarpe L. 70

    2/12.44 pagato cipolle L. 64

    12/12.44 pagate patate L. 500

    20/12 44 pagato burro L. 390

    ………… ……………… ………

    Rimanenze L: 60

    I° BANDA ENRICO GAY

    N.139 di Prot. Zona 4-11-44

    Al Comando Brigata M.Albergian

    Oggetto: Decade Patrioti trasferiti

    Ritorno le decade della 2° quindicina di agosto

    Relativa ai Patrioti non più in forza in questa Banda

    Pavan Ottorino L. 160

    Moretti Giosuè L. 160

    Degregori Oreste L. 160

    Rol Sergio L 160

    Totale L. 640

     

    Il primo è stato trasferito al Comando Divisione e gli altri tre al Comando di Brigata vedasi lettera del 19-10-44 n.77 di prot.

    Il Capo Banda

    Gianni Gay

    Quale potrà essere al giorno d’oggi l’amministrazione pubblica che rimetta il disavanzo di una spesa all’Ente da cui aveva ricevuto i fondi.

    Nella villa un altro locale adibito ad infermeria era occupato da Alessandro Borda e Francesco Bruno.

    Francesco Bruno era stato inviato a Pra Catinat ai Sanatori Agnelli per prelevare dei termometri, qui aveva preso una scatola con 100 pezzi che intendeva vendere ai civili a Fenestrelle.

    Il Comando venuto a conoscenza, di questo fatto lo mise al palo (era questa la punizione che veniva inflitta ai partigiani che avessero trasgredito agli ordini o non si fossero comportati in modo corretto) fu legato ad un larice nei pressi del lago del Laux.

    Lo vidi che liberata una mano stava leggendo il nuovo testamento, che riportava velocemente dietro la schiena se qualcuno lo osservava.

    Sul suo tavolino all’infermeria conservava una fotografia di una giovane che riconobbi, era mia cugina Edel Rostan.

    13 luglio

    Ero sceso a Fenestrelle, lo scopo era quello di fingere un attacco alla caserma dei carabinieri che avevano precedentemente accordato: avrebbero dovuto arrendersi e unirsi a noi.

    Mi trovavo al centro abitato di Fenestrelle, sopra il cassone di un camioncino con Maggiorino Marcellin, Enrico Gay, Gianni Daghero, (Lupo) Giuseppe Damiano, ad un tratto una bomba a mano (Sipel) cadde urtando contro una lamiera in ferro del cassone e provocò la rottura dell’arresto della sicura.

    Lupo con una eccezionale velocità afferrò la bomba, impugnando la leva della sicura svitò il detonatore neutralizzandola.

    Non avrebbe potuto lanciarla trovandoci nella strada tra le case con decine di persone attorno. Guardammo stupiti Lupo che da una mano teneva la bomba e dall’altra il detonatore ed eravamo increduli dello scampato pericolo.

    14 luglio

    A Fenestrelle ero stato incaricato di portare al Laux, per punizione un uomo che era sempre ubriaco, anche con il consenso dei famigliari.

    Gli diedi da portare una macchina da scrivere. Salimmo lungo la mulattiera che da Fenestrelle porta al Laux, stentava a camminare, barcollava, si lamentava e piangeva per il timore di chi sa quale punizione.

    Giunto al Laux posata la macchina da scrivere lo lasciai andare, se nella salita faticava a camminare il ritorno lo fece con grande velocità.

    15 luglio

    Al Laux arrivarono alcuni republichini che erano fuggiti dal presidio di Perosa Argentina per venire con noi.

    Erano siciliani, giovani catturati l’otto settembre 1943 nei Balcani, fatti prigionieri dai tedeschi, trasportati nei campi di concentramento in Germania, avevano quindi optato per la R.S.I. (Repubblica Sociale Italiana).

    Trasferiti in Italia avevano disertato, furono degli ottimi partigiani e rimasero fino alla liberazione.

    I mitra portati dai nuovi arrivati vennero distribuiti ai comandanti, Marcello Long non avendolo ricevuto, ne fu indispettito scese a Perosa Argentina, ed alle 17 di sera, all’uscita degli operai dalla Gutermann si unì loro, avvicinandosi al posto di blocco sul ponte, puntò la pistola alla sentinella di guardia e la disarmò del mitra.

    Alcuni giorni dopo si era presentato a Laux Renato Costantino, non essendoci armi mi chiese in prestito la pistola, quindi scese a Villar Perosa presso lo stabilimento R.I.V, al posto di blocco puntò la pistola al repubblichino di guardia e gli prese il mitra

    Appena dopo la liberazione il Costantino morì con la moglie in un incidente, in motocicletta si schiantò contro un carro nel rettilineo della strada statale dopo Villar Perosa.

    16 luglio Attacco a Perosa Argentina.

    Partimmo di notte dal Laux per trovarci nei pressi di Perosa Argentina all’alba, già precedentemente era scesa dal Laux la squadra guastatori di Lupo ed aveva provveduto ad interrompere la statale con la distruzione del ponte di Castelnuovo di Pinasca.

    Si avvicinò Marcello Long, che era al comando di una squadra e mi ordinò di rimanere al Laux e di non scendere a Perosa, alla mia domanda per quella decisione mi rispose che ero figlio unico e l’azione avrebbe comportato dei pericoli. Io mi aggregai ad un altro gruppo e scesi anch’io.

    Nella mattinata con Gianni Gay ed i fratelli Aldo ed Ettore Viotto e Dario Bonadeni attraversammo Rocca Pertusa ai Pons e raggiungemmo la scuola latina di Pomaretto.

    Un gruppo aveva già attaccato il presidio repubblichino di Pomaretto nella casa Bernard oltre il ponte nella zona di Inverso, qui rimase ferito Remo Masseilot ad una gamba all’altezza dell’inguine, fu fatto prigioniero un repubblichino.

    Un gruppo dietro di noi nei pressi dei Pons sparava sulla torre della Casa Littoria dove si trovava una postazione repubblichina. All’altezza del Convitto Valdese arrivò un carro armato che con la mitragliatrice da 20 mm. sparò verso i Gilli, qui purtroppo vennero colpiti a morte due partigiani della G L (Giustizia e Libertà) Matteo Mattalia di anni 23 e Roberto Oliari di anni 18,operanti in Val Germanasca.

    Noi ci trovavamo bloccati, da colpi di mortaio che erano sparati dal parco C.V.S. (ora parco E.Gay) passavano sopra di noi per esplodere nel centro abitato di Pomaretto e dal carro armato sulla provinciale nei pressi del convitto Valdese, rimanemmo nascosti nella vigna nei pressi della scuola Latina.

    Da qui vedevo al secondo piano della scuola Latina l’Ing.Grill che qui era sfollato, stava mangiando e lo guardavo con invidia ,noi eravamo digiuni.

    Verso sera risalimmo la strada verso i Faure dove ricevemmo ristoro e pernottammo.

     

    17 luglio

    Dalla borgata Faure passammo al colle della Buffa quindi scendemmo alla Cataudia e raggiungemmo la statale e risalendo la valle fino al Laux.

    Qui giunti venimmo informati dell’attacco tedesco al colle Basset ed al Triplex: in quella azione numerose furono le perdite da ambo le parti.

    Un ufficiale tedesco gravemente ferito venne trasportato all’infermeria di Val Troncea dove morì.

    La salma venne restituita a Champlàs Du Col presso il presidio tedesco che apprezzò questo gesto.

    18 luglio Usseaux

    19 luglio

    In quel periodo l’alta Val Chisone, occupata dai partigiani a causa del blocco a Perosa Argentina, si era trovata senza farina sia per i partigiani sia per la popolazione.

    Il Comando aveva preso accordi con i partigiani della Val Sangone e dovevamo pertanto andare a Forno di Coazze per la fornitura di grano.

    Il Comando Partigiano requisì quindi i muli esistenti in valle per il trasporto del grano.

    Io scesi a Fenestrelle e, all’imbocco del paese, incontrai una giovane che tornava indietro con il mulo. Proseguendo verso l’albergo dei Tre Re, vidi poi una donna che protestava poiché il veterinario aveva fatto abile il suo mulo. Subito non compresi chi fosse il veterinario, ma scoprii che tale incarico era stato assunto da Luigi Gariglio che, indossata la giacca con i gradi da sottotenente di Enrico Gay, fungeva da veterinario pur non avendo mai visto un mulo.

    Si formò una lunga colonna i cui conducenti erano tutte donne. Io e Guido Raviol eravamo gli ultimi della colonna. I primi avevano già varcato il colle della Roussa per scendere a Forno di Coazze. Vedemmo la colonna ritornare indietro precipitosamente, era successo che i tedeschi stavano salendo in Val Sangone verso Forno.

    Mentre la colonna con i muli rientrava in valle, fui incaricato da Lorenzo Vanossi (Alpi) di accompagnare un uomo del C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) al Crò.

    Con Ettore Viotto salimmo al M.Bocciarda (2213 m) M. Uja colle della Meina (1).

    Prima di arrivare alla Merla dalla cresta Inverso la Morte scendemmo verso Gran Dubbione raggiungendo Serremoretto dove, nella trattoria della Piombina, ci venne dato polenta e formaggio.

    Proseguimmo quindi per la Carla, Pra la Bà e arrivammo al Crò dove ci dividemmo.

     

    (1) Colle che veniva attraversato per il trasporto di materiale contenente argento; dal versante di Perosa Argentina a Forno in Val Sangone.

    Con Ettore scesi a Tagliaretto e raggiungemmo Dubbione dove, all’entrata del paese, trovai Marcello Collino che ci diede delle pesche.

    Nascosto al lato della strada il mio fucile e solo con la pistola entrai a Dubbione (sede del presidio della R.S.I.). Andai dal tabaccaio per chiedere delle sigarette e riuscii ad avere un pacco di dieci popolari. Riprendemmo quindi la marcia raggiungendo le nostre case ai Maurin. Quale fu la sorpresa di mia madre quando s’accorse che nelle tasche avevo delle croste di formaggio che tenevo per riserva!

    Quella sera salii alla Marotera e dormii con Gaudenzio Bertetto a casa sua.

    20 luglio

    Nei giorni passati al Laux avevo sentito parlare di Matteotti, dei fratelli Rosselli e di altri al confino od espatriati, la maggioranza di noi nati e vissuti totalmente nel ventennio, non sapevamo nulla degli antifascisti.

    A casa chiesi a mio nonno cosa era la Democrazia Cristiana, cosa era il Comunismo, mi rispose che la D.C. era il vecchio partito popolare di Don Sturzo, che il partito Comunista partito dei lavoratori era più a sinistra del partito Socialista, questi partiti erano stati soppressi con l’avvento del Fascismo. (1)

    21 luglio

    Sulla statale oltre il ponte del Selvaggio verso Castel del Bosco si ebbe uno scontro tra una pattuglia partigiana ed una pattuglia di avanguardia nemica della R.S.I. Un repubblichino rimase ucciso ed un altro fu ferito; qui da parte partigiana cadde Ugo Paolasso di Pinasca e Remo Raviol di Perosa Argentina, colpito in pieno viso, rimase accecato.

    Con Ettore Viotto mi recai alla Marotera da Roseo Charrier per recuperare un moschetto.

     

     

     

     

    (1) I partigiani in Val Chisone, pur con tendenze politiche diverse operarono in accordo fra loro. Erano presenti tutte le correnti, dai monarchici ai comunisti. Fu una lotta militare antitedesca ed antifascista.

    Non cedettero alle lusinghe dei partiti politici.

    Al termine della guerra venne scritto sull’Unità da Palmiro Togiatti del P.C.I., che le formazioni Autonome partigiane avevano collaborato con i Tedeschi !!

    Ettore Serafino rispose che la Val Chisone aveva avuto ben 200 caduti di cui 27 ufficiali, fra i quali suo fratello e che le formazioni autonome erano state le vere formazioni democratiche poiché costituite da giovani di tutti i partiti.

    Le formazioni partigiane della IV Zona erano così costituite:

    G.L. (Giustizia e Libertà), partito d’Azione. (Val Pellice e Val Gemanasca)

    Matteotti, partito socialista, Garibaldine partito cominista (parte della Val Susa)

    Autonome ( Val Chisone e Val Sangone)

    22 luglio

    Avevo passato la notte alla Marotera, la mattina stavo per scendere da Ettore Viotto e poi a casa, quando improvvisamente Gaudenzio Bertetto decideva di salire con noi.

    Così partimmo in tre, passammo per Ciampiano, sotto la casa di Remo Raviol, ferito gravemente il giorno prima, poi seguendo il solito itinerario, Ciappelle, Lageard, Castel del Bosco raggiungemmo il Laux.

    23 luglio Villaretto

    Nel tratto di strada oltre Mentoulles scorsi nei pressi del Chisone nei prati una lepre, appoggiai il fucile sul muricciolo, presa la mira sparai, la lepre rimase immobile, ricaricai ripresi la mira ma la lepre si era spostata nei cespugli e non la vidi più.

    Pensai a Cesarino Castagna che alcuni giorni prima alle bergerie dell’Albergian ad una notevole distanza al primo colpo aveva colpito una lepre, che consegnata al margaro era stata cucinata con polenta con apprezzamento di tutti.

    24 luglio

    In quel giorno verso sera era stato portato un prigioniero civile condannato a morte. Lo vidi allontanarsi con la scorta verso le case del Laux dove avvenne la fucilazione.

    25 luglio

    Nella villa al piano terra, in un locale cantina che era adibito a prigione, venni incaricato di fare di guardia ad una signora, moglie di un partigiano che lui stesso aveva fatto arrestare, non so per quali motivi. Il giorno seguente venne liberata.

    26 luglio Usseaux

    27 luglio

    Dalla Roussa salii al colle, scesi in Val Sangone, raggiunsi delle baite nei pressi di Forno, qui conobbi Giuseppe Falzone che era comandante della divisione della valle. Egli rimproverava i suoi uomini, dicendo loro di prendere esempio dai partigiani della Val Chisone che, scarsi di cibo e privi di sigarette non si lamentavano.

    Poi parlò del terribile rastrellamento effettuato dalle truppe nazifasciste nella zona di Giaveno e Forno di Coazzo dove numerosi erano stati i partigiani caduti (1).

    (1) Qui a Forno si trova il sacrario dei caduti della divisione Val Sangone costituita da 96 loculi. Impressionante è il luogo in cui il 10 maggio 1944 fatta scavare la fossa vennero fucilati 24 partigiani. Collocati ai bordi della fossa vennero colpiti alle gambe in modo che cadessero ancora vivi nella fossa, uno di loro si avventò contro il suo carnefice venne subito trafitto dai colpi, gli altri rimasero tutta la notte nella fossa; dalle case vicine si sentivano i loro lamenti, vennero poi finiti il giorno successivo.

    1.  
    2. luglio

    Al ritorno dalla Roussa trovai al Laux il Pastore Armando Genre, nel periodo 25 luglio 8 settembre si era compromesso con discorsi antifascisti, tanto che aveva dovuto allontanarsi da Prali perché ricercato dai fascisti; era riuscito a fuggire all’arresto in modo fortunoso.

    Giunto al Laux intendeva per il giorno successivo, domenica, effettuare un culto, poiché numerosi erano i giovani valdesi provenienti da Pomaretto, Inverso Pinasca e Prarostino.

    Alla sera con Enrico Gay mi recai ad Usseaux, appena arrivati ci venne comunicato che Viola Lageard raggiunto Roure aveva informato, che per il giorno successivo sarebbe iniziato un grande rastrellamento, anche con mezzi corazzati.

    Rientrammo subito al Laux

     

     

    RASTRELLAMENTO IN VAL CHISONE

    DENOMINATO DAL COMANDO TEDESCO

    "NACHTIGALL"

    (OPERAZIONE USIGNOLO)

    30 luglio

    La mattina rimasi al Laux, sentivo i colpi delle cannonate, dei mortai ed il crepitio delle mitragliatrici, erano in corso violenti combattimenti a Villaretto.

    Nel pomeriggio scesi con Gianni Gay a Fenestrelle, qui giunti all’albergo della Rosa Rossa vidi che alcuni cacciatori svuotavano delle cartucce per ricuperare la polvere da sparo per utilizzarla nelle cariche di lancio dei mortai.

    Scendemmo verso Villaretto, incontrammo Ottorino Pavan che con una Balilla trasportava feriti all’infermeria di Pragelato.

    Raggiunsi Villaretto attraversai il ponte, nel frattempo erano cessati gli spari, sul ponte i guastatori stavano collocando le cariche esplosive, raggiunsi la strada che scende verso il Chisone.

    Trovai Alessandro Borda, il quale in qualità di infermiere aspettava l’arrivo dalla casa del Diavolo dei feriti e della salma di Ezio Caffer.

    Feci presente al Borda che ci trovavamo in pericolo, i tedeschi non erano lontani, ma lui riteneva di non correre rischi poiché aveva il bracciale della croce rossa !!

    Ritornai indietro da solo, oltrepassai il ponte e mi fermai con altri a cento metri oltre, era notte, avevamo freddo, mi coricai nella cunetta laterale con Giovanni Ricotto un giovane di 17 anni figlio del mezzadro di casa mia.

    Arrivò vicino a noi il carro che aveva portato gli esplosivi per il ponte, il conducente era Angelo Bonadeni accompagnato da Giorgio Bertetto, sentimmo una violenta esplosione: era saltato il ponte.

    Gianni Gay mi incaricò di rintracciare verso Gran Faetto, Dario Caffer per farlo ritirare verso Fenestrelle.

    Per tutto il giorno aveva sparato con la sua mitragliatrice, mentre il fratello Ezio era dall’altra parte della valle, dove fu colpito a morte.

    Vagai con Ettore Viotto sopra Villaretto alla ricerca della squadra di Dario Caffer, non lo trovai, era già passata la mezzanotte, trovato un fienile trascorremmo la notte.

    31 luglio

    Alla mattina la proprietaria della casa dove avevamo dormito ci offrì colazione con caffè e latte (il caffè allora era orzo), scendemmo verso la statale e raggiungemmo Mentoulles.

    Qui il colonnello Giordana mi ordinò di salire sui contrafforti di rocce sopra Mentoulles, dove si trovava in azione una nostra postazione, per portare l’ordine di ritirarsi a Fenestrelle.

    Partii con un giovane di Torino che chiamavamo (Turin), giunti nei pressi della postazione, vidi al riparo delle rocce, Nino Nepote e dei russi, tutte persone più anziane di noi, che già nel passato erano state in zona di combattimento.

    Vidi sulla roccia accanto alla mitragliatrice Renato Poet, che stava sparando, mentre Oreste Bertalotto teneva il nastro delle pallottole per farle scorrere.

    Salii anch’io sulla postazione guardando verso il ponte di Villaretto che avevamo fatto saltare. Vedevo i tedeschi che scendevano nel torrente e sbucando sulla strada allo scoperto, correvano per un tratto di strada per buttarsi al riparo dai nostri colpi nella ripa a valle, poichè in quel tratto partivano dalla nostra postazione le raffiche.

    I tedeschi dai carri armati sparavano delle cannonate verso di noi, i colpi passavano sopra le nostre teste ed esplodevano dietro di noi nella pineta, mente se erano più bassi esplodevano sotto la nostra postazione.

    Ad un tratto arrivò una cicogna (1) che volando sotto di noi sganciò delle bombe nei pressi del forte verso la statale.

    Scendemmo a valle, nei pressi di Mentoulles raccogliemmo delle pere. Turin ne trattenne alcune di riserva.

    Arrivati nei pressi della statale guardai a valle per controllare che non ci fossero pattuglie tedesche, poiché il colonnello Giordana mi aveva informato che loro si sarebbero allontanati solo quando i tedeschi avessero raggiunto l’ultima curva.

    Quando una bomba di mortaio scoppiò dietro di noi nel prato presso la Chiesa di Mentoulles, senza esitare saltammo sulla strada, l’attraversammo e raggiungemmo la borgata delle Grange.

    Mentre salivamo verso Chambon vedemmo saltare la ridotta del forte di Fenestrelle.

    Giunti nei pressi del Forte Mutin (tratto dove attualmente si trova la condotta forzata della centrale della R.I.V.),probabilmente fummo avvistati. I tedeschi cominciarono a sparare dai carri armati delle cannonate verso di noi. Dopo il primo scoppio, appena sentivo il colpo di partenza, mi buttavo a terra. Turin invece correva e si buttava a terra al momento dello scoppio.

    Raggiungemmo incolumi Fenestrelle, ma Turin aveva la camicia completamente imbrattata, poiché nel buttarsi a terra aveva schiacciato le pere.

    Raggiungemmo il Laux attraverso la solita mulattiera.

    1 agosto

    La mattina scesi a Fenestrelle con Enrico Gay, la maggior parte degli uomini della banda si trovava sulla linea del forte, tutti eravamo senza viveri.

    Enrico prima di partire dal Laux si era riempito le tasche di pezzetti di pane che non eravamo riusciti a mangiare perché composti di crusca e paglia.

    Raggiungemmo Fenestrelle, qui con Luciano Meitre mi appostai al forte Mutin, vedevamo la strada di Depot fino alla ridotta.

     

     

     

    (1) Aereo tedesco: un Fieseir "Storch".

    Arrivato, Enrico Gay, mi fece salire con lui alla postazione a monte, dove si trovava Gustavo Griglio. Avevamo appena lasciato il forte Mutin, quando carri armati aprirono il fuoco con cannonate, proprio nel posto dove mi ero fermato con Luciano Meitre.

    Vedemmo sbucare da Depot alcuni carri armati e due autoblinde (1) che avanzavano verso il forte, nel tratto rettilineo prima della curva un militare camminava a pochi passi davanti il mezzo corazzato, controllava se la strada fosse minata.

    Dalla nostra postazione partirono alcuni colpi in quella direzione, vidi il militare spostarsi al lato della strada, quindi mettersi al riparo a fianco del carro armato ed avanzare.

    Da Porriéres sparavamo con il cannone "149/35", sentivamo passare sopra di noi i proiettili.

    Il primo colpo esplose nei prati oltre l’abitato di Chambon, il secondo non esplose, il terzo scoppiò nel torrente Chisone, ne seguirono altri.

    I proiettili venivano sparati ad un intervallo piuttosto lungo, poiché dal forte visto dove era caduta la bomba si correva a Fenestrelle, si telefonava a Pourrières per indicare di spostare il tiro, perché eravamo privi di congegni di puntamento.

    Nel frattempo il primo carro armato aveva raggiunto la curva, e stava avanzando verso la ridotta, dove la strada era interrotta dall’enorme cumulo di macerie per il crollo del forte avvenuto il giorno precedente.

    Dalle rocce sovrastanti la strada, venne gettata una bomba sul carro armato, (detta bomba chiamata ballarina, era costituita da esplosivo, plastico).Vidi una fiammata sopra il primo carro, che traballò si fermò e fece marcia indietro, dopo di che i tedeschi avanzarono al coperto dei carri verso la ridotta.

    Mi trovavo con Enrico Gay nella postazione, Gustavo Griglio stava per aprire il fuoco, quando Enrico disse no. Era inutile sparare contro i carri armati da quella distanza, con la mitragliatrice. Noi ci trovavamo a tiro diretto dei carri ed allo scoperto, avremmo subito delle perdite.

    Qui nella postazione non avevamo nulla da mangiare, Enrico estrasse dalle tasche i pezzetti di pane raccolti la mattina, li distribuì. Mi misi a raccogliere mirtilli con Enrico, verso sera salimmo alle bergerie dell’Albergian, dove venne distribuita una piccola fetta di polenta da parte di Gustavo Griglio che faceva le porzioni. Re il proprietario della bergeria, uomo con lunghi baffi che scendevano fini sotto il mento, viste le porzioni troppo piccole fece preparare altra polenta.

    Il Re era un margaro che con noi aveva ottimi rapporti. Gli era stato consegnato un vitello di razza, prelevato in val Troncea, in cambio di una mucca. Da questa operazione il Re aveva tratto un doppio vantaggio: era venuto in possesso di un animale di maggior pregio del suo ed era esonerato, con il nostro buono di prelievo dal portare altro bestiame all’ammasso. Quella sera pernottammo nella bergeria.

    (1). Carro armato M13, due carri "L" e due autoblinde "AB41", mezzi del Gruppo corazzato "Leonessa".

    2 agosto

    La mattina per ordine di Enrico scesi al Laux, era deserta, ricuperai il mio zaino, risalito al rifugio Albergian, trovai gli uomini della nostra banda, la 228. (in quel periodo la 228 era costituita da 135 uomini).

    Alcuni si erano allontanati, saliti al colle dell’ Albergian erano scesi in Val Massello per rientrare alle loro case.

    Con Enrico mi diressi al colle del Pis, mentre salivamo trovammo nel fango un pezzetto di pane, Enrico lo raccolse e con stupore ci chiedemmo chi in quelle condizioni potesse averlo buttato via.

    Io lo rincuorai dicendogli che nel mio zaino avevo del pane di riserva, lo vidi sedersi su una pietra vicino ad una sorgente d’acqua, fregarsi le mani contento del mio annuncio. Quando aprii lo zaino con disappunto scoprii che era vuoto, il pane era stato rubato.

    Enrico lavò il pezzetto di pane infangato, lo dividemmo e fu il pasto di quella giornata.

    Riprendemmo la marcia, mentre salivamo verso il colle dell’Albergian, Enrico mi insegnava come tenere la pistola dall’alto al basso sopra la testa, per non essere catturati vivi.

    Raggiungemmo il colle del Pis, trovammo la squadra guastatori di Gianni Daghero (Lupo), che operava a protezione della Val Troncea, ci offrirono della carne cruda, non riuscii a mangiarla.

    Nel periodo del rastrellamento eravamo in possesso di carne, ma si doveva mangiarla cruda, poiché non avevamo recipienti. Avremmo potuto cuocerla sulla brace, ma non avevamo legna. Quand’anche avessimo avuto recipienti e legna non si potevano accendere fuochi, poiché di giorno con il fumo e di notte con la fiamma, da valle le truppe di rastrellamento ci avrebbero individuati.

    Ritornammo indietro e raggiungemmo alle baracche del Mouremout tutti gli altri che, nel frattempo, erano saliti dal rifugio dell’Albergian.

    3 agosto

    Con Gianni Gay scesi a Massello, giunti ai Reynaud prendemmo una bicicletta e raggiungemmo Perrero, per sapere come fosse la situazione in Val Germanasca.

    Andammo dalla sorella di Gianni, Alina, moglie del pastore Peyronel a Perrero, da pochi giorni era nata la figlia Anita detta Cocca.

    Qui trovammo Viola Lageard, Vera Mourglia ed Elda Godino le quali con medicinali e viveri intendevano salire a Pragelato.

    Viola ci informò che il giorno precedente i tedeschi avevano incendiato la borgata Clot di Inverso Pinasca, avevano arrecato gravi danni, e lasciato nella disperazione numerose famiglie.

    Raggiungemmo il ponte sotto Campolasalza, visto nel torrente un grosso tonfano pensammo di prendere delle trote. Gettai una bomba a mano, che sollevò una colonna d’acqua. Vedemmo galleggiare una grossa trota. Gianni stava togliendosi gli scarponi per scendere in acqua, ma la trota voltandosi scomparve, addio ad una eventuale cena con trote.

    Riprendemmo la marcia ed arrivammo a Balziglia dove pernottammo in un fienile.

    4 agosto

    Da Balziglia salimmo al Mouremout, qui giunti con Enrico Gay e Viola Lageard proseguimmo per il colle del Pis, per scendere a Pragelato.

    Qui il giorno precedente era avvenuto un bombardamento aereo, trovammo ai lati della strada un mulo morto. C’erano cinque vittime (1) e sei feriti tra i civili.

    Raggiungemmo l’albergo Passet alle Grange sede del Comando Divisione della Val Chisone, vedemmo il primo caduto Mario Costa, che era stato colpito a morte sul Genevrì il 2 agosto. Presentava una ferita sotto l’occhio destro.

    Enrico Gay con un gruppo di partigiani scese verso Pourrières per controllare se i tedeschi fossero arrivati al Pian dell’Alpe. Enrico per precauzione mi consegnò il portafoglio e i documenti, fortunatamente non trovarono truppe tedesche.

    La notte la passammo all’albergo Passet sede del Comando.

    5 agosto

    Con Enrico Gay e Viola Lageard risalii al colle del Pis, dove trovammo la squadra guastatori di Lupo. Ci fermammo con loro, ci venne dato del riso, quindi proseguimmo verso il Mouremout. Qui Viola Lageard, Vera Mourglia ed Ida Godino scesero a valle.

    6 agosto

    La situazione al Mouremout era molto precaria.

    Nei pressi del rifugio trovai una scatoletta arrugginita, la lavai per usarla come gavetta. La riempimmo con riso mescolato a formaggio ed era la razione per tre persone.

    La divisi con Ettore Viotto e Dario Bonadeni. Avevamo un solo cucchiaio che adoperavamo a turno, il formaggio formava un filo, che dalle nostre labbra andava al recipiente, dopo tre cucchiaiate ciascuno, il nostro pasto terminò.

    7 agosto

    Scesi a Valloncro per prendere del formaggio.

    8 agosto

    Per due volte dovetti recarmi dal Mouremout al colle del Pis per portare degli ordini di Enrico a Lupo.

    Alla sera ci venne dato il segnale di un lancio, raccogliemmo la paglia che avevano nei baraccamenti e formammo tre mucchi, il più grande era posto a nord, come era stato convenuto.

     

     

     

    (1) Il colonnello Emilio Stuard, Nicoletta Pepa, Caterina Brun, Maria Jannin, Emma Bartolomea Soma.

    Sentimmo passare degli aerei, accendemmo i fuochi, ma gli aerei si allontanarono con nostra grande delusione: Eravamo in un momento di grande necessità.

    Ritornammo al rifugio delusi, dovevamo dormire sul pavimento, poiché avevamo bruciato la paglia.

    9 agosto

    La mattina lasciammo il rifugio del Mouremout e scendemmo a valle. Pioveva a dirotto, arrivati nei pressi del torrente, alla base della cascata del Pis, con Renzo Santiano. Enrico mi incaricò di andare a controllare un fabbricato (Plans) oltre il torrente al fine di nascondere il nostro mulo (Tululu)

    Santiano canticchiava, era allegro, arrivati al torrente cercavo di salire sulle pietre per attraversare. A quel punto Santiano entrò direttamente nell’acqua, anch’io lo imitai poiché eravamo già bagnati fradici.

    Raggiungemmo poi gli altri nelle case di Ortiarè poste ai piedi della cascata del Pis nella alta Valle di Massello.

    Trovammo delle lumache e cercammo di farle cuocere nella brace, ne mangiai un paio poi dovetti desistere, poiché erano in parte crude ed in parte bruciacchiate.

    10 agosto

    Alla mattina passammo sulla destra orografica del torrente, nascondemmo il mulo nel fabbricato che avevo controllato con Santiano. Salimmo verso le rocce sovrastanti, in mezzo ai boschi di larice e ci nascondemmo nel sottobosco Qui il terreno era ripido e ciascuno di noi cercò un luogo per passare la notte.

    Io legai il fucile ad un larice, quindi passata la cinghia sotto le ascelle, rimasi così ancorato, per non scivolare a valle e passai la notte.

    11 agosto

    Il giorno precedente avevamo avuto ancora del formaggio, ma quel giorno eravamo privi di tutto.

    La mattina vidi due siciliani che erano con noi che stavano masticando, mi chiesi cosa mai avessero trovato. Li segui e scoprii che raccoglievano cardi selvatici, (carlina acaulis detta chardouso), tolte le spine rimaneva il ricettacolo grosso come la punta del pollice, commestibile. Quindi anch’io mi diedi da fare con altri, alla ricerca dei cardi selvatici, in quella occasione persi il coltello.

    Parlai con Enrico dicendogli che dovevo avere l’orticaria, perché mi prudeva fortemente la cintola, scoprii che ero pieno di pidocchi.

    Vedemmo salire una colonna di circa una quarantina di tedeschi, alpenjaeger, Si fermarono sotto le case degli Ortiarè ad un centinaio di metri da noi, avevano con loro anche dei valligiani per il trasporto delle munizioni e dei viveri. Nascosti nel sottobosco non ci muovevamo, guai se fossimo stati scoperti, poiché eravamo a tiro diretto, e non avevamo alcuna possibilità di riparo o di fuga.

    Dopo averci preso il mulo ripresero la marcia, sparando con il mortaio verso le bergerie del Lauson. Li vedemmo salire i tornanti della cascata del Pis, raggiungere le bergerie del Lauson e proseguire verso Valloncrò. Valicarono il colle del Pis e raggiunsero Pragelato dove lasciarono liberi i valligiani.

    Cessato il pericolo scendemmo a Balziglia

    Qui ci dividemmo. Gustavo Griglio con circa 20 uomini proseguì la marcia e dopo alcuni giorni raggiunse Prarostino.

    I fratelli Aldo e Marcello Long con altri 15 uomini scesero a valle e raggiunsero Inverso Pinasca, poiché erano in gran parte giovani del luogo.

    Rimanemmo in 40, salimmo al Castello della Balziglia che rimase il nostro rifugio per alcuni giorni.

    Qui al castello composto da alcuni fabbricati, avevamo trovato riparo, nel primo fabbricato mi trovavo con Enrico e Gianni Gay, Guido Baret ed Aldo Viotto.

    Non avevo nulla da mangiare, trovai una patata, la sbucciai, la mangiai cruda dopo di che mangiai anche le bucce, era veramente cattiva.

    Quella sera era di guardia Enrico, ero a poca distanza, lo sentivo cantare a bassa voce la sua canzone preferita " il bersagliere ha cento penne ma l’alpin ne ha una sola"

    La guardia veniva fatta a turno, fuori della prima casa, che si trovava in un punto da cui si vedeva la mulattiera molto ripida che dalla Balziglia saliva al Castello (1).

     

     

    (1) Balziglia

    Balziglia rocca forte dei Valdesi

    Qui i superstiti del corpo di spedizione Valdese che il 15 novembre 1689 dopo il rimpatrio per indicazione del Gianavello confluivano al Castello della Balziglia

    Passarono i primi mesi del 1690 ridotti a 370 circondati dal Catinat che aveva a disposizione 4.000 uomini oltre agli addetti ai servizi.

    I Valdesi erano pronti alla resistenza, il 2 maggio l’attacco, ma in quel momento si levò dalla montagna una nebbia fittissima che misero in ritirata gli attaccanti con notevoli perdite.

    Un secondo attacco fu stabilito il 24 maggio, il Feuquières (generale Francese) intimò la resa agli assediati.

    I cannoni incominciarono a sparare a lungo, furono sparati 114 colpi, gli attaccanti avanzavano, i Valdesi non potevano resistere a lungo la situazione era tragica, ridotti a 321 uomini, arroccati sugli ultimi speroni di Pan di Zucchero.

    Si levò la nebbia fitta e l’attacco finale fu rinviato per il giorno successivo.

    Nella notte il capitano Filippo Tron Pulat di Massello che conosceva bene la zona, propose la fuga attraverso passaggi quasi impossibili.

    Quando all’alba del 25 maggio i francesi mossero all’attacco vi trovarono solo i feriti.

    I valdesi erano in salvo sulle alture che separano la Balziglia da Rodoretto, per poi proseguire per Lazzarà, itinerario seguito anche da noi nell’estate del 1944 durante il rastrellamento.

     

     

    12 agosto

    Dario Caffer era in possesso di un pacco di sigarette nazionali totalmente intrise di sangue, erano del fratello Ezio caduto il 30 luglio a Villaretto. Alcuni di noi prese le sigarette e tolta la carta ricuperarono il tabacco, con carta da giornale ne confezionarono delle altre Io non osai fumare.

    Verso sera tardi era già scuro quando arrivò al Castello da un turno di pattuglia Gino Richaud, in un barattolo avevo conservato il suo rancio. Mentre mangiava mi ringraziò poiché gli avevo lasciato della carne. Stupito da quella affermazione, accesi un fiammifero e scoprimmo che nel barattolo erano saltate delle cavallette, cercò di toglierle, poi rimescolò il tutto e continuò a mangiare.

    13 Agosto

    Dal Castello scesi a Massello e raggiunsi Campolasalza, speravo di trovare la Sig.ra Laura Tron da cui ero stato in pensione durante la scuola a Pinerolo e che, nel periodo estivo, saliva a Massello, o Laura Micol che lavorava alla R.I.V, originaria di Campolasalza che era staffetta partigiana, purtroppo erano assenti entrambe.

    Chiesi ad una donna qualcosa da mangiare, scappò via impaurita, seppi più tardi il motivo di quella fuga, il giorno precedente i tedeschi avevano incendiato Maniglia.

    Molti anni dopo quella donna vedendomi si ricordò di quel giorno e saputo chi ero mi disse che le era rimasto sempre il rimorso per quel suo gesto.

    Scesi verso la strada provinciale, per la fame e per il rifiuto, piansi.

    Raggiunsi i Reynaud trovai il Sig. Vitale Tron, mi diede un pezzo di pane nero durissimo vecchio di diversi mesi, pane che allora era in uso in montagna, aveva delle venature verdi di muffa. Con una pietra posato il pane sul muretto davanti alla casa cercavo di scheggiarlo, le briciole non andarono perse!

    Ritornato al Castello, appena giunto vidi Enrico salire e gesticolare come un trofeo una sigaretta Stava fumando, era arrivata Viola, che oltre alle sigarette aveva portato una somma di denaro per la banda consegnandola ad Enrico.

    Da Balziglia partirono per scendere alle loro rispettive case Luciano Meytre, Giovanni Berlaita ed Arturo Richaud con l’autorizzazione di Enrico Gay e con l’ordine di rientrare in banda per il 20 agosto.

    14 agosto

    Ero ancora arrotolato nella mia coperta quando venni scosso da Guido Baret che mi invitava ad alzarmi per scuotere la coperta piena di pidocchi.

    Con Gianni Gay e Luigi Gariglio scendemmo a Massello e raggiungemmo la borgata Ciaberso, lo scopo era quello di trovare patate o farina di granoturco da portare al Castello.

    Arrivati alla borgata alle nostre richieste, un valligiano ci indicò una cantina in cui avremmo trovato salami e lardo, non gli demmo retta.

    Attraversato il cortile nei pressi di un fienile ad uso deposito per la segale, trovati per terra dei chicchi, incominciammo a raccoglierli. Una signora li vicino ci fece entrare in casa e ci offrì una scodella di latte appena munto. Ero un po’ perplesso, poiché il latte ero abituato a prenderlo caldo, con il caffè, senza la panna e con lo zucchero, ma presa la ciotola la bevvi per primo.

    Ci diede inoltre della farina di granoturco, era la Signora Alessandrina Tron madre dei fratelli Arturo e Luigi ed Enrico Pons prigionieri in Germania e di Emilio caduto in Francia alla Monta 20 giugno 1940.

    Raggiungemmo poi la borgata Brua la Cumba, dove si trovava un locale ad uso pensione. Qui venimmo a conoscenza, che il giorno precedente il proprietario della pensione era stato derubato di un coniglio da parte di un partigiano. Era stato Luigi Gariglio. A quel punto Gianni gli impose di andare dal proprietario della pensione di chiedere scusa e di pagare il mal tolto.

    Il proprietario ci fece entrare e ci offrì da mangiare. Fui colpito in quel momento di trovarmi davanti ad un piatto sopra ad una tovaglia bianca. Mi veniva in mente il contrasto con la mia latta arrugginita usata in tre al Mouremout.

    15 agosto

    Mi trovavo al Castello quando venni informato che a Balziglia era arrivata mia madre, la sorella dei fratelli Aldo ed Ettore Viotto, e la sorella di Nino Pozzo. Chiesi in prestito un paio di pantaloni ed una giacca, poiché quelli che indossavo erano piuttosto malconci ed avrebbero potuto impressionare mia madre.

    Quale gioia nel vederla. Aveva portato del pane e delle uova, come pure le sorelle dei Viotto, mentre la sorella di Nino Pozzo in qualità di farmacista, aveva portato del MOM per i pidocchi, sicuramente utile anche se Nino avrebbe preferito del pane.to

    Il pane e le uova vennero condivise con Dino Vedovato, anche su richiesta di mia madre.

    Dino era stato il figlio del nostro mezzadro ed avevamo passato la nostra infanzia insieme, ci consideravamo fratelli. Nel 1947 emigrò in Svezia dove formò la sua famiglia, la nostra amicizia si è mantenuta tutt’oggi.

    Accompagnai mia madre fino ai Reynaud dove incontrai Guido Rostagno e Daniele Geymonat che, provenienti dalla val Troncea, passati al colle dell’Arcano scesi a Valloncrò, erano giunti a Massello.

    Mi raccontarono che avevano in tasca alcune manciate di farina di granoturco. Trovato negli incavi delle rocce dell’acqua, erano riusciti a fare una poltiglia per poterla mangiare.

     

    16 agosto

    Scendemmo a Balziglia ed andammo da un borghigiano a prendere un grosso paiolo, fatta bollire dell’acqua gettammo dentro i nostri vestiti per eliminare i pidocchi.

    Nel pomeriggio dal Castello ci spostammo sulla sponda sinistra del torrente del Ghinivert nel sottobosco in mezzo ai larici.

    17 Agosto

    Anche quel giorno la mattina, dal Castello dove avevamo pernottato ci spostammo nei boschi oltre il torrente.

    18 agosto

    Enrico mi incaricò con Guido Rostagno di scendere a valle, Massello-Maniglia-Bovile per accertare dove si trovassero le truppe nemiche in rastrellamento.

    Mentre scendevo dal Castello di Balziglia verso il Gros Passet Guido Rostagno mi parlò dei suoi fratelli, quale sarebbe stata la terribile possibilità di trovare dall’altra parte un suo fratello nelle truppe di rastrellamento.

    I tre fratelli benchè fossero stati nel ventennio convinti fascisti, ora indipendentemente uno dall'altro avevano fatto tutti la medesima scelta.

    Guido sottotenente dell’artiglieria alpina nei partigiani, Nino tenente degli alpini era prigioniero in Germania, Arturo capitano d’artiglieria, era aggregato con le truppe Alleate al sud.

    Arrivati nei pressi del Gros Passet, sapendo che qui si trovavano dei partigiani salimmo fino ai caseggiati, dove trovammo gli uomini della banda di Balbo.

    Appena giunti arrivò dietro di noi precipitosamente il parroco avvisandoci che truppe tedesche si stavano dirigendo verso noi.

    Mi affacciai sul balcone e vidi sotto di noi una pattuglia tedesca, che stava attraversando il ponte a meno di centro metri.

    Se non fossimo saliti al Gros Passet avremmo inevitabilmente incontrato le truppe in salita.

    Ritornammo indietro a Balziglia quindi salimmo al Castello per dare l’allarme. Visto che qui non c’era più nessuno li raggiungemmo nei boschi dove si erano trasferiti.

    Nel pomeriggio pioveva a dirotto, al riparo di un telo da tenda giocai a carte con Viotto Aldo Enrico e Gianni.

    Alla sera arrivò Angelo Bonadeni che era salito alle bergerie del Lauson per prendere una pecora.

    A notte decidemmo di salire alle Bergerie del Ghinivert, in testa si mise Guido Baret e noi lo seguivamo, tenendoci l’uno con l’altro in una lunga fila su per i tornanti che portavano alla bergeria, eravamo in 39.

    Non trovando posto nelle baite, decisi di dormire fuori, faceva freddo, il terreno era bagnato per la recente pioggia, stesi per terra la mia coperta e con Ettore Viotto e Dario Bonadeni ci coricammo in tre, io in mezzo.

     

    19 agosto

    All’alba del 19 ci venne distribuita della polenta, fatta cuocere nella notte con la farina che con Gianni e Luigi Gariglio avevamo avuto al Gioberso dalla signora Tron.

    Qui Enrico ordinò agli uomini di allontanarsi dalle baite e di raggiungere il colle che comunica con il vallone di Salza.

    Angelo Bonadeni scese verso Balziglia, incontrò la pattuglia dei repubblichini che stava salendo verso la bergeria del Ghinivert, venne lasciato passare poiché ritenuto il margaro in quanto era un uomo di 40 anni.

    Io esitavo ad allontanarmi, anzi intendevo fermarmi nella bergeria, ma Enrico mi ordinò di raggiungere gli altri, consegnandomi un sacchetto contenente del sale.

    Qui si fermarono in nove, Enrico e Gianni Gay, Dario Caffer, Guido Rostagno, i comandanti, Bernardo Argenta, Oreste Bruno, Renzo Santiano, Bruno Perrot, ed Ernesto Sina (Tino) addetti, alla cucina. Stavano cuocendo la pecora che poi avrebbero portato al colle.

    Io ero l’ultimo della colonna che saliva verso il colle, a cento metri dalla bergeria, avevo raggiunto Luigi Gariglio e Gianfranco Fagioli (Verona). Lo sentii dire "la repubblica", credevo ad uno scherzo, ma improvvisamente sentii degli spari. Guardando a valle vidi degli uomini che correvano verso le bergerie dove erano giunti, protetti dalla nebbia; Seguirono colpi di mortai e numerose raffiche di armi automatiche.

    Luigi Gariglio in possesso di un mitragliatore intendeva sparare, ma l’uomo con la cassetta delle munizioni era già avanti verso il colle.

    Forse è stato un bene poiché se dalle bergerie ci avessero scoperto nel canalone, molto ripido, che portava al colle, con uno sbarramento con il mortaio e mitragliatrice, non avremmo avuto scampo.

    Raggiunsi il canalone interrotto da una roccia verticale, che ci faceva impegnare per superarla. Avevo appena raggiunto la sommità quando da monte, quelli che salivano fecero cadere delle pietre, io riuscii a scansarle, ma appena dietro a me Guido Baret fu colpito al capo, e perse l’equilibrio.

    Lo trattenne Aldo Viotto, lo adagiò, mi fermai per dargli aiuto, ma si riprese subito e con il volto insanguinato riprese a salire.

    A questo punto segui gli altri verso il colle, qui giunto mi buttai a terra privo di forze.

    Era trascorso poco tempo quando da monte di noi vidi arrivare Bruno Perrot, Guido Rostagno e Gianni Gay, che mi chiese se avevo visto Enrico

    Sentimmo il passaggio di una "cicogna", ma eravamo avvolti nella nebbia.

    Nel pomeriggio, diminuita la nebbia con Luigi Gariglio, Nino Pozzo ed altri scendemmo verso la bergeria per vedere che cosa fosse successo.

     

    Ad un dato momento scorgemmo Oreste Bruno che annaspando tentava di salire. Ci avvicinammo, aveva sul capo un cappello della banda musicale di Fenestrelle, con diversi buchi la faccia insanguinata, era stato colpito da una bomba a mano. ed una pallottola lo aveva colpito ad una gamba.

    Ci disse che tutti gli altri erano morti e che lui sanguinante era stato creduto morto, dopo avergli preso l’orologio ed il portafoglio gli avevano gettato una manciata di terra in faccia e si erano allontanati

    .Spiegò che aveva visto cadere Dario Caffer ed Enrico Gay.

    Avevano preferito la morte piuttosto che cadere prigionieri; Dario Caffer aveva trovato subito la morte, Enrico gravemente ferito venne portato al Cit Passet, dove morì il giorno successivo. Renzo Santiano e Bernardo Argenta (siciliano che era venuto da noi da pochi giorni proveniente dalla banda di Balbo del Gros Passet), fatti prigionieri, vennero impiccati a Perrero dopo tre giorni di torture. Un valligiano aveva visto quando li stavano trasportando su un carro con le mani legate dietro la schiena. Il filo di ferro era stretto con le pinze in modo tale che entrava nella carne.

    Ernesto Sina (Tino) si salvò buttandosi a valle nel canalone che scende dal Ghinivert nascondendosi in un cunicolo sotto una valanga.

    Portammo aiuto al ferito, adagiato su una coperta lo portammo al colle con grande fatica.

    La vista del sangue rappreso sul volto di Oreste e quel l’odore dolciastro mi rammentava Mario Costa che avevo visto a Pragelato e pensavo ai compagni assenti.

    Qui giunto mentre altri cercavano di dare aiuto al ferito, estrassi dal mio sacco la residua farina di castagne che avevo portato per mescolarla con il latte, ne ricuperai un cucchiaio, mi nascosi dietro ad una pietra per non farmi vedere dagli altri che stavo mangiando. Inumidendo il dito lo immergevo nella farina e succhiavo.

    Nino Pozzo venne colpito da sconforto, piangeva abbracciato a Gianni che cercava di consolarlo.

    A sera scendemmo verso le bergerie di Salza, qui si fermò Oreste Bruno con il fratello Remo.

    Bruno Perrot e Nino Pozzo scesero fino alla bergeria ed arrivarono con una forma di formaggio, che era la nostra riserva.

    Riprendemmo la marcia verso il colle della Balma, era oramai notte, Francesco Bruno portava la forma di formaggio, era davanti, ad un tratto sentii passare qualcosa che rotolava a valle. Era la forma di formaggio che passava vicino a noi per perdersi giù nel canalone (1).

    Avviliti, stanchi ed affamati, ma soprattutto angosciati per la perdita dei compagni, ci coricammo dove ci trovavamo, benché fosse un terreno in pendenza.

    Mi arrotolai nella mia coperta e spostate le pietre più grosse sotto la schiena, passai la notte.

    (1). Nel 1954 Bruno Perrot appassionato di caccia si trovò alla bergeria di Salza, venne riconosciuto dai margari che nel 1944 gli avevano dato la forma di formaggio, i quali lo rimproverarono dicendo che i partigiani avevano buttato via il formaggio che loro avevano dato. Era successo che il giorno successivo al nostro passaggio i margari erano saliti al colle della Balma al pascolo ed avevano trovato i resti della forma di formaggio).

    20 agosto

    All’alba mi trovai più a valle, durante la notte data la pendenza del terreno ero scivolato in basso.

    Riprendemmo a salire, dopo una decina di minuti ci trovammo sul colle dove avremmo potuto dormire su un terreno pianeggiante.

    Il ricordo di quella mattina mi è stato sempre impresso nella mente.

    Vidi nella foschia, giù verso la pianura, il grande disco rosso del sole alzarsi, rischiarava già le cime del Ghinivert e del Barifreddo, cime oltre i tremila metri. Venni colpito da una grande angoscia, pensavo ai compagni caduti il giorno precedente, che non avrebbero mai più visto il sorgere del nuovo giorno. Mi chiedevo se anch’io, il giorno successivo avrei ancora potuto vedere il sorgere del sole o comunque fino a quando ciò mi sarebbe stato concesso.

    Il fresco della mattina mi scosse da quei pensieri e con gli altri, a stomaco vuoto, riprendemmo la marcia.

    Raggiungemmo poco lontano la località detta Fontanun dove si trova una delle più grandi sorgenti della zona, raccolsi delle bellissime stelle alpine che conservai nel portafoglio.

    Qui giunti a ciascuno di noi venne distribuito un cucchiaio di marmellata.

    Gianni mi incaricò di salire fino al colle della Valletta con Dino Vedovato per controllare che non arrivassero truppe nemiche provenienti dalla val Troncea.

    Raggiungemmo il colle con qualche precauzione, persisteva in noi il dubbio che i tedeschi fossero già arrivati al colle. Mentre salivamo il nostro sguardo era rivolto sulla cresta per osservare eventuali movimenti. Quando scorgemmo il volo radente sulle rocce di uccelli capimmo che non c’era pericolo.

    Raggiunto il colle sentimmo raffiche di mitragliatrici in fondo valle, ma non scorgemmo nessuno.

    Ritornammo con gli altri al Fontanun, ci vennero distribuite due zollette di zucchero ed un cucchiaio di rabarbaro.

    Riprendemmo la marcia, attraversammo la ripidissima e pericolosa parete Est del Lungin, e superato il nevaio, ci portammo nel pianoro ai piedi della parete est del Barifreddo.

    Eravamo piuttosto malconci. Io avevo lasciato i miei pantaloni al Castello dopo la cura antipidocchi, ed avevo pantaloncini corti, faceva freddo, Aldo Viotto mi aveva dato un paio dei suoi pantaloni.

    Davanti a noi avevamo Francesco Bruno, che aveva i pantaloni stracciati. Per coprirsi aveva legato alla cintola la tela di un sacco, ma data la pendenza del terreno, impaurito camminava erroneamente con il corpo inclinato a monte, scivolava perdeva l’equilibrio e cadeva facendo svolazzare il sacco; nella tragedia in cui ci trovavamo alcuni di noi ridevano.

    Si fermò estrasse dal portafoglio un documento lo mostrò a Gianni e parlò con lui. Gianni rivolto a tutti noi ci impose di non più deriderlo.

     

    Gianni mi aveva poi riferito che Francesco Bruno era reduce dalla Russia, e che in quella circostanza, avvilito per aver perso la forma di formaggio, gli aveva detto di essere un vigliacco e di non avere il coraggio di uccidersi.

    Molti anni dopo lo incontrai in convalescenza all’ospedale Valdese di Pomaretto, mi disse che non aveva avuto fortuna, era separato dalla moglie, era stato impiegato di banca, e durante una rapina i malviventi lo avevano ferito ad un ginocchio, aveva subito diverse operazioni ed era rimasto invalido.

    Rammentammo insieme i lontani giorni del periodo partigiano, ero convinto che avesse voluto portare la forma di formaggio per poterne mangiare qualche pezzo, durante il trasporto.

    Mi assicurò che data la pendenza del terreno ed il peso del formaggio la forma veniva portata a turno per brevi tratti.

    Durante il tragitto verso il pianoro come pure nei giorni precedenti per evitare i crampi allo stomaco raccoglievamo dei funghi (Vescia aereolata) che mangiavamo crudi. Dopo alcuni bocconi lo stomaco riprendeva il suo lavoro e diminuivano i crampi.

    Non avevamo più nulla da mangiare quindi quattro di noi scesero alle bergerie della Balma di Rodoretto, (Dino, Nino, Tino, e Gino), Dino Vedovato, Nino Pozzo, Tino Amaina, e Gino Rostan. Acquistammo dal margaro tre forme di formaggio, quindi salimmo al pianoro del Barifreddo dove i compagni ci attendevano.

    Dopo la distribuzione del formaggio, ormai esperti, cercammo una roccia per metterci al riparo dal vento per passare la notte.

    21 agosto

    Qui la mattina Guido Baret, Daniele Geymonat e Guido Rostagno si allontanarono, attraverso M. Pignerol, Peigrò, Ghinivert, Valloncrò, Balmette, colle Clapier, scesero a valle. Il primo a casa al Plan di Pomaretto, gli altri due raggiunsero Bovile.

    Anche noi scendemmo dal pianoro, raggiungemmo il lungo nevaio del Barifreddo, unica località nella zona in cui la neve si conserva da un anno all’altro.

    Qui Dario Bonadeni faticava a scendere perché uno scarpone schiodato, lasciava entrare la neve, raggiunta la bergeria con filo di ferro riparò al meglio il guasto.

    Arrivati al fondo valle nascosti in un avvallamento, quattro o cinque alla volta entrammo nella bergeria, e dopo aver mangiato polenta e latte attraversammo il torrente per nascondersi nei cespugli sopra la strada (l’almo montano,-ontanello, alnus viridis, drauo).

    Da parte del margaro venimmo informati che l’undici agosto truppe tedesche erano arrivate alla bergerie e con la mitragliatrice avevano colpito al colle della Balma ad oltre 2000 metri un partigiano. Questi era Beppino Fossat di San Martino aveva 17 anni.

    Con Gianni Gay ed Umberto Mourglia scesi a Rodoretto trovammo Angelo Poet, al quale Gianni chiese di accompagnarci al colle Mayt, perché lui pratico della zona, per avvisare il comando dei caduti al Ghinivert.

    Prese delle provviste le ripose nello zaino si recò nel fienile e prese un parabellum nuovo (arma presa nel lancio a Rodoretto nella primavera del 1944).

    Salimmo alle bergerie della Balma dove pernottammo.