23 agosto

Qui la nostra banda dagli avvenimenti del 19 agosto alle bergerie del Ghinivert si era ridotta.

Angelo Bonadeni era sceso alla Balziglia.

Enrico Gay, Dario Caffer, Renzo Santiano e Bernardo Argento erano caduti.

Tino Sina era disperso

Oreste Bruno ferito con il fratello Remo si fermò alle bergerie di Salza.

Dal pianoro del Barifreddo erano partiti Guido Baret, Daniele Geymonat e Guido Rostagno.

La Banda in quel momento risultava composta da Allaix Aldo, Amaina Nino, Bonadeni Dario, Borda Alessandro, Bruno Francesco, Chiavola Giovanni, Contini Antonio, Dente Ferdinando, Fagioli Gianfranco, Giordano Sergio, Gay Gianni, Gariglio Luigi, Loconte Giovanni, Medda Sannino, Mourglia Umberto, Perrot Bruno, Perrot Isidoro, Pozzo Nino, Richaud Gino, Rizzo Sergio, Rostan Gino, Santostefano Antonio, Ughetto Emilio, Vedovato Dino, Viotto Aldo e Viotto Ettore.

Qui ci dividemmo in tre squadre; la prima con Dino Vedovato, la seconda con Luigi Gariglio e la terza la nostra costituita da Gianni Gay, Gianfranco Fagioli, Umberto Mourglia, Alessandro Borda, Dario Bonadeni i fratelli Aldo e Ettore Viotto ed io.

Arrivammo alla Balma in un cortile, alla vista di patate cotte (trifulot) per le galline, affamati le mangiammo in poco tempo.

La madre di Alessandro Fassi (Sandrin) partigiano con noi, ci fece cuocere delle patate che ci diede unitamente ad un peperone giallo, condito con un liquido lattiginoso che sostituiva l’olio. La ringraziammo ed a notte lasciammo il vallone di Rodoretto.

 

 

Attraversammo la provinciale alla Gianna, quindi non conoscendo la strada per Crosetto data anche l’oscurità, salimmo in corrispondenza delle antiche rotaie dei marmi della Maiera (1).

24 agosto

All’alba salimmo verso Rocca Bianca, raggiungemmo il colle e scendemmo alle bergerie della Balma, pioveva, eravamo bagnati. Appena giunto nella baita, visto il fuoco del caminetto, entrai e mi avvicinai per scaldarmi.

Il sig. Emilio Gardiol proprietario della baita che era qui con il bestiame al pascolo, ci porse un secchio di latte invitandoci ad allontanarci: in quel momento mi sembrò di essere un lebbroso.

Poi capii quale pericolo avrebbe corso se truppe tedesche di rastrellamento ci avessero trovati nella baita.

Ci spostammo nascondendoci tra rocce e cespugli e bevemmo il latte.

Proseguimmo verso la bergeria di Cialancia, Lauson e Lazzarà nel tragitto raccogliemmo mirtilli e lamponi.

A Costa Lazzarà scendemmo in direzione di Cotarauta e pernottammo nei boschi di faggio.

Stavo prendendo la mia coperta dallo zaino, quando una grossa pietra mi passò vicino nel punto che avevo scelto per passare la notte, era stato Aldo Viotto che sopra di me, mentre stava sistemandosi aveva mosso e fatto precipitare il masso.

25 agosto

La mattina scesi da solo a Closciauvin, in un orto vicino alle case raccolsi delle pere e benché non fossero ancora mature incominciai a mangiarle.

In quel momento dalla stalla uscì Fanny Collet che mi conobbe, e mi offrì latte di capra appena munto ed una sigaretta.

La invitai a scendere a Fleccia per avvisare Viola che mi trovavo lì con altri sette e per dirle di inviarci dei viveri.

Viola non c’era poiché in quel giorno era salita in valle per recarsi al Mayt, arrivata con Alessandro Fassi oltre il colle di Rodoretto aveva dovuto ritornare indietro poiché i tedeschi si trovano alle Plane in Val Argentera.

Arrivò Nino Lageard, fratello di Viola e Federico Vola, fratello di Remo caduto alla Roussa l’11 maggio 1944.

Portavano in una gerla, pane, salame e formaggio, mangiammo poche cose, forse non eravamo più abituati.

A sera scendemmo a Fleccia nella casa di Federico Vola, qui Umberto Mourglia rientrò a casa.

 

 

 

(1). Piano inclinato di oltre 3000 metri di lunghezza con circa 800 metri di dislivello dove i blocchi di marmo dalla cava della Maiera di Rocca Bianca scivolavano sulla strada provinciale Perrero Prali nei pressi della Gianna.

A notte attraversammo il Chisone, poi la statale e raggiunsi casa mia con Gianni Gay, Gianfranco Fagioli, (Verona) ed Alessandro Borda.

Dario Bonadeni ed i fratelli Viotto rientrarono alle loro rispettive case, il primo alla Rivoira ed i secondi a Riveirogna.Pernottammo nei castagneti vicino a casa dove rimanemmo per alcuni giorni.

26 agosto

A mezzogiorno ci trovavamo a pranzo a casa, con Gianni Verona e Borda, grande fu la nostra sorpresa quando mia madre portò a tavola tagliatelle all’uovo e la gioia di poter mangiare a sazietà dopo un mese di grandi privazioni (1).

27 agosto

Si presentò da mia madre ai Maurin, Giovanni Vincon. Era armato di mitra e vestiva la divisa da repubblichino, intendeva venire con noi.

Si era presentato alla R.S.I. poiché temeva per lo zio che lo ospitava a Perosa Argentina e che avrebbe potuto avere delle rappresaglie.

In un primo momento mia madre rimase perplessa, poi venne ad avvisarmi, ero nei castagneti vicino casa.

Rammento quell’ incontro, dopo l’abbraccio mi disse:

"T’mase pa"-(non mi uccidi); eravamo stati compagni di scuola.

Quella notte la passò con noi, non riusciva dormire poiché non era abituato a dormire per terra, noi trovavamo invece il luogo confortevole perché non avevamo più pietre sotto la schiena.

28 Agosto

Nella notte scoppiò un terribile temporale con lampi, tuoni e pioggia a dirotto. Dopo essere stati per un certo tempo al riparo con le coperte sulla schiena ed appoggiati al terreno con le ginocchia e mani, poiché l’acqua scorreva sotto di noi, bagnati fradici ci rifugiammo a casa mia nella stalla.

29 agosto

Ci spostammo a monte in zona Comba Fredda sopra casa mia e collocammo delle tende.

Qui si unirono a noi i fratelli Viotto e Dario Bonadeni.

 

 

 

(1). Quel pranzo rimase impresso nella nostra mente. Nel 1975 Verona venuto a casa mia per intervistare mia moglie per il racconto " Tre donne in una storia partigiana pubblicata sulla rivista Amica di cui era giornalista, nell’entrare in casa la prima cosa che ricordò, a mio figlio Daniele furono le tagliatelle di quel lontano giorno del 1944.

30 agosto

Si unì a noi anche Umberto Mourglia, così tutti otto ci trovammo nuovamente insieme.

Qui ci raggiunse per informazioni Viola.

31agosto

Erano circa le due pomeridiane, pioveva, quindi eravamo nelle nostre tende, quando sentimmo delle raffiche di mitra attorno a noi.

Una pattuglia, di repubblichini oltre il torrente sopra di noi casualmente sparava giù verso il torrente vicino alle nostre tende.

Credendo di essere stati scoperti fuggimmo risalendo il rio, mi procurai una ferita alla gamba urtando contro una roccia, sanguinava abbondantemente, ma non era nulla di serio.

Pioveva a dirotto, raggiungemmo un viottolo, nascosti nel bosco di faggio, lontani dalla pattuglia ci fermammo a prendere fiato.

Seduto davanti a me si trovava Verona, dal suo cappello alpino l’acqua colava abbondantemente giù nella schiena, non se ne accorgeva tanto eravamo bagnati. Ad un dato momento dopo aver preso fiato disse "cosa abbiamo fatto di male?"

Seguimmo il viottolo e raggiungemmo la borgata Albarea di Pinasca. Eravamo mal ridotti, tanto che le donne appena ci videro ci portarono delle camicie di ricambio dei loro mariti, le ringraziammo e scendemmo poi alle nostre tende.

1 settembre

Rimanemmo in tenda, passò da noi Mario Rostagno con alcuni uomini arrivavano da Dubbione, stavano salendo in valle.

2 settembre

Togliemmo le nostre tende.

Di notte attraversammo il Chisone per portarci alla borgata Faiola di Inverso Pinasca, il giorno successivo dovevamo andare in Francia a prendere delle armi. Dopo lo sbarco degli Alleati nella metà di agosto sulla costa azzurra, questi erano risaliti lungo il Rodano ed avevano raggiunto Guilliestre, Abries e Briançon.

A casa mia rimase Alessandro Borda, il quale passava le giornate nascosto nel castagneto e veniva a casa mia per i pasti.

Informata a Pinerolo sua madre venne a trovarlo. Alessandro rimase ai Maurin fino al nostro ritorno dalla Francia.

Quella notte partimmo da Maurin Gianni Gay, Verona, i fratelli Aldo ed Ettore Viotto, Dario Bonadeni, Umberto Mourglia, ed io.

Raggiungemmo il Chisone, a causa delle piogge si era ingrossato, pertanto lo passammo a guado, ci togliemmo gli scarponi, e scalzi, entrammo nell’acqua, tenendoci l’un l’altro per non perdere l’equilibrio.

 

 

Ad un certo punto scivolarono nell’acqua i miei scarponi, Umberto Mourglia che era vicino a me, velocemente riuscì a ricuperarli. Me li consegnò e li buttai sulla spalla, ma gli scarponi si erano riempiti d’acqua; il peso strappò i legacci e quindi ricaddero nel torrente, io riuscii a ricuperarne uno. Umberto nel vano tentativo di ricuperare l’altro, perse l’equilibrio e cadde in acqua. Passati dall’altra parte del Chisone, Umberto raggiunse casa sua a Fleccia poichè era completamente bagnato.

Noi salimmo verso la Faiola, nel tratto di strada sotto i castagneti per raggiungere la borgata Reynaud, con un piede scalzo e di notte dovevo far attenzione a non mettere il piedi sui ricci.

Pernottammo alla Faiola, ero convinto che non avendo più gli scarponi non sarei partito per la Francia.

3 settembre

Alla mattina Gianni Gay si tolse i suoi scarponi e me li consegnò, erano della mia misura e così dovetti partire con i fratelli Aldo ed Ettore Viottto e Dario Bonadeni. Si aggregarono a noi Giorgio Bertetto ed Enrico Long.

Avevamo nello zaino una scorta di pane.

Salimmo a Lazzarà, Lauson, Cialancia, bergerie della Balma, percorrevamo a ritroso lo stesso itinerario di otto giorni prima (1).

Nel tratto tra Lazzarà ed il Lauson sotto il Gran Truc, incrociammo due partigiani provenienti dal Mayt. Erano diretti ad Inverso Pinasca, erano fiduciosi che gli Alleati arrivati oltre confine avrebbero passato i colli e che quindi saremmo stati presto liberi e non avremmo più dovuto passare un secondo inverno in montagna.

Raggiungemmo il laghetto nei pressi di Rocca Bianca e qui pernottammo.

Mi arrotolai nella mia coperta, avevo trovato un comodo giaciglio su un cespuglio di rododendri.

4 settembre

Alla mattina appena alzato ebbi una sorpresa, la borsa che avevo al mio fianco ed il cappello alpino erani stati in parte rosicchiati, scoprii che erano state le cavallette.

Ripartimmo e passati sotto la parete di Rocca Bianca, raggiungemmo il colletto sopra Crosetto. Qui ci fermammo per la colazione, poco dopo, mentre scendevamo verso la Gianna scoprii che avevo perso il coltello. Salimmo il vallone di Rodoretto ed a sera raggiungemmo i baraccamenti del colle di Rodoretto dove passammo la notte.

 

 

 

 

(1). Percorso fatto anche negli anni 1933 e 1934 con mio padre lo zio Ottorino ed il cugino Adolfo, in occasione della corsa San Germano Chisone Ghigo di Prali.

5 settembre

Varcato il colle di Rodoretto scendemmo verso le Plane. Raggiungemmo i baraccamenti del Mayt. Qui trovammo molti uomini della Val Chisone con il comando, i quali durante il rastrellamento, da Pragelato attraverso la Val Troncea il colle del Clapier si erano qui rifugiati ed avevano combattuto e respinto attacchi di pattuglie tedesche.

Ero già salito con Gianni il 22 agosto per portare la triste notizia dei caduti del Ghinivert.

Qui le condizioni erano precarie, per cui chi arrivava e chi partiva non aveva diritto ad avere viveri.

Pertanto andammo a prendere le nostre scorte di pane negli zaini, ma avendoli lasciati incustoditi erano vuoti, così passammo la notte digiuni.

6 settembre

Qui la mattina ci dividemmo, Giorgio Bertetto, Enrico Long ed Ettore Viotto si diressero verso il colle della Longia per scendere verso le bergerie delle Sellette e quindi a Prali, al fine di prendere un mulo per il trasporto di armi ed esplosivi.

Mentre scendevano dal colle della Longia (2817 m), verso le bergerie, scorsero verso Prali dei carri armati tedeschi, pertanto ritornarono indietro.

Aldo Viotto, Dario Bonadeni ed io con Lupo ed alcuni dei suoi uomini della squadra guastatori salimmo al colle Mayt (2706.m), scendemmo a la Montette ed in una baita in mezzo ai larici trovammo armi, munizioni, esplosivi, viveri e sigarette, portati qui dai maquis francesi.

Il tratto che noi dovevamo percorrere, sia in discesa che in salita, dal colle Mayt alla baita, era pericoloso, poichè i tedeschi avevano occupato il colle di Thures e quindi rimanevamo a tiro delle loro mitragliatrici e ci potevano colpire. Ma fortunatamente a causa della nebbia il colle del Thures rimase coperto, nella salita guardavamo dove ci fossero un masso od un avvallamento del terreno per nasconderci nel caso in cui la nebbia si fosse dissolta.

Alcuni giorni prima, il 27 agosto uomini provenienti dal colle Mayt, che intendevano procurarsi dei viveri in valle Thures, furono individuati dai tedeschi che già avevano occupato il colle; mentre ignari salivano, vennero falciati dalle raffiche di mitragliatrice, qui con altri cadde Romano Bertalotto, abitante alla borgata Combe di Perosa Argentina vicino a casa mia.

Alla Montette con Lupo ed alcuni dei suoi uomini, predemmo armi ed esplosivi.

C’erano dei fucili con alzi a 2500 metri, a sette colpi, parabellum, io presi un parabellum con caricatori e munizioni, due stecche di sigarette, Lupo ci consegnò due barattoli di viveri e ritornammo indietro, riprendemmo a salire.

Aldo Viotto oltre alle armi aveva un grosso scatolone contenente sigarette, salivamo verso il colle Mayt guardando sempre la nebbia verso il colle del Thures raggiungemmo il colle Mayt senza pericolo, scesi ai baraccamenti trovati Giorgio Bertetto, Enrico Long ed Ettore Viotto, partimmo subito.

Ci fermammo al ponte delle Plane (2095 m ) qui aprimmo un barattolo che ci aveva dato Lupo, senza sapere che cosa contenesse poiché era scritto in inglese, con sorpresa scoprimmo che conteneva del condimento, essendo digiuni dal giorno prima ne prendemmo alcune cucchiaiate a testa.

Eravamo appoggiati alla ringhiera del ponte tre per parte, quando arrivò un gregge di pecore. Erano già passate la maggior parte, quando ad un tratto una pecora arrivata a metà del ponte, forse spaventata da noi, spiccò un salto, picchiando i quattro zoccoli sul tavolato del ponte. Incredibilmente tutte le pecore che seguivano spiccavano lo stesso salto.

E’ proprio vero che come fa una pecora le altre la imitano.

Ci avviammo verso il colle di Rodoretto (2768 m.) venimmo superati da Lupo con i suoi uomini ed il mulo.

Era notte e nella foschia della nebbia perdemmo la mulattiera. Decidemmo di fermarci, io ero l’ultimo e vidi gli altri davanti a me sistemarsi.

Ero ormai abituato a quelle situazioni, inumidito il dito, individuai la direzione del vento, mi misi a riparo di una roccia e mi sistemai per la notte, avvolto nella mia coperta.

7 settembre

La mattina appena alzati, non trovammo Giorgio Bertetto ed Enrico Long, che alla sera erano davanti a me. Li chiamai ma non ebbi risposta. Vidi in alto sopra di noi un gruppo che saliva verso il colle, pensammo che ci fossero anche loro, quindi iniziammo a salire. Raggiungemmo il colle, trovammo parte degli uomini di Lupo, chiedemmo loro notizie dei nostri compagni, ma non li avevano visti. Anche loro nella notte al buio avevano perso la mulattiera ed avevano passato la notte appena sopra di noi. Ci informarono che il solo, che aveva raggiunto il colle era stato il conducente col il mulo.

Aspettammo al colle i nostri compagni, non vedendoli arrivare, scendemmo a valle, raggiungemmo Campo Clot. Trovammo a lato della strada una tettoia con cataste di fascine e ci coricammo.

Verso sera arrivarono i nostri compagni, era successo che la notte precedente non trovando un posto adatto per passare la notte, erano scesi rispetto noi e noi li cercavamo avanti.

Scendemmo poi insieme alla Gianna, qui trovammo Lupo che con incarico ricevuto al Mayt da Maggiorino Marcellin doveva far saltare il ponte della Gianna tra Perrero e Prali; trovammo al lato della strada nei pressi di una tenda, tre civili in ostaggio dei tedeschi a salvaguardia del ponte stesso.

Gli ostaggi avrebbero potuto fuggire con noi, ma erano minatori, che lavoravano nelle miniere del Talco e Grafite della Val Chisone ed avevano famiglia, quindi si dovette rinunciare.

Salimmo a Crosetto. Qui ci fermammo per passare la notte in un fienile, mentre Lupo con i suoi uomini proseguì.

 

8 settembre

La mattina fummo svegliati dal proprietario, era salito per prendere del fieno e ci aveva scoperti.

Ci offrì latte e polenta. Salimmo verso Rocca Bianca, al colle ritrovai il coltello che avevo perso alcuni giorni prima. Passammo quindi alle bergeria della Balma, Cialancia, Lauson, qui aprimmo il secondo barattolo che avevamo ricevuto in Francia, conteneva delle carote che dividemmo.

Prima di arrivare al colle di Lazzarà nascosti tra le rocce trovammo uomini della banda del Tetu (Enrico Ribet) partigiani della G L. (Giustizia e Libertà). Demmo loro delle sigarette.

Ci informarono che nella giornata pattuglie tedesche erano salite fino alle Cabote località appena sotto Lazzarà.

Nonostante il loro avviso di pericolo, eravamo desiderosi di scendere ad Inverso Pinasca poiché erano già sei giorni che camminavamo.

Partimmo, appena passati il colle Lazzarà, camminando sul versante di Pramollo, arrivati all’altezza della bergeria, sentimmo lo scoppio di diverse bombe sopra di noi, pensammo di essere stati avvistati dai tedeschi che in quel giorno erano saliti alle Cabote.

Ritornammo indietro, tutti correndo alla stessa velocità. Alcuni di noi avevano i piedi che sanguinavano per la lunga marcia, si verificò che nessuno di noi era davanti e nessuno era rimasto indietro.

Arrivati alle rocce dove c’erano gli uomini del Tetu che avevamo lasciato poco prima. Li vedemmo ridere per la velocità della nostra corsa.

Era successo che una batteria tedesca, collocata nei pressi del cimitero di Perosa Argentina aveva deciso di sparare alcuni colpi sulla cresta di Lazzarà, proprio nel momento in cui noi transitavamo.

Riprendemmo la marcia e scendemmo a Cotorauta ed arrivammo a Faiola, qui consegnammo le armi e le sigarette.

Non ci venne lasciato neanche un pacco di sigarette. Ne fummo delusi, alcuni giorni dopo nello zaino trovai un pacco di sigarette che divisi con Ettore e Dario.

Eravamo affamati, ci misero sul tavolo pane e formaggio, ma vista la nostra voracità ci vennero ben presto tolti. Dormimmo in un fienile.

9 settembre

Alla mattina mi venne dato in dotazione il parabellum che avevo portato dalla Francia, poiché fino allora avevo il fucile tipo 1941 che mi era stato dato al Laux da Eugenio Juvenal.

A mezzogiorno venni invitato da Giorgio Bertetto a casa sua ai Reynaud di Inverso Pinasca dove sua madre ci preparò pranzo con uova al burro.

Nel periodo partigiano specialmente durante i rastrellamenti avemmo giorni difficili poiché non avevamo da mangiare, ma penso quale fu la tortura degli internati nei campi di sterminio nazisti, che dopo pochi mesi, erano ridotti a meno di 40 Kg. morivano di stenti.

Dopo pranzo salii alla Roccia caseggiato poco lontano in mezzo ai boschi di castagno, qui si trovavano gran parte gli uomini della nostra banda. Anche il nostro furiere Guido Baret aveva messo il suo ufficio. Lo vidi al lavoro sotto i castagni comodamente seduto su una pietra con la sua piccola macchina da scrivere sulle ginocchia, quella era la sua scrivania.

Arrivò Viola con delle pesche me ne offrì una, la mangiai con avidità, ma il succo mi colava sul dorso della mano, asportando il sudiciume, nei giorni di marcia in Francia non mi ero lavato.

Quel ricordo mi è stato impresso a tal punto che solo raramente sono stato in grado in seguito di bere un succo di frutta!!

Dal 9 settembre al 3 novembre i nostri rifugi si alternarono tra la Roccia e la borgata Serre e Gaiet di Inverso Pinasca.

La 228 del Laux dopo il rastrellamento assunse la denominazione 1° Banda Enrico Gay al Comando di Gianni Gay con vice comandante Guido Rostagno. Costituita da 111 uomini.

C’era un distaccamento a Faiola al Comando di Aldo Long,

Un altro prima a Prarostino, poi a Vivian di Inverso Pinasca,

al comando di Gustavo Griglio che sostituiva Ezio Caffer.

Un terzo distaccamento con base a Dubbione di Pinasca nell’inverno al Malzas nei baraccamenti della Società Talco Grafite Val Chisone con Luigi Gariglio in sostituzione di Dario Caffer.

Il quarto con capo Marcello Long nel villaggio Vallone di Maniglia.

Finora sono stato in grado di descrivere giorno dopo giorno il mio periodo partigiano in base a dati riportati in una piccola agenda.

Dopo di che riporterò solo fatti e date rilevanti.

6 ottobre

Il 6 ottobre con Aldo Viotto salii a Pramollo, passando a Perlà, raggiungemmo la borgata Micialet, dove si trovavano uomini della G.L. (Giustizia e Libertà) al comando di Giovanni Costantino.

Venimmo invitati a fermarci con loro per il pranzo, ma declinammo l’invito, poiché Viola aveva promesso che quel giorno avrebbe portato degli agnolotti, cosa molto rara per quei tempi. Scendemmo velocemente, pioveva a dirotto.

Arrivati alla Roccia scoprimmo con grande disappunto che degli agnolotti rimaneva una mezza foglia di pasta.

Qui eravamo in preallarme poiché sentivamo lo scoppio di mine da parte dei tedeschi nei pressi del cimitero dei Vivian. Erano in costruzione pozzi per il collocamento degli esplosivi per le interruzioni stradali. Eravamo bagnati fradici per farci asciugare presso il caminetto, toglievamo solo una scarpa per volta, per essere pronti alla fuga in caso di pericolo.

 

 

 

 

 

10 ottobre

Venimmo informati da Viola che il giorno successivo ci sarebbe stato un rastrellamento in zona da parte di truppe tedesche, i fratelli Viotto e Dario Bonadeni ed io ci spostammo alle nostre case alla Rivoira e ci rifugiammo in zona Comba Fredda.

Altri si nascosero nei boschi, un gruppo salì verso Cotarauta.

11 ottobre

Eravamo a casa quando verso sera ci raggiunse la notizia della morte di Paolo Diena a Cotarauta e della cattura di Cesare Castagna, di Giuseppe Lucchese, di Giovanni Berlaita, di Remo Masseilot, di Alessandro Borda, di Pasquale Calzavara di Fiorello.

Vennero incarcerati a Saluzzo ed in seguito incorporati nella TODT (1). Alessandro Borda venne internato a Mathausen, poi trasferito a Gusen, ritornò.

Fiorello un giovane di Firenze già disertore dalla R.S.I. venne portato fino a Bergamo, da dove riuscì a fuggire, rientrò dopo diversi giorni in Val Chisone.

Paolo Diena si era trovato a Cotarauta di ritorno dalla sua missione, aveva accompagnato Remo Raviol, gravemente ferito, all’ospedale Valdese di Torre Pellice. Aveva percorso sentieri di montagna portando l’amico con gli occhi bendati per giorni di marcia. Il primo giorno da Salza Maniglia, San Martino, Chiotti, Combagarino. Secondo giorno, Combagarino, Lazzarà, Pramollo.

Terzo giorno Pramollo, Rue, Pragiassaut. Quarto giorno Pragiassaut, Vaccera, Luserna San Giovanni, Torre Pellice.

(1) L’organizzazione TODT dal nome dell’Ing. tedesco Friz Todt, che creò nel 1933 una delle più grandi organizzazioni economiche del regime nazista. Impiegò nell’Europa occupata grande masse di lavoratori coatti. Nell’estate del 1944 l’utilizzo della mano d’opera straniera raggiungeva sette milioni e seicentomila lavoratori.

..

A Cotarauta, la squadra che dalla Roccia era salita la sera prima, venne sorpresa da una pattuglia tedesca, Paolo era vicino alla fonte, quando vide i tedeschi spiccò un salto per buttarsi nel bosco sottostante, ma un colpo lo colpì in piena fronte.

Viola salì a ricomporre la salma e prese una ciocca di capelli e ricuperò gli occhiali rotti, li consegnò alla madre di Diena a Torino, portando pure notizie dell’altro figlio, Giorgio. La signora Diena aveva pure il marito internato a Mathausen, da cui non fece più ritorno.

Con mia moglie verso il 25 aprile negli anni successivi alla guerra salivamo in montagna per raccogliere delle genzianelle che portavamo a Torino.

La mamma di Paolo fino alla morte aveva considerato Viola come una figlia.

In una lettera del 18 aprile 1975 scriveva " Sempre intimamente molto cara Viola.

Tu allora sei stata cara quanto mai ed ho nel mio mobiglio dei ricordi, le minute cose che tu mi portasti del nostro Paolo…

Ed ancora il 24 settembre 1979

"Ho davanti a me la cartolina di auguri per il Natale 1967 Ti ho sempre detto grazie nel mio cuore materno. Ora questo grazie te lo ripeto scritto con un pensiero profondo di bene per te e per tutta la tua famiglia.

Incredibilmente è stata lunga questa mia vita terrena e sono vicina al traguardo, Ricordami Viola, sempre cara nel mio cuore che ricorda e ti ricorda. Elettra Diena la mamma di Paolo che oggi compie 93 anni "

 

11-16 ottobre

Dalla Roccia portai a casa il mio fucile, lo nascosi nel muro di spalla di un ponte vicino a casa. Avevo in dotazione il parabellum portato dalla Francia, una pistola Berretta calibro 9 presa a Fenestrelle ed una bomba a mano inglese (sipel) tipo ananas, che avevo sostituto con le due bombe tedesche che ritenevo troppo ingombranti.

La notte dormii in un ripostiglio vicino a casa, ricavato da una vecchia cisterna, costruita con mattoni, di m.2.50 di lunghezza, m.1.20 di larghezza ed una profondità di m.0.80, coperta da una catasta di tavole in legno di pioppo e castagno adoperate da mio padre nei lavori di falegnameria.

Per facilitare l’areazione avevo collocato un tubo metallico.