TERZA PARTE

13 novembre

10 dicembre

Mi trasferii a Vivian, ebbi come ripostiglio per la notte un cunicolo scavato in una ripa nei castagneti vicino alle case. A protezione dell’acqua era stato collocata una lamiera ondulata sulla volta.

L’entrata del ripostiglio venne nascosta tramite la caduta di rovi, provocata da uno strappo di una corda dall’interno.

Venne preparato un nascondiglio per circa 25 uomini sotto il canale R. I. V. nella borgata Vivian di Inverso Pinasca.

La porta di accesso verso la strada venne nascosta totalmente da un mucchio di letame.

Per rifugiarsi nel nuovo ripostiglio si entrava in una stalla, quindi si passava in una mangiatoia, poi in un cunicolo, si usciva all’esterno del fabbricato, ci si trovava in una intercapedine tra la casa ed il canale, quindi tramite una apertura si entrava nel ripostiglio sotto 0il canale.

Qui furono preparati dormitori a castello con legna fornita da Attilio Pons che aveva una segheria a Perosa Argentina (1).

Il rancio ci veniva calato nell’intercapedine dall’alto tramite una corda.

Qui passai 18 giorni, a volte si sentivano passi sul canale e per non essere scoperti cercavamo di non fare rumori, parlavamo sottovoce ed in caso di tosse mettevamo un fazzoletto sulla bocca ed avvolgevamo la testa nella coperta.

Dal portafoglio un giorno estrassi una stella alpina, a questo gesto altri mostrarono la loro stella alpina raccolta il 19-20 agosto al Ghinivert a ricordo di quei tristi giorni.

La sera del 19 novembre vidi entrare nel nostro rifugio una persona estranea, venni poi a sapere che era il Giudice Valente, Pretore di Perosa Argentina, Verona prese un salame che era appeso ad una trave lo porse al nuovo entrato dicendogli "ca senta sur Pretur che bun udur".

Il prigioniero venne portato nella stalla di accesso al ripostiglio e qui fu interrogato.

Rammento che confermò di aver chiesto l’intervento di truppe tedesche a presidiare Perosa Argentina, poiché in Val Chisone e Val Germanasca si trovavano dei banditi.

Stavo dormendo quando venni svegliato, perché mi gettarono addosso una mantellina, era quella del Pretore recuperata dopo la fucilazione avvenuta a Dubbione di Pinasca.

 

 

 

 

 

(1). Segheria completamente distrutta da un incendio il 16 settembre 1945.

Bartolomeo

Servetti

Da Vivian dovevo recarmi a Fleccia, stavo scendendo dal canale della R.I.V. verso la trattoria dei Fiori, quando Bartolomeo Servetti abitante a Reynaud mi avvisò che dei repubblichini del presidio di Dubbione di Pinasca erano diretti verso il ponte di Inverso Pinasca, quindi tornai indietro.

Alcuni giorni dopo trovandomi nuovamente nei pressi di Vivian, si avvicinò Enzio Coucourde (Cit) mostrandomi una lettera indirizzata al comando tedesco di Villar Perosa.

Fortunatamente il portalettere aveva sottratto la lettera in cui si informava il comando tedesco che a Vivian sotto il canale si trovava un gruppo di partigiani, come pure alla Faiola. Diceva inoltre di arrivare di sorpresa a Fleccia presso la trattoria dei Fiori, dalla famiglia Lageard dove avrebbero potuto trovare dei ribelli, poiché qui era luogo di recapito partigiano.

Se la lettera fosse arrivata al comando tedesco, almeno una trentina di partigiani sarebbero stati catturati, quasi tutti i giovani di Inverso Pinasca.

Non ci rimaneva che fare indagini su chi erano stati i delatori, la lettera aveva due scritture diverse.

Dalle indagini il dubbio cadde su Bartolomeo Servetti e la moglie. Nel mese di luglio erano stati prelevati dai partigiani, perché sospetti erano stati portati al Laux, dove eravamo stati poi rilasciati. Pensammo ad una vendetta. Il 18 luglio durante un rastrellamento a Reynaud di Inverso Pinasca trovando la casa disabitata i tedeschi l’avevano incendiata.

Data la situazione precaria in cui erano venuti a trovarsi, i partigiani avevano dato loro una capra.

Guido Rostagno che non era conosciuto nella zona, passandosi per un partigiano di un’altra formazione si presentò a casa del Servetti, con il pretesto di requisire la capra. L’interessato sorpreso informò che la capra era stata data dai partigiani.

Il Rostagno lo invitò allora a fare una dichiarazione scritta in tal senso, gli porse un foglio ed incominciò a dettare il contenuto della lettera di delazione che era stata scritta in parte da lui ed in parte dalla moglie, cominciarono entambi a tremare, le calligrafie corrispondevano, ma anche gli errori, come per esempio il nome Lageard, titolare della trattoria dei Fiori a Fleccia di Inverso Pinasca, era stato scritto con due G Laggiard.

Non si ebbe alcun dubbio, il Servetti e la moglie vennero fucilati il 23 Dicembre 1944.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nuovo rifugio

Mi trasferii in un terzo nascondiglio sempre nella borgata Vivian di Inverso Pinasca, con i fratelli Viotto, Gianni Gay, Guido Baret ed Enzio Coucourde che era il proprietario del locale.

Entravamo in un casio riempito di fogliame, scavando arrivavamo alla base e tramite un foro entravamo in una cantina, la parte superiore era nascosta da tini e depositi di attrezzi agricoli.

Verso il 10 dicembre ritornai a casa, in seguito alla circolare del comando, che decideva di inviare gli uomini in licenza invernale, il proclama del 13 novembre 1944, emanato dal capo supremo delle forze armate in Italia, del generale Clarch, nel quale si invitavano i partigiani a desistere dalle azioni militari, e a superare un durissimo inverno nell’attesa della primavera.

Erano trascorsi esattamente sei mesi da quando ero salito in montagna, il mio rifugio per la notte era un ripostiglio vicino a casa.

"Una notte sentii aprire il cancello di casa, vidi un militare tedesco, scorsi sul balcone di casa un partigiano, sentii il tac-pun del mauser, feci un sobbalzo, picchiai la testa contro il soffitto del ripostiglio, vidi Ettore e Dario vicino a me, dormivano profondamente, stavo sognando".

Cattura tedesco

Da alcuni giorni un militare tedesco da solo passava nei pressi di casa mia guardandosi intorno con un binocolo; con Ettore e Dario avevamo deciso di catturarlo, quando capitò l’imprevisto.

Alcuni partigiani avevano l’abitudine di trascorrere la serata nella casa di giovani sorelle alla Rivoira, una sera entrò un tedesco, a prima vista ritenne che fossero alpini della Monte Rosa, ma quando si accorse che erano partigiani, tentò di estrarre la pistola, immediatamente venne colpito a morte con un solo colpo partito dal parabellum che si inceppò.

Venne poi sepolto nelle vicinanze, in un campo di proprietà del cugino Aldo Rostan.

I tedeschi fecero delle ricerche, le loro indagini portarono a supporre che il loro commilitone fosse sepolto nei terreni di proprietà Rostan, quindi avevano deciso di venire a casa mia per accertamenti.

Venni tempestivamente informato da Cappello, di Perosa Argentina, militare con il figlio nelle Brigate Nere di Pinerolo.

Mi allontanai da casa anche con altri partigiani, che in quel momento si trovavano a casa mia.

Effettivamente i tedeschi arrivarono, chiesero ai miei dove avevamo dei prati, venne loro indicato un prato a Pinasca nei pressi del Mulino; andarono ad ispezionare per controllare se ci fosse stata della terra smossa.

 

 

 

 

 

Natale 1944

Alla vigilia di Natale dovetti interrompere il pranzo ed allontanarmi, poichè venni avvisato che dei tedeschi stavano raggiungendo casa mia, li vidi aggirarsi intorno e poi allontanarsi, al ritorno venni a sapere che avevano tagliato un piccolo abete nell’orto dei vicini, era per l’albero di Natale.

Decisi di andare in chiesa a Pomaretto, arrivai in piazza a Perosa Argentina, vidi passare vicino a me un tedesco che con un secchio di tela si dirigeva verso la fontana nell’angolo della piazza, nel contempo vidi Luigi Gariglio che come me era sceso a Perosa.e si trovava in piazza.

Le persone ci notavano, ma senza indugio, attraversai la piazza e mi diressi verso Pomaretto.

Arrivato al ponte di Pomaretto trovai il posto di blocco presidiato, non avevo alcun documento, quindi passai per via Trento, dietro la Casa Littoria, (poi casa del Popolo ed ora locali dell’ASL) attraversai il Chisone, con grande imprudenza, camminando sulla neve a meno di 50 metri dalla sentinella, se solo avesse voltato lo sguardo a monte verso il torrente mi avrebbe visto.

Entrai in chiesa, appena seduto si avvicinò un caro amico Enrico Bleynat, mi consegnò una lettera e mi invitò ad uscire, poiché c’era una persona che mi voleva parlare.

Subito non capii, credetti di essere in pericolo, mi alzai lentamente ed uscii, appena fuori mi aspettava una ragazza con cui avevo avuto nel passato una relazione poi troncata, intendeva riallacciare, ma ebbe una risposta negativa.

In quel periodo non intendevo avere rapporti affettivi, poiché avrebbero creato ulteriori disagi per la lontananza e potevano creare pericoli.

Rientrato in chiesa appena seduto arrivarono due tedeschi, che si sedettero dietro di me, insieme assistemmo al culto.

In chiesa quel giorno si trovava pure Ettore Serafino comandante della divisione, e così partigiani e tedeschi in quel Natale si avvicinarono insieme alla Santa Cena.

Al ritorno a casa passai dal’Inverso pensando al passato pericolo.

A Natale a causa del freddo abbandonammo il nostro rifugio e costruii nel fienile un nuovo ripostiglio con balle di paglia con Ettore e Dario.

31 dicembre 1944

Il 31 Dicembre 1944 fu una giornata di grande tristezza. Eravamo venuti a conoscenza delle terribili morti, avvenute il giorno prima a Cumiana, di Gianni Daghero (Lupo), Giorgio Catti bruciati nel loro nascondiglio, e di Erminio Long mio compagno di scuola in 4° e 5° elementare a Pomaretto, ucciso a percosse.

Ci fu un momento di grande sconforto, il 1944 stava per finire, pensavamo come sarebbe stato il nuovo anno.

Dopo i caduti nel rastrellamento di agosto, l’11 ottobre c’era stata la morte di Paola Diena e la cattura di altri 7 partigiani, il 25 ottobre per delazione erano stati catturati il medico gli infermieri e i feriti che si trovavano a Salza di Pinerolo in tutto 20 uomini, il 4 novembre avevamo avuto i sei caduti a Cantalupa, il 26 novembre i 14 caduti alla Verna, pensavamo a tutte quelle gravi perdite, e dovendo trascorrere un secondo inverno, ci chiedevamo chi di noi sarebbe arrivato a primavera.

Mi preoccupava la neve, i tedeschi avrebbero potuto seguire le nostre tracce.

Pensavo, a quando da bambino ero felice di vedere cadere la neve, rammentavo che nella notte mi alzavo per vedere nevicare.

Guardavo l’accumularsi della neve sui tetti delle case di fronte, e ritornavo a letto al caldo pensando che la mattina a causa dell’abbondante nevicata non avrei dovuto alzarmi e non sarei dovuto andare a scuola.

Sbagliavo era proprio il contrario, dovevo alzarmi prima, mio padre mi metteva le fasce militari che aveva portato dalla guerra 1915-1918.

Quindi seguendo le sue tracce, poiché allora non esistevano spartineve, lo seguivo, calpestando la neve che mi arrivava fino alle ginocchia. In quel momento mi divertivo a camminare nella neve.

Mi trovavo alla Marotera con Ettore e Dario nella casa di Gaudenzio Bertetto e delle sorelle, la madre ci accoglieva come figli.

Eravamo tristi quando arrivò un vicino di casa Guido Charrier che ci invitò per la serata di capodanno, lui avrebbe provveduto a portare un’anatra per il cenone.

Eravamo senza sigarette ma Romano Bertetto che era con noi e che era stato militare in Grecia ed era rientrato in Italia prima dell’otto settembre, aveva portato una abbondante scorta. Le aveva nascoste in un caminetto di una casa disabitata. Grande fu la delusione quando, ritornando, ci informò che tutte le sigarette erano andate in fumo. Era successo che il suo camino era stato utilizzato dal vicino.

Florio Laidetto

Alla fine dell’anno 1944 ci venne riferito da Emilio Heritier calzolaio residente a Castelnuovo di Pinasca che era stato oggetto di rapina a mano armata, aveva espresso il sospetto che il suo aggressore fosse un vicino di casa.

Il 30 dicembre 1944 era stata trovata a Rivoira Inferiore uccisa per strangolamento Matilde Brun anziana signora di 72 anni in seguito ad una rapina.

I due fatti vennero collegati, dopo brevi indagini venne arrestato Florio Laidetto che dopo l’interrogatorio confermò i fatti e venne condannato a morte.

Fu portato sulla statale nei pressi di Castelnuovo per l’esecuzione. Dopo gli spari, si sentì un urlo e il condannato cadde giù nella ripa, nel frattempo dalla curva di Combalere arrivò una macchina tedesca, gli esecutori si allontanarono, senza dare il colpo di grazia.

Il Laidetto incolume si diresse a Pinerolo dalle Brigate Nere,

per vendicarsi poiché era a conoscenza dei nascondigli partigiani, fece iniziare una serie di rastrellamenti nella zona.

Il Laidetto prigioniero in Germania era rientrato in Italia con la divisione Monte Rosa, durante una licenza era venuto a casa e lo avevo convinto venire con i partigiani.

Si era poi allontanato da noi nel mese di novembre quando ci trovavamo a Vivian.

Era venuto a casa mia più volte con altri partigiani per prendere viveri. In otto giorni ben cinque volte passò vicino a casa mia con i brigatisti senza entrare.

Effettuava continui sopralluoghi a Rivoira nella cascina di Aldo Rostan, poiché la moglie era la sorella dei fratelli Long che lo avevano smascherato.

In uno dei tanti sopralluoghi da un brigatista venne gettata una bomba a mano nel casio, fortunatamente Evelina moglie di Aldo e sorella dei Long vide il gesto, raccolse la bomba.

L’intenzione dei brigatisti era di avere un pretesto per incendiare la casa giustificato dal ritrovamento di armi.

Laidetto salì a Serremarchetto dove prese una nostra mitragliatrice, che lui stesso aveva nascosto con Bruno Perrot tra le rocce di Cuccetto.

I brigatisti arrivati a Pinerolo si vantavano di avere preso una mitragliatrice ai partigiani.

Il 10 gennaio portò i brigatisti a Vivian dove era stato con noi per diverso tempo, dopo la sua fuga il rifugio era stato abbandonato.

Li portò nell’altro rifugio, di cui era venuto a conoscenza alla fine di novembre quando era venuto a casa e aveva visto Aldo Viotto uscire dal casio con lo zaino.

La sera prima Guido Baret si era allontanato per rientrare a casa temporaneamente, ed aveva portato con sè i documenti ed i nominativi della banda.

Aveva però dimenticato il suo cappello alpino, che venne visto poi sul capo di un brigatista.

Nel rifugio si trovava Enzio Coucourde nascosto nel fogliame, armato con due pistole, pronto a sparare se fosse stato scoperto.

I brigatisti incendiarono la casa, Enzio dovette uscire. Fortunatamente i brigatisti si erano appena allontanati quando si verificò uno scoppio, era la bomba a mano (Sipel) che io avevo perso nel fogliame.

Si recarono a Fleccia perché qui aveva saputo che la famiglia Lageard operava con i partigiani quando era venuto a prendere dei viveri.

Perquisirono la casa, entrarono nella camera di Viola, spostarono i mobili e sfogliarono i libri alla ricerca di cose compromettenti.

Non trovarono nulla, si limitarono a prendere carne e tabacco che erano destinati ai partigiani.

Si temeva che la casa venisse incendiata come già era successo nel 1924 dai fascisti.

Laidetto si recò poi al C.V.S. di Perosa Argentina, dove lavorava Aldo Viotto, che era venuto a casa con lui, per sequestrargli la pistola. Aldo disse che erano già venuti i partigiani.

Il comando partigiano per porre fine a questi continui pericoli, informò il comando tedesco che Laidetto fuggito presso le brigate nere di Pinerolo, aveva ucciso una anziana donna per rapina ed era sfuggito alla giustizia partigiana.

I tedeschi lo catturarono e lo fucilarono il 18 febbraio 1945 a Villar Perosa.

Ultimo rifugio

La sera del 10 gennaio 1945 a causa dei continui passaggi delle Brigate Nere nella zona, in seguito agli avvenimenti del 30 dicembre, con la morte di Gianni Daghero e Giorgio Catti bruciati nel loro nascondiglio per l’incendio della cascina, Con Ettore e Dario lasciammo il nostro nascondiglio nella paglia e con l’indicazione avuta da abitanti della Marotera, ci spostammo in un nuovo rifugio, dove passammo cento notti fino al 20 aprile 1945.

A monte dell’abitato della Marotera in un muro di sostegno dei campi a terrazzamento si trovava un ripostiglio di m.1,50 di larghezza m.2.00 di lunghezza e m.0.80 di altezza con un passaggio di entrata, non visibile dall’esterno, il ripostiglio era stato costruito ad uso deposito per attrezzi e prodotti agricoli.

Data la ristrettezza si entrava uno alla volta, il primo si toglieva gli scarponi quindi si adagiava, poi seguivano gli altri.

Una sera non avevo ancora tolto gli scarponi, quando entrò Ettore Viotto. Ci accapigliammo, nella lotta cadde il lumicino a petrolio, nella oscurità ci fermammo e dopo aver appeso il lumicino ci sistemammo per la notte.

Il giorno successivo appena alzati ci trovammo con le facce annerite, sembravamo degli spazzacamini, a causa della fuliggine del lumicino a petrolio caduto sulle coperte.

Una mattina non arrivava la luce del giorno, era successo che l’abbondante nevicata caduta nella notte aveva coperto l’entrata. Qui ci sentivamo sicuri, ci dissero che se i tedeschi avessero adoperato i cani nei rastrellamenti, per proteggerci, avremmo dovuto pargere nei pressi dell’entrata del ripostiglio dell’ammoniaca.

Gran Dubbione

Nel 1945 il mio compito oltre a quello di effettuare corvèe in valle per il ricupero di armi consisteva nell’effettuare collegamento tra il comando della 1° banda, da casa mia ai distaccamenti di Inverso Pinasca. Inoltre dovevo tenere il collegamento con il comando divisione a Gran Dubbione che veniva effettuato con Ettore e Dario: salivamo due alla volta, il turno era stabilito col gioco delle carte, i due perdenti avevano il compito di salire a Gran Dubbione.

In uno di questi incontri mi vennero mostrate da Maggiorino Marcellin delle armi che erano arrivate dalla pianura, provenienti da lanci, erano fucili mod.1891 sul calcio portavano la scritta " Adua 1896" Forse erano stati prelevati da qualche museo del Sud.

Questo fatto procurò una forte protesta di Marcellin al Capitano Pat ufficiale Inglese di collegamento dell’Intelligent Service.

Salii con Ettore Serafino a Gran Dubbione poiché doveva trovarsi con altri comandanti partigiani, ci recammo in Chiesa a Serremoretto da Don Bessone, per avere informazioni. Ci indirizzò alla borgata Reisa, casa dei fratelli Giuseppe Ghigo (Nota chiamato il partigiano) e Nicola (Collino), qui trovammo Giulio Nicoletta, comandante della 45° divisione, Sergio De Vitis della Val Sangone, Paolo Favout (Poluccio) comandante della 43°divisione, Sergio Toje della Val Germanasca.

Arrivò anche Maggiorino Marcellin comandante della 44° divisione Alpina Adolfo Serafino della Val Chisone.

In quella occasione si formarono le divisioni operative della 4° zona.

La 44° divisione Alpina Val Chisone, che fino allora comprendeva le Brigate M. Albergian e M. Assietta veniva a scopo operativo formata dalla Brigata M Albergian, operante in Val Chisone e pianura, Roletto, Frossasco, Cantalupa e Cumiana, e dalla 5°G.L. operante in Val Germanasca al comando di Ettore Serafino mentre la brigata M.Assietta passava in Val di Susa.

Marcellin veniva nominato ispettore Alte Valli con l’incarico di stabilire contatti tra i comandi Alleati e la 4° Zona che comprendeva la Val Pellice, la Val Germanasca, la Val Chisone, la Val Sangone e la Val di Susa.

Gran Faetto

Il 10 febbraio con Ettore Viotto, Dario Bonadeni ed altri da Maurin salii la valle passando da Ciampiano, Ciappelle, Lageard, Castel del Bosco. Raggiungemmo Gran Faetto, qui trovammo uomini della Banda Toje, passammo parte della giornata con loro, poi a sera ci avviammo verso le baite che erano state indicate da Toje per il recupero di bombe da mortaio.

Aspettammo che arrivasse la notte per scendere a valle.

Ero davanti con Dario Bonadeni e Dino Vedovato, arrivati a Balma, all’angolo del muro di recinzione dell’acquedotto di Pinerolo, al chiaro di luna vidi davanti a me delle ombre. Ci fermammo , quindi a ritroso tornammo indietro, ci trovavamo in una situazione precaria, poiché da una parte avevamo la recinzione dell’acquedotto e dall’altra il muro di sostegno della strada, eravamo incanalati senza via di uscita laterale, inoltre avevamo lo zaino carico di bombe.

Arrivammo sulla strada statale attraversammo il Chisone e scendemmo la riva destra del torrente.

Ero davanti al gruppo quando scavalcando un muricciolo di divisione delle proprietà ed anche di coltura tra bosco e prato, al chiaro di luna vidi nel prato un gruppo di persone che salivano. Individuai nel primo una divisa da repubblichino, con un balzo indietro, mi misi al riparo del muretto e feci scattare la sicura del parabellum. Diedi il chi va là, sentii una voce in patouà che rispose "Sei Marcel d’l’Invers" era Marcello Long che saliva in valle con un prigioniero repubblichino, ci salutammo e ciascuno di noi riprese la propria marcia.

Alla liberazione parlando con Vincenzo Messina del giorno in cui c’eravamo visti a Faetto, mi raccontò che quella notte, Toje si trovava alla Balma a parlamentare con un maresciallo tedesco, ed aveva ordinato agli uomini di guardia, che se avessero visto avanzare delle persone di aprire il fuoco.

Quando noi eravamo giunti al termine del muro di cinta eravamo stati avvistati, la guardia stava per sparare. Messina intuendo che le persone che stavano arrivando, potessero essere del gruppo di partigiani che erano stati con loro nella giornata e che stavano scendendo, si trattennero dall’ aprire il fuoco.

Bourcet

Il 5 marzo courvèe e ricupero armi con Ettore e Dario. Salimmo la valle seguendo il solito itinerario, Ciampiano, Rio Agrevo, Ciappelle, Lageard seguendo l’antica strada Napoleonica, arrivammo all’imbocco dl Castel del Bosco. Vedemmo giungere una colonna tedesca sulla statale, ci buttammo a terra per non essere visti. Passata la colonna raggiungemmo Chargeoir. Attraversata la strada ci avviammo per Bourcet, superammo Chasteiran, villaggio dove si trova la chiesa, e raggiungemmo la borgata Orti, qui trovammo uomini della banda di Toje della 3° banda.

Vincenzo Messina che era addetto alla cucina ci offrì una buona cena.

Passammo la notte in una stalla (sembrava l’Arca), poiché oltre ai proprietari e noi eravamo in compagnia di mucche, capre, pecore, un mulo, conigli e porcellini d’india.

Alla mattina percorremmo un sentiero tra boschi di larice e raggiungemmo in un pianoro delle baite, in corrispondenza di Chambon, qui, come da indicazione avute, prendemmo delle bombe di mortaio.

Presi due bombe da 7.800 Kg. Quindi con le armi e caricatori avrò avuto circa 20 Kg. Per me era un carico particolarmente gravoso.

Al ritorno percorremmo il medesimo itinerario, passato Rio Agrevo, giungemmo a Prageria; era già notte inoltrata, salendo i prati dietro le case, ci fermammo e stanchi ci addormentammo. Verso le 3 del mattino riprendemmo la marcia, arrivati a Maurin, nascoste le bombe in un vigneto, entrammo in casa.

Eravamo affamati, io scesi in cantina a prendere del vino per gli amici, presi pane e salame, poi sazi ci incamminammo al nostro rifugio alla Marotera da dove riscendemmo verso mezzogiorno.

Collegamenti

Nel periodo invernale dovevo fare collegamenti dal comando da casa mia ai distaccamenti ad Inverso Pinasca.

Nel periodo di piena del Chisone, passavo su un tubo per l’irrigazione, ancorato con un cavo metallico che attraversava il torrente ad una altezza di circa m.1,50 dal greto.

Noi ci tenevamo al cavo metallico camminando sul tubo, a volte durante il percorso sul torrente in piena sentivamo le raffiche sparate dalla postazione repubblichina al Forte di Perosa a scopo intimidatorio. Davano la sensazione di un film di avventura, ma qui era realtà.

Raggiunta la sponda opposta si doveva spiccare un salto di circa un metro. Avevo il parabellum a tracolla capitò una volta che, appena toccata terra, mi arrivasse un colpo in testa, successivamente prima di spiccare il salto tenevo l’arma per mano.

Dario Bonadeni aveva ricevuto l’ordine di recarsi a Inverso, mi chiese se potevo sostituirlo, poichè nel tratto di strada statale da attraversare quella sera si trovava suo padre in ostaggio.

I tedeschi di notte durante il coprifuoco, collocavano ogni 200 metri un civile in ostaggio, per impedire atti di sabotaggio od attacchi al passaggio di truppe tedesche da parte dei partigiani.

Partigiani

ai Maurin

Dal 25 agosto 44 alla liberazione casa mia fu una base di incontro e passaggio di partigiani dalla pianura alla montagna e viceversa, di collegamenti di staffette al comando della 1° Banda sotto gli ordini di Gianni Gay e Guido Rostagno e della divisione agli ordini di Ettore Serafino. A tutti era data ospitalità e ristoro.

In quel periodo fortunatamente, avevamo grano, patate, il bestiame quindi latte, burro, galline, uova, verdura e frutta, inoltre avevamo macellato due maiali.

Quello che mancava era il caffè sostituito dall’orzo, lo zucchero, l’olio ed il sale, che veniva ricavato con l’acquisto di damigiane d’acqua da cui, fatta evaporare, si ricuperava una manciata di sale. Altri camminavano per giorni passando i colli, si recavano in Francia, qui portavano riso per avere del sale.

Alessandro

Borda

Alessandro Borda il 25 agosto 1944 appena arrivato dal rastrellamento si fermò una quindicina di giorni fino al mio arrivo dalla Francia, dopo di che si trasferì a Inverso Pinasca

Mario

Grosso

Mario Grosso proveniente dalla Divisione Monte Rosa dalla Germania si fermò alcuni giorni, poi si trasferì in valle.

Edoardo

Calleri

Edoardo Calleri proveniente dalla pianura con un amico era stato qui indirizzato, poiché dovevo condurlo a Malzas, località alquanto sicura per passare l’inverno.

Troppo pericolosa era la pianura, anche per la sua indole, già aveva perso un fratello e lui rimaneva l’unico erede della famiglia dei Conti di Bricherasio. Si fermò alcuni giorni poi con l’amico ritornò in pianura.

Giovanni

Turvani

Giovanni Turvani collaborava con i partigiani. Scoperto a Pinerolo con manifestini di propaganda partigiana, era stato fermato dai brigatisti neri. Fu percosso, poi fu condotto a San Maurizio per la perquisizione della sua casa. Qui giunto sanguinante chiese di recarsi in bagno per lavarsi, gli venne concesso e riuscì a fuggire.

Si recò nella casa di Ada Boiral staffetta partigiana per avere soccorso., Sfortunatamente un’altra pattuglia delle brigate nere stavano perquisendo la casa, venne arrestato e portato alla Casa Littoria, sede dei brigatisti.

Quando arrivarono da San Maurizio i brigatisti da cui era riuscito a fuggire, sfogarono la loro rabbia. Fu colpito violentemente alla testa col calcio del mitra che gli procurò delle gravi ferite al capo ed ad un occhio.

Gettato in prigione, fu poi successivamente portato all’Istituto Maria Immacolata, che fungeva da ospedale per medicazioni. Fu accompagnato da due brigatisti, qui giunti uno di loro si allontanò nelle corsie per incontrarsi con commilitoni feriti durante un rastrellamento a Bricherasio. Turvani trovandosi solo col brigatista, finse di sentirsi male e chiese di andare in bagno, riuscì nuovamente ad allontanarsi, si nascose in un vigneto sotto a delle fascine nei pressi dell’ospedale.

Raggiunse poi la Val Lemina, attraverso i monti, passando per il Crò, Tagliaretto arrivò a casa mia.

Ricordo quale grande fosse la preoccupazione di Ettore Serafino per l’amico, temeva per la ferita all’occhio.

Il Dott. Sabbione di Perosa Argentina, venne a Maurin per medicarlo, dopo alcuni giorno Turvani raggiunse Malzas.

Viola Lageard

Verso la fine di gennaio due repubblichini della Littorio, del presidio di Dubbione di Pinasca, che erano soliti a recarsi a Fleccia nella trattoria dei Fiori, furono catturati dai partigiani e portati in valle.

Questi due giovani erano venuti più volte nella trattoria ed erano conosciuti dalla famiglia Lageard; nel timore che venissero fucilati, Viola inviata dalla madre venne a Maurin di Pinasca, dove si trovava il comandante Ettore Serafino. Mi venne dato l’incarico di recarmi a San Sebastiano, allo stabilimento della Società Talco e Grafite Val Chisone, che era collegato telefonicamente al Vallone di Massello, dove erano stati portati i prigionieri, affinchè trasmettessi l’ordine di sospensione della esecuzione.

L’ordine arrivò appena in tempo poichè alcuni uomini si erano già allontanati con i prigionieri per la fucilazione.

I due repubblichini Alcide Tanzi e Franz Peri, giovani della Brianza, trasferiti al Malzas, in seguito fecero parte del distaccamento di Luigi Gariglio.

Alla fine della guerra la madre di Peri scriveva alla mamma di Viola.

Milano 1.6.1945

Egregia signora

Le poche parole che posso rivolgerle sono misere, ma contengono tutto l’animo mio, per ringraziarla di tutto quanto ha fatto per mio figlio Franz, Lei potrà capire l’angoscia di una mamma avendo lontano l’unico figlio e saperlo in pericolo, quanto soffrire io abbia fatto, perciò non troverò mai abbastanza parole per lei che tanto buona a suo riguardo.

I disagi del viaggio non mi permettono di venire di persona per avere la fortuna di portarle a voce, ma porterò nel mio animo sempre la sua benevolenza di quanto ella abbia fatto, la prego se avesse occasione di venire a Milano, ci venga a trovare che abbiano tanto piacere.

Porgo anche a nome di mio marito uniti ai miei i più rispettosi saluti mi firmo Ida Peri.

Americani

Il 4 febbraio 1945 un bombardiere americano proveniente da Bari dopo una azione in Austria, colpito dalla contraerea atterrò ad Airasca, in un campo di aviazione in disuso. I dieci uomini dell’equipaggio, vennero avvicinati dai partigiani.

Il progetto era di portarli in Francia attraverso le montagne. Dalla pianura dovevano arrivare a Maurin, per poi proseguire per Malzas e a primavera arrivare in Francia.

Ebbi questo incarico quindi andai alla ricerca del mio vocabolario d’inglese.

Ma non erano abituati a camminare, inoltre erano muniti di pesanti calzature, adatte per il freddo delle alte quote del cielo, ma non alle asperità della montagna, non riuscirono ad arrivare a Maurin.

Si riuscì a farli arrivare nelle Langhe dalle formazioni Mauri, e furono riportati a Bari da un aereo atterrato appositamente.

Collaboratori

Da Pinerolo collaboratori che erano a contatto con i comandi militari tedeschi, e con il C. L. N. venivano a Maurin a portare preziose notizie ad Ettore Serafino, e al contempo portavano al C.L.N. le richieste del Comando Partigiano della Val Chisone.

 

 

 

 

Ettore Serafino

Proveniente da distaccamenti in valle o da Blegieri di Pomaretto passava a Maurin, pranzava, quindi riprendeva la marcia verso la pianura, alle cinque della sera si trovava a Cumiana alla Costa con Pat della missione inglese, presso la villa delle Contesse Provana di Collegno.

Altre volte proveniente dalla pianura, pernottava a Maurin, poi il giorno successivo risaliva in valle.

Francesco

Domenichini

Francesco Domenichini chiamato il N. 6, fu un elemento essenziale per il comando partigiano, aveva una rete di informazioni tra la popolazione, indicava i movimenti delle truppe tedesche, trovava mezzi di trasporto, provvedeva al ricovero dei feriti, provvedeva a rifornimenti di viveri e medicinali.

Arrivava a Maurin per colloqui con Ettore Serafino, giungeva nel cortile, come parola d’ordine chiedeva "ci sono delle mele da vendere". Alla risposta affermativa entrava in casa per portare informazioni e ricevere degli incarichi dal Comando Partigiano.

Staffette

Una mattina mio padre appena alzato entrò in cucina trovò diversi giovani coricati sul pavimento, rimase sorpreso di non aver sentito nulla quando erano entrati. Passato alla camera vicina sulla poltrona c’era la staffetta di Pinerolo che conosceva, che portava giovani in valle. Tutti erano affamati. Fatta colazione, partirono ringraziando.

Lorenzo

Giustetto

Giustetto Lorenzo facente parte della 1° Banda Enrico Gay, in data 17 marzo 1945 arrivò a casa mia, sapendo che qui c’era il comando, mi informò della morte del fratello Severino, (Tarzan). Pensai che fosse stato catturato dai repubblichini, invece con sorpresa appresi che era stato fucilato dai partigiani, e che pertanto lui dichiarava che non intendeva più fare parte della Banda.

Lo invitai a mantenere il segreto, su casa mia dove si trovava il comando della Banda, cosa che mi assicurò.

Dalle informazioni avute, era successo che Tarzan tipo imprudente, era sceso a Dubbione di Pinasca dove si trovava il presidio della Littorio, era stato visto a parlare con i repubblichini. Ciò era stato riferito a partigiani della zona, i quali ritenendolo un pericolo lo avevano condannato a morte.

Aldo Rossi

Aldo Rossi chiamato "Busta" aveva il compito del collegamento dal comando della 1° Banda al distaccamento di Luigi Gariglio, pertanto da casa mia partiva per la val Germanasca in bicicletta per recarsi al Vallone di Maniglia. Con il trasferimento nell’inverno del distaccamento a Malzas arrivava a Perrero e saliva con la teleferica dentro la benna. Difficile era il ritorno perché era effettuato a cavalcioni in bilico nella benna piena di talco.

Isidoro Bellè

Isidoro Bellè benché lavorasse alla R.I.V. di Villar Perosa nelle ore libere era sempre pronto a portare ordini. La sua zona di operazione era dal comando ai distaccamenti di Inverso Pinasca.

Ignazio Bessone

Verso il 25 aprile 1945 venne a Maurin Ignazio Bessone zio di Gianni Gay, lo scopo era di chiedere al nipote che al momento dell’insurrezione, e scesi i partigiani dalle montagne, non venissero effettuate delle vendette sommarie verso i collaboratori se non con processi regolari.

Incontri con i tedeschi

Numerosi sono stati gli incontri con tedeschi nei vari spostamenti da casa mia ad Inverso Pinasca.

Una notte con il coprifuoco proveniente a Fleccia, passato il Chisone, entrato nella statale a Pinasca, giunto all’altezza del ponte delle Balze, vidi scendere una colonna tedesca. Deviai subito nel boschetto al bordo della strada, purtroppo di acacie con spine e rovi, rimasi fermo fino al loro passaggio, poi con l’aiuto di una torcia elettrica riuscii ad uscire da quel groviglio.

Percorrevo lo stesso percorso, di giorno arrivato alla sommità della salita delle Balze, vidi arrivare dalla curva di Combalere, una colonna tedesca, che stava scendendo, deviai nei prati. Lungo un filare trovai dei salici appena tagliati, li raccolsi, formai una fascina, continuando a salire per i prati, mentre la colonna passava dietro di me a 50 metri. Raggiunsi la sommità dei prati e, sparito alla vista della colonna, buttai via la fascina e mi diressi verso casa.

Da Inverso passai il Chisone, mi avviai verso i prati e raggiunsi la base della scarpata della statale, nel tratto tra Castelnuovo e San Sebastiano. Era notte, scorsi delle persone, ritenni dato il coprifuoco, fossero degli ostaggi che i tedeschi obbligavano a stare sulla strada. Verona dietro di me, mi mise una mano sulla spalla sussurrando mi disse "Non senti che parlano tedesco". Mi fermai e camminando a ritroso ed al riparo di un filare di salice ci allontanammo, attraversammo la statale ad un centinaio di metri a monte.

Venimmo poi a sapere che due militari tedeschi stavano chiacchierando con due giovani ragazze. Alla liberazione le due giovani vennero rapate. Fu un errore poiché una delle giovani che parlava il tedesco fungeva da interprete presso il comando militare di Perosa Argentina, e forniva lasciapassare a staffette partigiane che conosceva.

Di ritorno da Inverso Pinasca passata la statale a San Sebastiano, imboccai la strada di casa quando mi incontrai con un tedesco in compagnia con una ragazza. Feci scattare immediatamente la sicura del parabellum puntandolo contro il tedesco. Questi rimase con la schiena appoggiata al muro con le mani alzate, gli passai davanti quindi camminando a ritroso sempre puntandogli l’arma mi allontanai. La ragazza fuggì via.

Il tedesco avendo compreso che la mia intenzione era solo di difesa e non di offesa, sempre a mano alzate incominciò anche lui a retrocedere, arrivati ad un certo punto, uno scappò da una parte l’altro dall’altra.

Il 26 febbraio 1945 andai a Pomaretto nella casa delle sorelle Coucourde, dove si trovavano Ettore Serafino e Gianni Gay di ritorno dalla loro courvèe in Francia. Avevano attraversato il Gran Queiron all’andata ed il colle del Boucier al ritorno in pieno inverno.

In quella occasione avevano portato delle lettere di giovani siciliani, giovani che erano stati catturati dai tedeschi l’otto settembre 1943 nei Balcani. Questi erano poi stati prigionieri in Germania, avevano in seguito aderito alla R.S.I, quindi rientrati in Italia, avevano poi disertato ed erano saliti in montagna con noi. Non avevano più potuto dare notizie alle loro famiglie.

Quindi tramite la missione in Francia le missive sarebbero state recapitate al Sud.

Seguimmo la strada di Inverso. Di notte passammo il ponte, della Peschiera (ora via Chiampo) nei pressi dello stabilimento Gutermann. Arrivati sulla statale tra le rotaie urtai con un piede un barattolo, al rumore due tedeschi dall’altra parte della strada si voltarono, Ettore Serafino fece scattare la sicura del parabellum tenendo a bada i tedeschi, mi ordinò di allontanarmi con Gianni Gay. imboccammo la via Pasubio, che porta alla chiesa, qui giunti arrivò anche Ettore e quindi raggiungemmo casa mia.

L’ordine di allontanarmi era dovuto al fatto che nello zaino avevo una somma di L.500.000 di cui L.250.000 per la Chiesa Valdese e L. 250.000 per i partigiani, avute a Grenoble dagli Americani.

Inoltre avevo i nominativi di tutti i partigiani della divisione.

Il 13 maggio di notte arrivato a San Sebastiano per rientrare a casa, benché ci fosse il coprifuoco scorsi numerose persone sulla statale che salivano verso Perosa. Ero stupito e chiesi il motivo, venni informato che da Villar Perosa avevano dovuto salire a piedi poiché era avvenuto un attentato alla tranvia Pinerolo Perosa da parte di partigiani, che aveva provocato la totale distruzione di una vettura occupata da militari repubblichini con parecchi morti.

Rientrai a casa e riferii ad Ettore Serafino l’accaduto. Era contrario all’azione per due motivi.

Primo in quel periodo si faceva propaganda per invitare i militari della Littorio e della Monte Rosa a disertare e a venire con noi, secondo numerosi partigiani si trovavano prigionieri a Pinerolo in ostaggio, erano la quasi la totalità degli uomini della Banda del Tetu. Purtroppo questa azione portò alla loro fucilazione.

Un giorno non avendo scarponi mi recai a Perosa Argentina dal sig. Piero Reghin calzolaio che si trovava in Via Cavour.

Qui giunto entrai nel laboratorio per ordinare gli scarponi e prendere le misure. Gli scarponi li avrebbe poi ritirati mio padre.

Appena fuori, sul terrazzo, incontrai una signora (seppi poi che era la moglie di Giovanni Banzato, perseguitato politico, di origine veneta e qui confinato, ex ferroviere e temporaneamente operaio al C.V.S), che mi chiese se avevo fame. Al mio stupore mi assicurò dicendomi che lei ed il marito collaboravano con i partigiani tramite Domenichini, e mi avvisò che nella tasca dei pantaloni si vedeva la pistola, mi allontanai ringraziandola.

Alla liberazione Reghin come molti altri vennero a casa mia a prendere delle armi ed in quella occasione, mi informò che il giorno in cui ero andato a casa sua per gli scarponi, mentre prendeva le misure, in cucina c’era un tedesco che vista la pistola aveva esclamato a sua moglie "partisan",ma a lui non interessava.

Tedeschi

Un giorno un tedesco entrò in casa, passò in cucina chiese a mia madre delle uova, mentre noi eravamo nella camera accanto, fortunatamente poi si allontanò.

Per due volte dei tedeschi arrivarono con carri per prendere fieno e paglia senza però entrare in casa.

Le sorelle di Gaudenzio Bertetto abitanti alla Marotera, quando vedevano delle colonne di tedeschi o brigatisi provenienti da Pinasca salire verso Combalere, scendevano precipitosamente a Maurin per avvisarci, noi allora ci allontanavamo verso il rio di Comba Fredda.

La collaborazione della popolazione fu essenziale poiché senza questo aiuto incondizionato non avremmo potuto sopravvivere.

Brua della

Vecchia

Con Ettore Viotto e Dario Bonadeni venni incaricato da Gianni Gay che si trovava a Maurin di recarci ad Inverso Pinasca, in località Brua la Vecchia appena sopra a Fleccia.

Qui alle 10 della sera sarebbero dovuti arrivare alcuni militari della Littorio del presidio di Dubbione di Pinasca, che intendevano disertare e venire con noi.

Attraversai il Chisone sul solito tubo, incontrammo C A che collaborava e chiese di venire con noi.

Camminavamo appaiati sul canale della R.I.V. quando dissi che non era prudente restare tutti insieme. C A mi chiese se avevo paura, non gli diedi risposta e per prudenza avanzai di una ventina di passi dagli altri.

Appena arrivati nella località stabilita, sentii dei rumori, saltai dietro un muricciolo quando vidi saltare sopra di me Enzio Coucourde mi puntava il parabellum, ebbi il tempo di dirgli "Cit Cit sei Gino", per farmi riconoscere.

C A non l’ho più visto fino alla liberazione, lui non aveva paura!!

Purtroppo lo stesso incarico era stato dato a partigiani di Inverso con il rischio di spararci a vicenda. I repubblichini non li vedemmo.

Taglio

Capelli

Una sera a Dubbione di Pinasca trovai Maggiorino Marcellin che con altri era sceso da Gran Dubbione, si trattava di tagliare i capelli ad alcune ragazze che fraternizzavano con i militari della Repubblica del presidio di Dubbione.

Non ero d’accordo con queste azioni, non tanto per le punizioni contro queste ragazze, quanto per il pericolo che si poteva correre. Nel paese circolavano pure i repubblichini, e quindi ritenevo assurdo incorrere in seri pericoli per azioni di nessun valore militare.

Quando raparono la prima ragazza io mi trovavo fuori di guardia, sentii solo il padre che inveendo contro la figlia diceva "tagliatele la testa".

La seconda ragazza sorella di un partigiano, dopo essere stata rapata, indicava di andare nella casa vicina poiché la ragazza che abitava era colpevole.

Divorzio

All’Italiana

Con Gianni Gay fui invitato da una signora di Dubbione di Pinasca sorella di un partigiano. Ci mostrò il tesserino del marito che apparteneva alla Repubblica Sociale Italiana, intendeva che lo arrestassimo.

Un’altra signora di Perosa Argentina ci aveva invitati a casa sua per informarci che il marito, che lavorava a Cimena, località in cui era stato trasferita parte della lavorazione dello stabilimento R.I.V.di Villar Perosa dopo il bombardamento del 3 gennaio 1944, intendeva formare un gruppo di partigiani, denominato Enrico Gay e che sarebbe stato un modo poi di denunciare i componenti alla R.S.I. Erano due modi di avere un divorzio all’Italiana in quell’epoca.

Giuseppe

Costantino

Giuseppe Costantino, con un esercizio di macelleria a Perosa Argentina ricevette una lettera di ricatto, doveva versare una somma di L. 500.000.Venne da noi per cercare di smascherare i ricattatori.

La somma, come indicato nella lettera doveva essere depositata alle ore 10 di sera all’imbocco del rifugio antiaereo di Pinasca costruito nei pressi del cimitero e sull’entrata orientata verso Perosa.

La sera all’ora indicata per il deposito della somma al luogo indicato mi trovavo con Aldo Long. Eravamo nascosti dietro il muro di sostegno della strada, sulla parte opposta all’imbocco del rifugio, mentre altri si trovavano a monte della strada.

All’ora stabilita arrivò Bruno Costantino il figlio di Giuseppe. Quando questiq giunse alla nostra altezza vidi Aldo Long saltare fuori e puntare l’arma al Costantino, che saltò giù dalla bicicletta con le mani alzate tremante e con il pacco in mano. Saltai fuori anch’io pronunciando il mio nome, comprese che non eravamo i ricattatori, lo invitai a depositare il pacco contenente giornali, all’imbocco del rifugio come avevamo precedentemente convenuto e ad allontanarsi.

Verso mezzanotte Aldo Long ritornò a Inverso, io rimasi fino alle quattro del mattino poi anch’io mi allontanai.

L’azione del Long aveva annullato l’eventuale scoperta del colpevole del reato.

Attilio Pons

Un gruppo di partigiani G.L. della Val Germanasca erano scesi dalla montagna. Erano soliti fermarsi a Masselli di Pomaretto nella casa di Gino Chambon dove erano sempre ben accolti. I partigiani dichiararono che erano scesi, poiché dovevano arrestare Attilio Pons.

A queste affermazioni Gino Chambon che era il cognato del Pons, rimase stupito e pensò che ci fosse un equivoco.

Si accertò che il Pons titolare delle Pompe Funebri dovendo effettuare un funerale.Si era recato presso il comando tedesco all’Albergo Nazionale di Perosa Argentina ed aveva indicato con il braccio al comandante tedesco la zone dei Cerisieri di Pomaretto dove sarebbe sceso con un funerale, si sapeva infatti che nelle zone montane quando ci fossero stati gruppi di persone i tedeschi avrebbero aperto il fuoco.

Alcuni presenti visto il Pons con il braccio teso verso la montagna, avevano riferito ai partigiani che indicava ai tedeschi dove si trovavano.

Colllaboratori

dei tedeschi

Inasieme a Gianni Gay ebbi un colloquio con un commerciante. Questi collaborava con i tedeschi e da parte partigiana si era prospettata la fucilazione, ma poiché era padre di una numerosa famiglia, si decise di avvisarlo del pericolo che correva e chiedergli di desistere dall’avere rapporti con i tedeschi.

Cappello

Con Gianni Gay ebbi nei pressi del Bacino R.I.V. ad Inverso Pinasca un incontro con Cappello di Perosa Argentina, militare nelle Brigate Nere di Pinerolo che collaborava con noi.

Ci aveva avvisato che i tedeschi sarebbero venuti a casa mia a seguito della scomparsa di un loro commilitone.

Aveva aiutato a fuggire due partigiani di Perosa Argentina Oreste Bertalotto e Angelo Roncaglia (Piuma) prigionieri, nella casa Littoria di Pinerolo.

IL 5 gennaio 1945 erano stati arrestati in Pinerolo i giovani partigiani Angelo Roncaglia ed Oreste Bertalotto che furono da Novena ferocemente percossi.

Roncaglia era stato da Novena ammanettato e percosso per tutta la notte, entrambi erano stati condannati a morte mediante impiccagione.

Cappello avveva avvisato il padre di Roncaglia, il quale si era recato a trovare i giovani, li aveva convintic ad iscriversi nella brigata nera, e poi, ottenuto il permesso di portarli fuori, li aveva fatti fuggire.

Alla liberazione Cappello venne catturato da partigiani in pianura, fu portato a Pinerolo, durante un processo venne individuato da Ettore Serafino e in base alle sue dichiarazioni riuscì a salvarsi.

Venne poi ancora processato a Torino, processo contro le Brigate Nere di Pinerolo dove al comandante Novena erano stati attribuiti ben 195 omicidi. Cappello venne salvato dalle dichiarazione di Angelo Roncaglia.

 

 

Pasqua 1945

Verso la Pasqua del 1945 il pastore Guido Mathieu fece il culto ad Inverso Pinasca poiché numerosi erano i valdesi nei partigiani.

In quella occasione ci trovammo insieme alla Santa Cena. a Clot di Inverso Pinasca, Aldo e Marcello Long, Gianni Gay, Valdo Coucourde, Vola Federico, Giorgio Bertetto, Cesarino Castagna ed io, come risulta da una fotografia fatta in quella occasione.

Lanci

Nel maggio 1944 era atteso un lancio a Balziglia, ma erroneamente finì a Rodoretto. I partigiani accorsero sul posto ma trovarono diversi contenitori vuoti, specialmente quelli delle armi, che erano state sottratte dai valligiani. Solo in parte vennero recuperati.

Il 25 maggio aerei Alleati effettuarono un lancio nella zona di Depot. Si recuperarono parabellum munizioni, esplosivo plastico e medicinali, sparsi nelle pinete sotto ai sanatori Agnelli.

Il 10 giugno 1944 venne effettuato un lancio, avvisato da un valligiano Don Giuseppe Marabotto parroco di Cesana salì alle bergerie del Thuras, trovò diversi contenitori forzati ed alcuni vuoti, restavano tuttavia armi automatiche in abbondanza, sten con munizioni, tritolo, indumenti di lana e viveri che vennero nascosti.

Trovò pure una radio trasmittente che nascose a casa sua,

informò poi i partigiani della Val Chisone e della Val Sangone per il recupero.

In quei giorni mi trovavo al Laux. Ero stato incaricato di recarmi in Val Thures, poi ricevetti un contrordine e fui inviato di guardia alla postazione del Laux.

A seguito del lancio, Don Marabotto venne arrestato dai fascisti di Cesana, fu torturato e poi trasferito in via Asti di Torino. Fu condannato a morte e rinchiuso nella cella di punizione " il buco", nelle carceri delle Nuove di Torino. Miracolosamente scampò alla fucilazione, venne liberato il 26 aprile 1945.

Negli anni successivi scrisse il libro "un prete in galera" Ho una sua dedica sul suo libro " Don Marabotto Giuseppe venti anni dopo ai Ciom di Cumiana 4 ottobre 1964.

Il 26 novembre 1944, a seguito delle richieste di Marcellin con Pat della missione inglese, venne da questi ordinato un lancio per la Val Sangone e Val Chisone.

Il lancio in Val Sangone coincise purtroppo con un attacco nazifascista nella zona per cui cadde totalmente nelle mani nemiche.

 

 

 

 

 

Aerei Alleati

Caduti

La notte del 13 ottobre 1944 alle ore 20.30, un aereo alleato proveniente da Foggia per effettuare un lancio nella zona, cadde al Freidur (1445) la fiammata dell’urto venne avvistata dai nazifascisti di Pinerolo, che salirono sul luogo dello schianto, trovarono tutto distrutto, qui erano caduti otto aviatori alleati.

In quella sera a causa di temporali e cattivo tempo in Italia settentrionale dei 15 aerei partiti ben 6 non erano tornati.

Dopo 50 anni, il 18 settembre 1994 per interessamento dell’Amministrazione e della associazione Alpini di Cantalupa venne eretto un monumento al ricordo dei caduti. Alla cerimonia di inaugurazione vennero rappresentanti Inglesi e del Sud Africa a presiedere alla cerimonia.

Il monumento rappresenta due ali di aereo spezzate con alla base la famosa frase di Churchil. " MAI COSI’ TANTO- E’ DOVUTO DA COSI’ TANTI- A COSI’ POCHI"(1)

(1) Il Sindaco Giustetto Bello di Cantalupa, venuto a conoscenza della caduta dell’ aereo alleato avvenuta nell’autunno del 1944 sul Monte Freidur (1445), in territorio del Comune di Cantalupa, volle fare ricerche per individuare gli uomini dell’equipaggio.

Scrisse al Consolato Italiano a Londra al fine di mettersi in contatto con gli archivi militari.

La risposta fu che per individuare l’equipaggio dell’ aereo si doveva sapere il giorno della caduta.

Il Bello fece diverse ricerche ma la zona delle borgate in montagna i cui abitanti avrebbero potuto dare indicazioni erano purtroppo disabitate.

Trovò finalmente a Talucco un uomo di 50 anni che gli indicò il giorno e l’ora. Il sindaco chiese come facesse ad essere in possesso di dati così precisi. L’uomo gli disse che nel giorno e all’ora della caduta dell’aereo era avvenuta la sua nascita: 13 ottobre 1944 alle ore 20,30.

Già nel 1945 a Serre Marchetto per interessamento del Comune di Pinasca era stata collocata sul retro del pilone al colle una targa con la scritta:

Ai

Gloriosi caduti

Italo Anglo-Americani

Agli eroi degli aviolanci

Ai Patrioti

Immolati

Nella

Sanguinosa guerra

Per

La liberazione dei popoli

5 luglio 1945

Nel tardo autunno del 1944 un altro aereo alleato cadde caduto sulle pendici del Gra Mioul (m.2899) in alta val Ripa, venne sommerso nella neve e si scoprirono i resti solo nella tarda primavera del 1945.

Venticinque anni dopo durante una gita mi trovai nella zona dell’impatto dell’aereo.

Qui trovai nascosto al riparo di una roccia un fucile ancora abbastanza efficiente.

Trovai pure una cartuccia della mitraglia da 20, tolta la pallottola estrassi della polvere di colore grigio a quadretti.

Trovai pure una rotula che certamente era appartenuta ad un aviatore caduto.