QUARTA PARTE

L’insurrezione

Ho meno elementi per descrivere gli avvenimenti degli ultimi giorni.

Data la loro intensità ricordo molti particolari, altri purtroppo mi sfuggono. Non rammento dove e quando ho dormito in quei giorni, alcune notti dovevo fare collegamenti tra il Comando di Divisione che aveva posto la sua sede a casa mia ai Maurin di Pinasca, con i distaccamenti della 1° Banda Enrico Gay a Inverso Pinasca, a Vivian, a Fleccia alla Faiola ed a Albarea di Pinasca, a Gran Dubbione ed a Maurel di Dubbione.

22 aprile 1945

Arrivò a Maurin Lorenzo Vanossi (Alpi) esperto in atti di sabotaggio. Aveva combattuto in Africa Settentrionale nella divisione Folgore, ad El Alamein, era stato ferito gravemente ed era rientrato in Italia prima della disfatta.

Aveva nel suo zaino, plastico, tritolo, detonatori, congegni per sabotaggio.

Nel sabotaggio alle linee elettriche, legate le cariche ai pali, e collocato l’innesto, veniva regolato il tempo voluto per l’esplosione.

Nel sabotaggio ai treni venivano deposte delle cariche esplosive sulle rotaie unite tra loro, in modo che con il passaggio del treno si recidesse il filo di collegamento fra le cariche provocandone l’esplosione.

Quella mattina venimmo informati che una colonna di Alpini della Monte Rosa con cavalli era giunta a Combalere proveniente da Pinerolo per arrendersi a noi; appartenevano al Batg. Tirano. Un militare tedesco che non aveva voluto arrendersi era stato ucciso, gli alpini con i cavalli si erano sparpagliati nei prati a valle della statale verso il Chisone.

Partii per Inverso diretto a Flecci con Alpi che mi consegnò il suo zaino raccomandandomi di non provocare urti violenti, perché conteneva esplosivi al plastico. A questo punto mi venne in mente il giorno in cui Guido Rostagno di ritorno dalla courvèe in Francia ad Abriès il 21 marzo 1945 aveva avuto una sparatoria con una pattuglia tedesca ed Oreste Breusa era stato ferito gravemente ad un braccio che fu poi amputato. Guido Rostagno aveva avuto lo zaino colpito da una pallottola.

Rammentando quel fatto mi chiedevo cosa mi sarebbe successo se fossi stato colpito da una pallottola allo zaino pieno di esplosivi.

Da Maurin passammo ad Airali. Attraversammo la statale nel centro abitato di Pinasca, arrivati sul ponte di Inverso incrociammo alcuni alpini della Monte Rosa, che appena ci videro si misero sull’attenti e ci salutarono militarmente. Eravamo i primi partigiani che vedevano, si diressero verso i prati al recupero dei cavalli che avevano abbandonato a Combalere.

Arrivato a Fleccia vidi tre autocarri militari carichi di viveri e vestiario. Con l’aiuto della popolazione il contenuto venne portato ai Bout Pons e nascosto in una vecchia galleria in disuso della grafite.

Gli autocarri passando poi per Pomaretto vennero nascosti sulla strada del Lauson di Faetto.

Mi venne ordinato, con Giuseppe Zulin, di recarmi al bacino della R.I.V. a lnverso con l’incarico di impedire il passaggio di civili verso Fleccia, al fine di non fare vedere lo scarico degli autocarri. Marcello Long con mitragliatore collocato nei boschi sopra la centrale aveva il compito di bloccare eventuali arrivi di tedeschi da Perosa.

Arrivarono due donne che conoscevo, una era Evelina Volat che intendevano recarsi a Fleccia per prendere del pane. Le fermai dicendo loro che non si poteva andare oltre, alla domanda della donna che chiese il motivo, Giuseppe Zulin disse loro che non dovevano vedere che a Fleccia i partigiani stavano scaricando degli autocarri.

A questo punto le lasciai passare.

Alla sera salii ai Bout Pons dove trovai gli alpini della Monte Rosa che erano passati con noi, 54 uomini con 35 cavalli e tre autocarri carichi di materiale.

A notte rientrai a Maurin, incontrai Daniele Contessi sergente degli alpini a colloquio con Ettore Serafino, era stato uno degli organizzatori per la resa.

23 aprile

Salii a Gran Dubbione dove erano stati portati gran parte dei cavalli. Incontrai Nino Torretta che il 28 aprile sarebbe caduto con Sergio Ferrero al bivio di Cumiana. Furono gli ultimi caduti della Val Chisone.

24 aprile

La mattina salii ad Albarea di Pinasca dove si trovava il distaccamento di Luigi Gariglio.

Nel Pomeriggio mi trovai a Vivian. Dovetti nascondermi dietro il canale della R.I.V. per evitare di essere visto dalla colonna di tedeschi che stava scendendo sulla statale, che di tanto in tanto sparava raffiche intimidatorie.

25 aprile

Con Gianni Gay da Maurin scesi a Fleccia. Prendemmo due cavalli, arrivammo nei pressi di Rivoira, una colonna tedesca che transitava sulla statale sparava cannonate verso Marotera. I colpi partivano a meno di cento metri, passavano sopra di noi. Gianni spronò il suo cavallo e partì al galoppo, mentre io continuavo ad andare al passo. Arrivato oltre la scuola scesi da cavallo e lo consegnai ad un valligiano, proseguii a piedi perché mi sentivo più sicuro.

Arrivati al ponte di Inverso vidi civili che stavano otturando i pozzi che i tedeschi avevano aperto per porre le cariche esplosive, cosa che avvenne anche al ponte di Perosa.

Da Fleccia Gianni Gay accompagnato da Ettore Viotto scese alla centrale della R.I.V. a Grange, per incontrarsi con il comandante tedesco del presidio di Villar Perosa per trattare la resa.

A notte venni incaricato di scendere alla borgata Grange poiché si aspettava una risposta del comandante tedesco tramite l’Ing. Bertolone.

Scesi accompagnato da C.A, che era sprovvisto di armi, gli consegnai la mia pistola. Arrivati all’altezza del cimitero di Vivian, scorgemmo arrivare verso di noi una macchina con i fari bleu, per la protezione antiaerea. Ci buttammo con la bicicletta giù nella scarpata.

Passata la macchina proseguimmo verso la centrale di Grange. Appena giunti, suonai il campanello, uscì il segretario comunale di Villar Perosa, il quale ci avvisò che l’Ing. Bertolone era salito a Fleccia. Era la macchina che avevamo incontrato.

In quel momento C.A puntò la pistola alla gola del segretario, che alzò le braccia e rovesciò la testa all’indietro. Con il calcio del parabellum diedi una botta sul braccio a C A prendendogli l’arma

Purtroppo c’erano persone che avendo una arma in mano si sentivano forti, non ho mai capito quel gesto.

Quella sera l’Ing; Bertolone direttore dello stabilimento R.I.V. con Gianni Gay arrivò a Maurin e consegnò ad Ettore Serafino, una lettera sigillata, conteneva il messaggio dell’insurrezione "ALDO DICE 26 X 1 PIANO E 27"(1).

Tutte le forze partigiane dovevano essere pronte per le operazioni per il giorno 26 come ordinato dal C.L.N.

 

(1) Il piano "E 27", preparato nell’autunno 1944 e successivamente modificato fino all’ordine esecutivo del 24 aprile unificava le formazioni partigiane, non più suddivise per appartenenza politica ma in base a criteri territoriali.

Aveva come comandante Tonino Guermani.

Il piano E 27 prevedeva i seguenti compiti operativi.

La 41° Divisione unificata (comprendente la 4° Divisione ex G.L. Laghi, il battaglione ex Matteotti "Martorelli" la Brigata ex autonoma "Monte Albergian").,al comando di Ferrua, in alta Val di Susa e valle Cenischia, assicurerà l’efficienza delle centrali idroelettriche e delle opere stradali della zona ed opererà su Susa in cui Laghi costituirà un comando presidio.

La 42°e 46° divisione unificate (già 3° e 13° Garibaldi ), rispettivamente al comando di Negro e Massimo in media e bassa valle di Susa, opereranno oltre Rivoli sul 1° e 2°settore cittadino (zona Borgo San Paolo-Martinetto).

La 43° Divisione unificata (già autonoma "Sergio De Vitis"), al comando di Giulio Nicoletta, opererà sul 3° settore cittadino (zona Fiat Mirafiori-caserme di corso Stupinigi) provenendo dalla val Sangone.

La 44° Divisione unificata (comprendente la Brigata ex autonoma "Monte Albergian" e la Bigata ex GL "Val Germanasca ") al comando di Ettore Serafino in val Chisone-Germanasca-Pramollo, assicurerà l’efficienza delle opere stradali e dei centri industriali della zona e occuperà Pinerolo in cui Giovanni Costantino costituirà un comando presidio

La 45° Divisione unificata (già 5° GL "Sergio Toja") al comando di Poluccio Favout, opererà sul 4° settore cittadino ed in particolare nella zona fortificata di Corso Vinzaglio e corso Castelfidardo. proveniente dalla zona di Vinovo; lascerà una Brigata in val Pellice per la protezione degli impianti e per il servizio di polizia e di sicurezza.

26 aprile

Venne preparata dal Comandante Ettore Serafino la lettera per la resa dei tedeschi di Perosa Argentina. Venne scritta in francese con l’aiuto di mia madre. La lettera fu consegnata alla staffetta Viola Lageard che si offrì per la consegna, dato che il figlio dell’Ing. Gutermann ed il parroco di Perosa Argentina si erano rifiutati.

In bicicletta Viola arrivò davanti all’albergo Nazionale di Perosa Argentina, sventolando un fazzoletto bianco, come segno di richiesta parlamentare. Dagli Enfous i partigiani cominciarono a sparare, riuscì ad arrivare nella villa e consegnò la lettera. Le venne chiesto da chi l’avesse avuta. Rispose che aveva incontrato dei soldati in divisa da alpino con le stellette, che l’avevano costretta a compiere la missione e si erano qualificati come partigiani ed attendevano la risposta.

Il ritorno lo fece a piedi poichè le venne requisita la bicicletta.

Al distaccamento di Luigi Gariglio della 1° Banda venne ordinato di muovere all’attacco delle postazioni tedesche nella villa Gutermann di Perosa Argentina. Dove si trovava il comando, sparando dal forte di Perosa, nel frattempo colonne nemiche stavano scendendo e sparavano verso la ridotta di Perosa Argentina dove attualmente si trova il faro in memoria dei Caduti, i proiettili che scavalcavano la collina esplodevano dietro casa mia a Riveirogna.

Eravamo venuti in possesso di un bazooka tubo metallico lanciarazzi. Nessuno di noi riusciva a caricarlo poiché si trattava di spingere una grossa molla. Mio padre che era uomo di 130 kg. lo prese e con un colpo deciso lo caricò.

Purtroppo in quelle azioni rimasero feriti Bruno Turbiglio e

Mario Cinquetti che vennero portati a Pagliere poi al Cottolengo di Pinasca e successivamente con la liberazione all’ospedale Civile di Pinerolo dove poterono ricevere le cure.

Io in quel momento avevo raggiunto Perosa alta, ritornai a Maurin poiché truppe in ritirata sulla statale mi avrebbero trovato allo scoperto.

Nel pomeriggio mi recai a Vivian, qui appresi che truppe tedesche provenienti dalla valle avevano trucidato diverse persone a Villar Perosa.

Arrivato a casa appresi che tre tedeschi erano stati catturati al ponte del Castelnuovo mentre stavano minando con bombe, che vennero da parte della popolazione portate in un ripostiglio dietro casa mia. I prigionieri furono portati a Pagliere.

Nel loro passaggio a casa mia venne abbandonato un elmetto che posseggo tutt’oggi.

27 aprile

La mattina del 27 aprile scesi a Dubbione di Pinasca con l’incarico di avvisare il distaccamento di partigiani che si trovavano nella zona di non scendere a Villar Perosa e di lasciare libero passaggio alle truppe tedesche in ritirata che scendevano dalla valle, per evitare rappresaglie.

Raggiunsi la borgata Maurel dove trovai alcuni partigiani.

Vedemmo una colonna tedesca sulla statale che stava scendendo sparando colpi di cannone dai carri armati alle borgate ai lati della strada.

Il proprietario della casa in cui ci trovavamo, nel timore che la sua casa potesse essere bersaglio di cannonate, ci invitò ad aiutarlo a portare i sacchi di grano posti al primo piano ad un altro fabbricato sul retro. Avevamo appena terminato il trasporto, quando improvvisamente una cannonata colpì la casa, quindi una seconda colpì la pianta di castagno adiacente alla casa. I rami caddero colpendo un partigiano al capo, procurandogli una profonda ferita.

Io cercai di buttarmi dietro la seconda casa quando arrivò un terzo colpo seguito da un quarto. Prestate le prime cure al ferito inviammo una staffetta al Cottolengo di Pinasca, dove si trovava un dottore perché provvedesse alle cure.

Raggiungemmo Dubbione e quindi attraversammo la statale all’altezza dell’attuale condominio San Paolo. Vedemmo una colonna tedesca che sbucava dal Cottolengo, proseguimmo a passo normale fino a raggiungere la scarpata del Chisone. Qui non più visti, di corsa attraversammo il Chisone raggiungemmo la provinciale e proseguimmo per Faiola.

Era notte, ci trovavamo in una piccola cantina. Udimmo una forte esplosione seguita da un’altra, lo spostamento d’aria ci spense la candela accesa per la luce nel locale. Capimmo che la seconda esplosione era dovuta alla distruzione del ponte delle Balze.

A questo punto capimmo che i tedeschi si erano allontanati, quindi ci venne dato l’ordine di entrare a Perosa.

Mentre stavo scendendo sentii il rumore di una motocicletta sulla provinciale. Seppi poi che era Gianni Gay con Viola Lageard che entravano per primi a Perosa. Gianni si diresse immediatamente a casa sua dove in cantina erano rifugiate diverse persone.Non sapevano che i tedeschi si erano allontanati e che il tremendo scoppio era dovuto alla esplosione della polveriera a Brancato che provocò gravissimi danni alla zona.

Noi, passato il ponte di Inverso, mentre salivamo la strada, all’altezza delle case nuove, sentimmo che la popolazione consapevole della liberazione ci applaudiva. Rammento una voce femminile che diceva (Ca sun bei); raggiungemmo l’albergo Nazionale, grande fu l’emozione di trovarci con persone che da oltre un anno non vedevamo, e di sentirci liberi e di festeggiare insieme. Ad un certo punto Leo cancelliere della Pretura di Perosa Argentina, che aveva denunciato il Pretore come perché collaboratore con i nazifascisti che era stato fucilato, quella sera si era aggregato a noi. Con modo arrogante ordinò ai civili presenti di rientrare alle loro case. Alessandro Berutti salumiere, sorpreso, gli rispose che non era ancora trascorsa un’ora da quando si erano allontanati i tedeschi che già arrivavano altri a dare nuovamente ordini.

28 aprile

Verso l’alba venni incaricato di scendere a Dubbione per rintracciare un nostro distaccamento con l’ordine di farlo entrare a Villar Perosa. Raggiunsi in bicicletta in Via Fenestrelle la casa di Augusto Clot e con grande sorpresa scoprii che era stata distrutta, incendiata dai tedeschi. Era una casa in cui nutrivo bei ricordi e che frequentavo, poichè ero stato compagno di scuola di Augusto Clot.

La mattina del 28 aprile scesi a Villar Perosa, il grosso degli uomini entrò a valle mentre io con altri scendemmo dal Municipio. Qui vidi su un paracarro un giaccone tedesco abbandonato che non toccammo per timore che potesse essere minato.

Raggiunsi la piazza dell’Alpino, qui trovai un compagno di scuola, era incredulo che fosse finita, poichè già due giorni prima erano entrati a Villar Perosa i partigiani, seguiti purtroppo da una colonna tedesca che aveva colpito a morte diversi uomini.

All’angolo dello stabilimento R.I.V, venni avvicinato dall’Ing. Bertolone che mi chiese dove si trovava il nostro comandante. Gli risposi che Guido Rostagno stava entrando a Villar da valle.

Mi invitò a salire in macchina per percorrere le vie di Villar, poiché sapeva che c’erano dei morti. Arrivammo nei pressi della Chiesa San Aniceto e sotto il porticato vedemmo otto caduti, fucilati dai tedeschi in ritirata il 26 aprile. Sette erano degli elettricisti della R.I.V. che stavano impiantando linee telefoniche. Erano stati catturati e benché in divisa da pompieri, erano stati immediatamente fucilati (1), con loro venne era stato ucciso il partigiano Giovanni Comba di Pomaretto. Lo guardai, rimasi impressionato dallo stato in cui era ridotto, a causa dalle numerose raffiche di mitra.

Nello stesso giorno venne effettuata una imponente e commovente sepoltura.

Rientrai a Perosa Argentina, qui verso sera vennero prelevati i tre militari tedeschi che dopo la loro cattura al ponte di Castelnuovo erano stati rinchiusi nelle carceri mandamentali di Perosa. Stavano per salire sul tram per essere portarti a Villar Perosa, quando il capo stazione Daniele, avvicinatosi sputò in faccia ad uno di loro, a quel gesto Gianni Gay gli diede un ceffone.

Vennero poi fucilati il giorno successivo a Villar Perosa.

Ero venuto in possesso dei loro documenti che conservai per poi inviarli alle loro famiglie, ma purtroppo mi vennero sottratti.

Con il prelievo dei tedeschi dalla prigione venne scoperto che un certo Mori, ex segretario politico del partito fascista, arrestato e che sarebbe stato rilasciato dopo pochi giorni si dava la morte impiccandosi.

In quei giorni un altro ex segretario politico dei partito fascista di Pinasca, Carlo Palmero residente a Perosa Argentina proprietario delle cave di gneis in Comune di Pomaretto, veniva punito con la somministrazione di olio di ricino, da parte di G. V. di Dubbione di Pinasca nel ricordo che lui stesso aveva ricevuto nel 1942 da parte del Palmero.

 

 

 

 

 

(1) I fucilati furono Pietro Bertone, Dante Alemani, Maurizio Bruno, Celesta Bourcet, Sincero Micca, Giuseppe Data, Luigi Godino.

Nel 1942 a seguito di un bombordamento Alleato su Genova, la popolazione aveva cercato riparo in una galleria, che purtroppo era stata chiusa da un cancello, le numerose persone terrorizzate avevamo trovato nella ressa la morte accavallandosi una sull’altra.

Su questo fatto G V. sul tram di ritorno dal lavoro dalla R.I.V. si era espresso con frasi antifasciste, che erano state riferite alle autorità.

Il Federale di Torino venuto a conoscenza aveva proposto di inviarlo al confino, a questo punto il Palmero, in qualità di autorità politica del Comune di Pinasca, era intervenuto dichiarando che avrebbe provveduto lui stesso alla punizione con la somministrazione dell’olio di ricino, ove evitare il confino e la perdita del lavoro, poiché il Viretto aveva una famiglia e per tacitare le minaccie di Torino.

Il Palmero nel mese di maggio 1944 al Bec Dauphin di Meano, vicino alla sua cava aveva lui stesso partecipato all’interuzione della strada fornendo anche l’esplosivo.

La notte del 28 la passai a Villar Perosa.

Pinerolo

29 aprile

Al mattino del 29 aprile scendemmo a Pinerolo. Appena giunto in via Duca degli Abruzzi nel tratto di strada che dalla piazza Cavour porta al Duomo, vidi arrivare di corsa verso di me una donna, la quale mi abbracciò e con lacrime di gioia esclamò "siamo liberi, siamo liberi".

In quei giorni in tutte le zone liberate era una esplosione di gioia. Chi ha vissuto quei momenti non li può dimenticare.

Non esisteva più il coprifuoco, erano terminati i bombardamenti, finiti i rastrellamenti, le rappresaglie, le fucilazioni, gli incendi. I partigiani dopo 20 mesi potevano entrare nelle città. I prigionieri dai campi di concentramento potevano rientrare alle loro case, come pure i civili sfollati. Era finita la guerra che aveva arrecato morte e distruzione.

Ma soprattutto era avvenuta una cosa meravigliosa : eravamo LIBERI e ciascuno di noi aveva la possibilità di esprimere la propria opinione.

Raggiunsi Piazza Cavour, diversi repubblichini catturati al Distretto Militare venivamo convogliati nella caserma Fenulli luogo di raccolta dei prigionieri.

Incolonnammo i prigionieri tra le rotaie del tram e li tenevamo protetti poiché il furore popolare era terribile, ci sarebbe stato un linciaggio, la popolazione urlava, tentava di aggredirli, specialmente le donne.

Con Giovanni Vincon compagni di scuola all’Istituto Tecnico Michele Buniva di Pinerolo per geometri, che avevamo interrotto per causa della guerra, entrai nell’aula di scienze: c’era una aquila impagliata, strappammo una penna ciascuno, mettendola come trofeo sul nostro cappello alpino.

Attraversai la strada ed entrai nella Casa Littoria sede delle Brigate Nere di Pinerolo che era stata abbandonata. Arrivato al primo piano in un locale vidi un mazzo di picozze. Passai oltre in un’altra camera vidi diversi partigiani, attorno ad una damigiana che sembrava contenesse vino chinato, si temeva fosse avvelenato. C’era Alessandro Richiardone un giovane che lavorava a casa mia e che nei giorni dell’insurrezione aveva voluto partecipare e scendere con noi.

Gli avevo dato il mio vecchio fucile 1941, che avevo ricevuto da Eugenio Juvenal al Laux. Data la sua altezza di m.1.50 l’arma toccava quasi in terra.

Prese un bicchiere e si assunse il compito di cavia.

Ritornai indietro vidi che purtroppo tutte le picozze erano sparite, Vittorio Clot ne aveva una, gli chiesi se me la dava. Gli offrii L.300, accettò, così venni in possesso della picozza che adoperai nelle mie numerose ascensioni in montagna. Era la mia unica preda bellica.

Nel periodo partigiano ricevetti nel mese di febbraio L.840 come arretrati e nel mese di marzo L.160, cioè L.10 dal 1° al 16 del mese.

 

 

 

Nel 1946 come premio di smobilitazione mi venne data una somma di L. 7.000.

In quel periodo con il mio amico Edoardo De Giovanni ed un suo cugino, eravamo andati in valle d’Aosta. Il nostro obbiettivo era il Cervino, pernottammo al rifugio Duca degli Abruzzi ed il giorno successivo arrivati alla testa del Leone dovemmo rinunciare per il cattivi tempo.

Ci spostammo ad Entrèves, meta era il M.Bianco raggiungemmo il rifugio Aiguilles du Midi (3842) attraverso la Vallèe Blanche. Anche qui il giorno successivo a causa del cattivo tempo dovemmo tornare indietro e quindi rientrare a casa.

Giunti a Pre St. Didier mi avvicinai alla biglietteria, pagai con un biglietto in amlire da L. 5.000. L’impiegata prese una forbice per tagliarlo, perché era falso, la fermai dicendole che sapevo da chi lo avevo ricevuto; era l’ufficio Postale di Pinasca, quindi lo sbarrò con una matita bleu e me lo consegnò. Fortunatamente i mie amici pagarono loro il biglietto di ritorno.

Alla sera arrivato alla caserma dove si trovava il comando divisone della Val Chisone, venni incaricato di portare alla caserma Fenulli dove venivano rinchiusi i repubblichini catturati una persona sospetta. Questa non fece alcuna resistenza, si lamentava dicendomi che non aveva fatto nulla. Gli risposi che in quel caso non aveva da temere, lo consegnai alle guardie della caserma.

Al ritorno arrivato davanti all’Istituto Tecnico Michele Buniva, vidi un giovane armato, che con altri aveva costituito un posto di blocco e chiedeva i documenti e lasciapassare. Lo riconobbi, era sceso quel giorno, lo disarmai e lo invitai a rientrare a casa. Ritornai alla sede del comando dove pernottai.

30 aprile

Il giorno successivo procedendo verso il Palazzo Comunale con stupore vidi molte persone con armi e con modi spavaldi, chiesi ad uno di loro da quando era nei partigiani, mi risposero "dal 23 aprile!!"

Raggiunsi i portici, qui trovai un compagno di scuola, Eros Bertotto. Ci abbracciamo, mi informò che nel fienile di casa sua erano nascosti diversi alpini della Monte Rosa e mi chiese di lasciarli liberi, li vidi intimoriti, mi allontanai senza dir loro nulla.

Nel passare davanti alla caserma dove si trovavano i prigionieri si avvicinò un signore che mi chiese se avevo lasciato libero la persona che il giorno prima avevo portato in caserma, dicendomi che era stato un collaboratore con la R. S. I.

I partigiani della divisione Autonoma Val Chisone Adolfo Serafino unitamente alla divisione G. L. della Val Pellice Sergio Toje sfilarono per le vie di Pinerolo con grande applauso della popolazione. Io ero con Delleani davanti con i cani San Bernardo. In testa c’era Ettore Serafino comandante della Divisione, seguito dai capi Banda e quindi dai partigiani, arrivammo davanti al palco delle autorità dove si trovava pure Maggiorino Marcellin.

Ettore Serafino lo invitò a scendere per sfilare con noi, ma non si mosse.

Scendemmo poi a Torino ma il ricordo è vago. In via Sacchi sentii degli spari, sembrava fossero dei cecchini.

Passai per via Carlo Alberto vidi per la prima volta militari Alleati della V Armata di colore dietro ad una recinzione al lato della strada che ci guardavano passare. Penso che lo stupore fosse reciproco.

1 maggio

Il primo maggio si ebbe la grande sfilata dei partigiani Piemontesi. Anche qui sfilai con il cane San Bernardo in testa alla divisione seguito dal Comandante Ettore Serafinio, capi banda e Partigiani. Enorme fu il flusso e l’emozione della popolazione.

Nei giorni seguenti Amalia Fra che divenne poi la moglie di Mario Caffer, fratello di Ezio medaglia d’oro caduto a Villaretto il 30 luglio 1944 e di Dario medaglia d’argento caduto al Ghinivert il 19 agosto 1944 e di Renzo che era stato prigioniero in Germania vide esposte presso una agenzia a Torino, le numerose fotografie della sfilata della nostra Divisione per cui potemmo avere un gradito ricordo.

Fiera di

Pinerolo

Ai primi di maggio ci fu la fiera primaverile di Pinerolo. Partii con Gianni Gay da Perosa Argentina, gli pagai il tram. Non poteva entrare nella sua casa, che era abbandonata. I repubblichini avevano asportato tutto il mobilio, la madre e la sorella che erano state imprigionate e poi liberate si erano nascoste in diversi luoghi del Piemonte e non potevano rientrare a casa.

Giunti a Pinerolo ci recammo dallo zio di Gianni Ignazio Bessone che gli diede 5.000 lire. A fine guerra il Bessone che possedeva una fabbrica di calzature regalò a ciascun partigiano della Banda Gay un paio di scarpe.

Arrivammo in piazza Fontana, ci dirigemmo al banco della lotteria, Gianni comprò biglietti per 2.000 lire, successivamente spese ancora mille lire, e vinse un passeggino.

In quel momento delle signore che stavano osservando dicevano fra loro "già sono comandanti partigiani, hanno i soldi". A quel punto invitai Gianni ad allontanarsi.

Villa Villy Perosa

Il Comando partigiano aveva stabilito la sua sede nella Villa Villy di Perosa Argentina, adibita precedentemente a sede del comando militare tedesco. Non subì danni e venne poi consegnata al legittimo proprietario ora sede della Comunità Montana Val Chisone e Germanasca.

Venni a sapere che degli alpini della Monte Rosa che erano venuti con noi negli ultimi giorni intendevano uccidere il loro tenente.

Per proteggere il tenente, la notte lo facevo dormire sul balcone del primo piano della villa.

Io mi coricavo contro la porta, in modo che non fosse possibile forzare la porta che immetteva sul balcone.

Dopo alcuni giorni il tenente si allontanò e non seppi più nulla di lui.

Un giorno mi trovavo con Aldo Rossi, che benché lavorasse era sempre stato per noi una staffetta di collegamento. Eravamo seduti su due poltrone uno davanti all’altro, mi raccontava che era stato fortunato, poiché il giorno precedente quando con altri partigiani scendeva da Fenestrelle alcuni si erano diretti a Chambon, lui continuava verso Perosa.

Il gruppo di partigiani era arrivato a Chambon, ed era avvenuto un fatto molto grave, di cui non conosco i particolari, era stato ucciso il maresciallo dei carabinieri.

A seguito di quel fatto erano giunti alla villa di Perosa Argentina sede del Comando Partigiano, militari della polizia alleata alla ricerca dei partigiani che erano scesi a Chambon.

I colpevoli di quei fatti vennero identificati, arrestati, processati e condannati, non solo l‘esecutore materiale ma anche i presenti ai fatti.

Aldo Rossi si reputava fortunato di non essere sceso a Chambon.

Sempre quel giorno ad un tratto sentimmo un fortissimo colpo. Era partito un colpo dal Mauser che Rossi stava armeggiando. Dopo un primo momento di stupore, scoprimmo che la pallottola si era conficcata sul pavimento fra i miei due piedi, se il fucile avesse avuto un’altra inclinazione forse quel colpo sarebbe stata fatale per me. Avevo scampato un vero pericolo.

Qui in fureria con Guido Baret si trovava un militare della Wermach austriaco, uomo di circa 40 anni, sembrava nostro padre, era una persona colta che sapeva diverse lingue.

Pensavamo di aiutarlo ad entrare in Austria per mezzo degli autocarri del C.V.S. che da Perosa Argentina trasportavano filati a Tarcento nel veneto, e quindi con mezzi di fortuna avrebbe potuto raggiungere il Brennero.

Ma in quei giorni ci venne ordinato di consegnare agli Alleati i prigionieri, che concentrati a Coltano venivano tramite tradotte rimpatriati.

8 maggio

L’otto maggio al rientro nella villa vidi sparse in strada a Perosa Argentina dei ciuffi di capelli. Era successo che nella notte alcuni partigiani avevano rapato alcune ragazze e signore di Perosa Argentina, ritenendole colpevoli di aver fraternizzato con militari tedeschi o della R.S.I. del presidio di Perosa Argentina.

Rimasi colpito che alcune persone fossero state rapate, come la titolare della tabaccheria e moglie del commissario prefettizzio di Perosa Argentina. Per la sua carica ovviamente doveva avere contatti con le truppe di occupazione come pure altri commercianti.

9 maggio

Sabato sera del 9 maggio venne programmata una serata danzante nella sede ricreativa della Gutermann. Durante la festa venne proposto da parte di alcuni partigiani che fossero indicate le ragazze che avevano fraternizzato con i tedeschi.

Venne pronunciato un nome, che non ebbe risposta. Al secondo nome iniziò un tenue "si" che poi terminò con urla dei presenti.

La persona indicata si trovava vicino a me, mi invitò a lasciare libera la sedia su cui io mi appoggiavo, salì in piedi. Dopo aver ottenuto il silenzio da quelli che la incolpavano, invitò i presenti a venire davanti a lei a dichiarare direttamente uno a uno la sua colpevolezza.

Nella sala rimase un silenzio assoluto e non uno di quelli che precedentemente la incolpavano si presentò.

Questo fatto mi rammentò il giorno in cui a Pinerolo, ero stato incaricato di portare un prigioniero nella caserma. Qui giunto avevo vusto un partigiano che stava dando un ceffone ad un repubblichino, ed era imitato da un altro partigiano.

Avevo chiesto il perché di quelli atteggiamenti che non approvavo, il primo mi aveva risposto che quel repubblichino era colui che aveva partecipato all’incendio della sua casa, pertanto poteva anche essere giustificato, il secondo mi aveva detto, che visto che il primo aveva picchiato, picchiava anche lui senza alcun motivo.

Questi fatti mi richiamavano l’immagine delle pecore sul ponte delle Plane, dove una batteva le quattro zampe sul tavolato e tutte le altre la imitavano.

Nella villa a seguito di un bagno contrassi la scabbia.

Dovetti andare all’Ospedale Valdese di Pomaretto, dove fui isolato in uno stanzino. Venni spalmato di una pasta di colore giallo a base di zolfo, su tutto il corpo ad eccezione della faccia. Fui avvolto in un camice completamente impastato, in cui rimasi tre giorni, dopo di che guarito, ritornai in villa.

13 maggio

Eravamo stati a Pinerolo e a Torino, avevamo sfilato in quelle città, davanti ad una moltitudine festante e plaudente, ma ora dovevamo rientrare nella nostra valle.

Sergio Rol coadiuvato da altri partigiani, aveva percorso i diversi cimiteri della valle ed era andato sulle montagne dove in quei venti mesi di lotta i nostri caduti avevano trovato riposo senza avere sepoltura, poiché in quel periodo era proibito. Le salme vennero riesumate e portate a valle

Domenica 13 maggio in piazza Marconi di Perosa Argentina, con i parenti, i partigiani e tutta la popolazione, si rendevano le onoranze funebri ai nostri caduti.

Erano davanti a noi allineate 35 bare. Noi partigiani che assistevamo alla cerimonia attraverso quei legni vedevamo i loro volti dei nostri compagni nei momenti passati con loro

Anche negli anni successivi davanti alle lapidi sparse nei luoghi del loro sacrificio fino a tutt’oggi ritorna nella nostra mente l’ultimo loro ricordo.

In quei giorni venni a casa. Qui era tutto tranquillo, era terminato il via vai di partigiani, che dal 25 agosto 1944 al rientro dal rastrellamento quasi ogni giorno erano stati presenti e specialmente negli ultimi giorni, essendo stata scelta casa mia come sede del comando partigiano della Val Chisone.

Non essendoci più partigiani in casa mia madre nel vedermi mi disse "qui è tutto morto."

6 giugno

Il 6 giugno 1945 giorno della smobilitazione, parecchi di noi furono invitati da Viola, a casa sua, a Fleccia di Inverso Pinasca. La trattoria gestita dal padre, casa ospitale a tutti i partigiani, rischiò più volte in quel periodo di essere incendiata (era stata incendiata dai fascisti nel 1924). Viola ci offrì un pranzo d’addio. E’ sbagliato forse dire di addio, poiché negli anni successivi ed ora ne sono passati ben 54, Il 25 aprile il 19 agosto alla Balziglia ed il 4 novembre a Cantalupa ci troviamo assieme ed i ricordi di allora sono sempre presenti in noi. In quelle circostanze non occorrono discorsi ma poche parole o gesti per ricordare e comprendere quei lontani fatti.

Quel 6 giugno mi trovai vicino a Sandro Borda. Era appena rientrato dalla Germania, era stato catturato a Cotarauta l’11 ottobre 1944 ad Inverso Pinasca dove aveva trovato la morte Paolo Diena.

Deportato a Mathausen poi trasferito a Gusen località a circa 5 chilometri dove per i ritmi di lavoro infernali e per le sevizie cui erano sottoposti, pochi prigionieri erano riusciti a sopravvivere.

Borda era spaventosamente magro: alto 1.80 pesava 42 kg. Era stato liberato già dagli americani dal 5 maggio, gli mettemmo un cuscino sulla sedia ed un altro dietro la schiena per permettergli di stare seduto

Pensavo quanto fosse stata grande sua sofferenza per la fame; dal ritorno del rastrellamento dell’agosto 1944 era stato una quindicina di giorni a casa mia. Io in quel periodo ero andato in Francia, al ritorno mio padre mi disse scherzosamente "avrà mangiato una fornata di pane". Dormiva nei boschi e ai pasti veniva in casa.

Mi disse che era difficile raccontare cosa era stata la sorte degli internati di Mathausen Gusen e poter far credere ai racconti dei superstiti.

Negli anni successivi leggendo i libri dei superstiti " Se questo è un uomo " di Primo Levi, " Tu passerai per il camino " di Vincenzo Pappalettera, e di molti altri mi resi conto delle veridicità dei suoi racconti di allora.

 

 

 

 

 

Dal suo racconto:

A Gusen nella baracca dove i prigionieri erano ammucchiati nei castelli in quattro per ogni giaciglio di 80 centimetri con lui si trovavano un altro italiano e due russi.

Nella notte uno dei russi per gli stenti morì, alla mattina scoprì che era stato sventrato e l’altro russo gli aveva mangiato il fegato.

Il suo compito oltre alle ore di lavoro, era quello di portare i morti al crematorio.

Sandro Borda dopo la liberazione si trasferì in Perù dove a causa del suo fisico debilitato non sopravvisse a lungo.

In quel giorno arrivò pure dalla prigionia dalla Germania, Adolfo Siondino di Inverso Pinasca. Dopo un caloroso saluto ed al nostro invito di fermarsi con noi, disse che era ansioso di arrivare a casa dai suoi.

A questo punto pensando che i tedeschi gli avevano bruciato la casa e che noi partigiani avevamo fucilato la madre ed il patrigno, lo invitammo a salire in una saletta al primo piano della trattoria dei Fiori, poiché spettava a noi spiegare direttamente a lui cosa era successo. Alla nostra esposizione dei fatti, non disse nulla e non ho mai sentito che successivamente avesse avuto rancori verso i partigiani.

Lui in Germania era stato fortunato, fatto prigioniero nei Balcani, era stato inviato nei campi di concentramento ed era poi stato inviato in una fattoria per la cura del bestiame.

Mangiava a tavola con i proprietari della fattoria, prima dei pasti veniva fatta la preghiera. Al termine della guerra lo avevano invitato a rimanere con loro, lo avevano trattato come un figlio.

Fra le testimonianze che furono fatte quel giorno rammento il racconto di mia moglie su ciò che era avvenuto in quella camera al primo piano della casa di Fleccia.

Il 4 novembre 1944 era arrivata la notizia del rastrellamento in zona di Cantalupa, il giorno successivo Viola aveva raggiunto in bicicletta San Martino di Cantalupa, qui aveva visto i corpi esamini dei 6 partigiani caduti, Adolfo Serafino, Eugenio Juvenal, Romolo Carrera, Domenico Ferrara, Rinaldo Rinaldi, ed Omero Rossini.

Al ritorno a casa, entrata nella stanza al primo piano aveva trovato Ettore Serafino, che già era venuto a conoscenza della morte dei 6 partigiani e fra cui il fratello. Stava scrivendo lettere indirizzate ai genitori e ai Comandanti partigiani della zona per informarli delle gravi perdite.

Improvvisamente ci fu il grido di Viola "i tedeschi i tedeschi". Ettore Serafino con un balzo saltò fuori dalla stanza, scese le scale verso il cortile, dove già si trovavano i tedeschi, si precipitò verso il Chisone, buttandosi giù per la ripa, seguito dalle raffiche dei mitra.

Viola ebbe il tempo di raccogliere il cappello alpino alcune lettere ed un caricatore del mitra sparsi sul tavolo e con rapida mossa riuscì a buttarli sul tetto.

Nella sparatoria era stato colpito a morte un avventore che si trovava nella trattoria Giovanni Gaydou di Dubbione di Pinasca.

Allontanatisi i tedeschi, mentre la madre sola poiché tutti erano fuggiti, ricomponeva il corpo dell’ucciso, Viola con Vera Mourglia munite da una torcia elettrica scendevano la ripa del Chisone nel timore di trovare Ettore Serafino, colpito dalle raffiche dei mitra.

Grande fu la gioia quando verso mezzanotte lo videro arrivare incolume.

Era ritornato nel timore che avessero subito rappresaglie.

In quella camera poco tempo dopo alla liberazione incontrammo Ferruccio Parri (1) non ricordo in quale circostanza.

Nel recarmi a scuola a Pinerolo, capitava che a volte militari sul tram nel vedere passare delle ragazze sulla strada si rivolgevano a loro con apprezzamenti volgari.

Pensavo quale era il contrasto con la situazione partigiana quando le staffette, nostre coetanee arrivavano in banda, qual’era il rispetto, l’ammirazione e la gratitudine che avevamo per loro, erano le nostre sorelle.

Il loro incarico era essenziale per i comandi partigiani, per i collegamenti da banda a banda, tra i comandi delle varie formazioni. Portavano notizie della valle, delle nostre famiglie, portando inoltre viveri medicinali e sigarette. Uno dei compiti per loro molto gravosi era quello di informare le madri della cattura o della morte del figli e di portare loro alcuni oggetti l’ultima lettera prima della loro morte a ricordo del loro caro. Viola Lageard aveva informatori a Pinerolo presso il comando tedesco pertanto aveva il compito di avvisare i comandi partigani dei rastrellamenti.

Aveva il compito di collegare la Brigata M.Albergian operante in Val Chisone con il (C.M.R.P.) Comando Militare Regionale Piemontese di Torino e quindi anche la Brigata M.Assietta operante in Val di Susa.

Da Inverso Pinasca in bicicletta dopo 40 km. raggiungeva Bruino, con il trenino, raggiungeva Torino in località a lei note, con parola d’ordine portava i messaggi della Val Chisone, prelevava quelli della val Dora, quindi in treno saliva a Meana, Salabertrand, Exilles, o Deveis, a secondo delle indicazioni ricevute. Pernottava a Meana da Emilia Baccon una staffetta amica quindi scendeva a Torino consegnava i messaggi della Brigata.M.Assietta e prelevava quelle della Val Chisone.

Quindi riprendeva il trenino a Bruino, inforcava la bicicletta passava a Cumiana al castello della Costa, presso le contesse, Provana di Collegno, dove si trovava il capitano Pat della Missione Inglese, e rientrava in valle consegnando i messaggi al Comando.

 

 

 

 

 

 

 

(1) Ferruccio Parri (1890-1981) designato presidente del Consiglio del governo formato dai partiti del C.L.N. 21 giugno 1945 diede le dimissioni il 24 novembre.

In questi anni prima con lei mia moglie, poi con i figli e nipoti abbiamo percorso i luoghi dove caddero i nostri compagni.

Periodicamente siamo stati invitati dagli insegnanti per rispondere alle domande degli alunni delle scuole elementari e medie

Siamo stati a Boves all’ inaugurazione da parte del presidente Segni del monumento dei caduti.

A Cuneo all’inaugurazione al monumento alla resistenza della Bisalta da parte del Presidente Pertini.

Al monumento di Prarostino e del Lis

Al sacrario dei 96 caduti in Val Sangone

A Cumiana al monumento dei 51 civili fucilati il 3 aprile 1944

A Roma alle fosse Ardeatine

A Marzabotto dove vennero fucilati 1820 civili

Alla casa dei sette fratelli Cervi

Al campo di concentramento di San Saba a Trieste

A Dachau a Mathausen e Gusen

In Olanda nella casa di Anna Frank

 

Sempre ci sono stati ovunque momenti di grande commozione con la domanda a noi stessi di come fossero mai stati possibili tanti orrori.

Sono passati oltre cinquanta anni da quel lontano periodo della lotta partigiana.

Ogni anno sono salito sui monti delle nostre valli, Chisone e Germanasca, con amici, con la moglie i figli i nipoti e da solo.

Ho ripercorso più volte viottoli, attraversato colli e mi sono fermato in località che mi rammentavano quei lontani giorni.

Rivedevo i compagni caduti Enrico, Dario, Renzo, Paolo, Gianni, Erminio…..

Ed inoltre i compagni scomparsi in questi anni, Dario, Umberto, Enzio, Guido, Isidoro….

Al ritorno da queste gite la sera prima del sonno, con il pensiero ripercorrevo l’itinerario della bella giornata trascorsa e mi tornavano alla mente fatti del periodo partigiano molto vivi che fino allora erano rimasti sopiti.

Mi chiedevo se non fosse il caso descriverli, tanto più che ero in possesso di una piccola agenda, dove avevo segnato per un certo periodo, giornalmente la località in cui mi trovavo, quindi mi risultava facile riportare gli avvenimenti di allora.

Ho cercato di descrivere i fatti vissuti nel modo più fedele possibile, ci potranno essere lacune imprecisioni od omissioni ma sono dovute al ricordo di fatti avvenuti oltre cinquanta anni fa.