LA VITA E LE OPERE DI
BIAGIO MARIN


di Bertazzolo Nicola

“HO SCRITTO SEMPRE IN DIALETTO PERCHE’ NON SAPEVO L’ITALIANO”:

Per introdurre il nostro poeta ho scelto questa dichiarazione, che rilasciò il 28 dicembre del 1976 a chi gli chiedeva come mai usasse il dialetto nelle sue opere.
Infatti Marin nacque e fece i suoi primi passi in campo letterario in una società che non era quella italiana: il nostro poeta ebbe una formazione mitteleuropea, e adesso vedremo il perché.

Biagio Marin nacque il 29 giugno del 1891 a Grado, un’isola che sorge nell’omonima laguna, lungo il litorale adriatico della Venezia Giulia. All’epoca Grado faceva parte dell’Impero austro-ungarico, come Gorizia, Trieste e l’Istria, le famose “terre irredente” che vennero annesse all’Italia nel 1918.
Figlio di un oste, Marin rimase orfano di madre nei primi anni di vita e venne allevato dalla nonna paterna.
A nove anni il giovane Biagio iniziò gli studi a Gorizia, dove poi frequentò il ginnasio di lingua tedesca, completando gli studi superiori a Pisino d’Istria alle Scuole Reali Superiori. In questi anni Marin inizierà a scrivere poesie in lingua tedesca, premettendo la sua vera aspirazione: quella di poeta e intellettuale in cerca di gloria.

Nel 1911 Marin si recherà a Firenze, dove avrà modo di frequentare l’ambiente letterario della “Voce”. La “Voce” era la più famosa rivista dell’epoca, che radunava le più diverse forze intellettuali, uniti nella convinzione che la letteratura fosse impegno completo e dovere morale. Molti aderenti a questa rivista saranno poi tra i più accesi interventisti e sovversivi.
Oltre a partecipare al dibattito culturale assieme a Saba e Slataper, suoi conterranei, il giovane Biagio Marin avrà modo di ammirare per la prima volta in vita sua i tesori d’arte di Firenze, così diversa da Gorizia, da Trieste e dalle altre città istriane che fino ad allora aveva sempre frequentato.
Dopo un anno di permanenza, Marin lascerà Firenze per Vienna, dove si iscrisse all’Università alla facoltà di filosofia.

Sebbene in crisi, Vienna esercitava ancora un fascino irresistibile nell’Europa Centrale. Le opere di Klimt e della “Sezession” di primo Novecento, le bellezze architettoniche e l’attiva vita culturale erano una manna per numerosi giovani in cerca di fortuna. Non a caso qualche anno prima un certo Adolf Hitler tentò, invano, di iscriversi all’Accademia di Belle Arti. In questa fastosa città Biagio Marin avrà modo di impossessarsi delle opere di Beethoven e di Bach, e di leggere autori russi e nordeuropei. Incontrerà anche un pedagogista austriaco, un certo Forster. Questo incontro risulterà decisivo nella vita di Biagio soprattutto per le sue scelte successive di studio e lavoro. In questo periodo Biagio Marin pubblicherà la sua prima raccolta di poesie in dialetto gradese: “Fiuri de tapo” (1912).

Dopo due anni di permanenza nella capitale, il giovane Marin decise di ritornare a Firenze. Appena arrivato si fidanzerà con Pina Marini, che sposerà l’anno seguente.
Mentre il giovane gradese si sposava a Firenze, Gavrilo Princip uccideva l’Arciduca Ferdinando a Sarajevo, scatenando la guerra mondiale. Biagio Marin sarà costretto a rientrare a Grado per assolvere agli obblighi militari, in quanto suddito dell’Imperatore Francesco Giuseppe.
Ciò non toglie che dopo un breve periodo il giovanotto di Grado riuscirà a raggiungere l’Italia e ad arruolarsi nel nostro esercito come volontario. Si vede come l’incontro con gli intellettuali fiorentini, in gran parte accesi interventisti, abbia influenzato il giovane più di Vienna e della cultura mitteleuropea.
Marin, scegliendo di combattere per il nostro paese, non proverà quel turbamento psicologico che molti personaggi, come il giovane deputato trentino Alcide De Gasperi, provarono all’entrata in guerra dell’Italia.

Finita la prima guerra mondiale nel 1918 con la vittoria dell’Italia e l’annessione del Trentino e della Venezia Giulia (compreso Grado, il suo villaggio natio) Biagio Marin completerà gli studi di filosofia all’università di Roma, dove si laureerà.
Dopo la laurea Marin tornerà a Gorizia (che non vedeva da almeno un decennio) e inizierà a insegnare filosofia e pedagogia alle magistrali, utilizzando un metodo di insegnamento particolare, che lo metterà in contrasto con il clero locale. Infatti, seguendo il pensiero del suo amico Forster, il professore Marin usò il Vangelo come testo pedagogico. A seguito della polemica con il clero il professore lascerà la cattedra, per diventare ispettore scolastico nel mandamento di Gradisca d’Isonzo, sempre in provincia di Gorizia.

Dopo alcuni anni comunque Biagio Marin lascerà anche questo impiego, in cambio di uno molto più prestigioso: nel 1923 infatti diverrà direttore dell’Azienda Balneare e di Cura di Grado, ruolo che ricoprì per ben 14 anni. In quegli anni la piccola isola della laguna era diventata un centro balneare alla moda, soprattutto per goriziani e triestini. Nella località si respirava ancora l’aria imperiale di inizio secolo: casette liberty, stabilimenti balneari e una vita cittadina vivace.
Come abbiamo già detto, Biagio Marin sarà direttore dell’Azienda di soggiorno per 14 anni: nel 1938 infatti lascerà la direzione e deciderà di ritornare all’insegnamento. A Trieste per la precisione, dove il professore Marin insegnerà letteratura, filosofia e storia. Ma dopo alcuni anni (tre per la precisione) abbandonerà ancora l’insegnamento, questa volta definitivamente, per un posto di bibliotecario alle Assicurazioni Generali, sempre a Trieste.

Nel frattempo Mussolini trascinerà l’Italia in un’altra guerra, che dopo alterne vicende porterà alla caduta del fascismo e all’armistizio nel 1943. A Marin la guerra aprirà una ferita molto dolorosa: il 25 luglio del 1943 (per amara ironia quel giorno crollò il regime fascista) il figlio Falco morirà in Slovenia, dove combatteva. Dopo l’8 settembre i soldati della Wehrmacht occuperanno tutta l’Italia, annettendo al III Reich la Venezia Giulia e L’Alto Adige.

Biagio Marin si trovò quindi a vivere nel territorio direttamente occupato dalla Germania. E si vide subito come si comportarono i nuovi padroni: a San Sabba, dove aveva sede una risiera costruita nei primi anni del Novecento, le SS costruirono un piccolo campo di concentramento, unico in Italia. Di qui, dal 1943 al 1945, passarono moltissimi ebrei italiani, alcuni spediti poi agli altri campi, altri invece gassati e cremati.

Non sappiamo se fu questa barbarie a far aderire Biagio Marin al CNL nel 1945, o se invece prese questa scelta perché aveva capito come la guerra volgesse al peggio per i tedeschi. Comunque Marin dovette essere un buon organizzatore, se il 27 aprile del 1945 fu investito della presidenza del Comitato di Liberazione triestino, dove in realtà erano i partigiani sloveni, inquadrati nelle armate di Tito, a dettare legge.

Nel dopoguerra Biagio Marin continuerà a lavorare per le Assicurazioni Generali nella sede di Trieste. Ebbe così modo di vivere in prima persona le vicende che interesseranno questa città. Infatti, dopo 40 giorni di occupazione jugoslava, a Trieste si insediò una giunta angloamericana che aveva il compito di amministrare momentaneamente la città e il suo circondario (formanti il Territorio Libero di Trieste). Dopo alcuni anni il TLT venne diviso in due “zone”: la zona A ad amministrazione congiunta angloamericana (con l’aiuto degli italiani), e la zona B amministrata dagli Jugoslavi. Dopo anni di polemiche e di movimenti di piazza, che causarono anche vittime tra la popolazione triestina, con i memorandum di Londra del 1954 si sbroglierà la matassa del confine orientale italiano con un sostanziale mantenimento dello status quo: l’Italia si annesse la zona A, che comprendeva l’attuale provincia di Trieste, mentre la Jugoslavia estendeva la sua giurisdizione civile sulla zona B, con capoluogo Capodistria.

Tornando a Biagio Marin, questi saranno gli anni che vedranno la sua ascesa pubblica: dal secondo dopoguerra il poeta gradese decise di pubblicare i primi volumi delle sue opere, che finora erano conosciute solo a una ristrettissima cerchia di persone. Dopo “Fiuri de Tapo” del 1912 (quando era studente a Vienna), infatti, Marin non aveva più pubblicato le sue opere. Nel 1949 quindi decide di raccogliere le sue poesie in un volume intitolato “Le litanie de la Madona”.

Dopo oltre un decennio di silenzio, Biagio Marin pubblicherà nel 1961 (ormai non lavorava più come bibliotecario) il secondo volume delle sue poesie, con il titolo “Solitàe”.
Oramai Biagio Marin inizia ad essere conosciuto al grande pubblico, cominciando a diventare uno dei maggiori poeti dialettali del Triveneto. Nel 1963 pubblica “Elegie istriane”, a cui seguiranno “In non tempo del mare” (1965) e “El mar de l’eterno” (1967). Nel 1970 il poeta deciderà di pubblicare tutte le poesie scritte fino a quel momento in un unico volume, che significativamente si intitolerà “I canti de l’Isola”, dove per isola si intende naturalmente Grado, dove il poeta è ritornato nel 1968 abbandonando definitivamente la città, ovvero Trieste.

Negli anni ’70 Marin continuerà a pubblicare, con cadenza biennale, le sue poesie: nel 1972 esce “La vita xe fiama”. Durante il decennio usciranno anche “A sol calao” (1974), “El critoleo del corpo” dedicato a Pasolini (1976), “In memoria” (1978). Ormai il vecchio poeta di Grado è diventato noto al pubblico italiano: contributi di Pasolini, Magris e Bo fanno uscire la figura di Biagio Marin da una dimensione regionale per investirlo del nuovo ruolo di intellettuale di scala nazionale. Forse anche per questo motivo il poeta deciderà di pubblicare nel 1973 un raccolta di versi in italiano, con il titolo di “Acquamarina”. Si può notare come il tema del mare, sia nella poesia in dialetto sia in quella in lingua italiana, sia il leitmotiv della poesia mariniana. Sebbene questa esperienza di poesia in lingua resterà unica, si può capire come Biagio Marin fosse ormai in una posizione di primo piano nella poesia nazionale, il che lo obbligava ad utilizzare una lingua che potesse essere compresa da tutti.

Verso la fine degli anni Settanta Marin dovrà fare ancora i conti con la morte: nel 1977 suo nipote Guido si suicida, e solo un anno dopo la compagna di una vita, Pina Marini (che aveva sposato nel 1914), morirà lasciando il vecchio poeta solo. Come se ciò non bastasse, l’età avanzata inizia a pesare sul poeta, che diventerà nel giro di pochi anni sordo e semicieco.

Comunque Biagio Marin non si lasciò andare: ancora negli anni ’80 pubblicherà ben tre raccolte di poesie: “Nel silenzio più teso” (1980), “Poesie” (1981), “La vose de la sera” (1985). Oserei quasi affermare come la poetica di Marin di questo periodo segua una teoria decadentista: silenzio, tensione, sera, sono le parole che più risaltano nei titoli delle sue opere.
Naturalmente la dolorosa perdita dei suoi cari e il decadimento fisico dovettero aprire a Biagio Marin nuove prospettive, più cupe rispetto la poetica precedente. Ormai il nostro poeta aveva oltrepassato i novant’anni, dopo aver vissuto una vita ricca di avventure e di esperienze profonde.
Nel 1985, nell’isola di Grado dove era nato quasi un secolo prima, Biagio Marin muore.


Bertazzolo Nicola




Nella monumentale "Storia della letteratura italiana" (Garzanti ed., X vol. pag. 178) il critico Carlo Bo, concludendo il capitolo " La nuova poesia" su Biagio Marin, scrive " ...non riesce a stare in nessuna casella del guardaroba critico. In fondo, se ci domandiamo quali siano stati i suoi modelli, a che cosa abbia fatto riferimento non riusciamo a trovare una risposta soddisfacente, restiamo nella nebbia, nell'incerto e, alla fine, dobbiamo dichiararci sconfitti.
Biagio Marin è il poeta che non ha mai obbedito a retoriche, a poetiche, epperò è inconfrontabile, è unico. Bisogna accettarlo per intero e senza desiderio di ridurlo in schiavitù di definizioni e di somiglianze: soltanto così la sua poesia scorrerà libera e franca e arriverà alle nostre povere capacità di lettori.
Facciamo pure il giro delle ragioni poetiche di questo secolo, alla ricerca di un quadro, di un sistema simili o appena vicini, ma non riusciremo a nulla. Molti hanno cantato, nessuno come Marin ha mai cantato senza cedere un momento, senza pause, senza rispettare le regole del giuoco.
Marin non ha mai rispettato nessuna regola e, del resto, nel silenzio e nel mistero della sua isola tali regole non avrebbero avuto alcun senso. La vita ha delle regole? Sarebbe la risposta di Marin a chi lo interrogasse al proposito.
La vita è così come la poesia di Marin è: sola, pura, all'origine incontaminata. Se per avventura avesse cercato delle strutture e delle sospensioni, anche la purezza si sarebbe perduta. E Marin avrebbe interrotto il suo canto. Un canto che durerà, il canto fermo di un poeta vivo".

Biagio Marin

 

Sielo stelào

Sielo stelào,
sito, solene
che vol le pene
del zorno tribolào.

Colda parola
che ne conforta
che in alto porta
la creatura più sola.

Stele che no' ha fin
e ne insegna el respiro
de sto mondo divin
arioso in giro.

E quel splendor mortal
ne mantien e alimenta;
qua zo la vita stenta,
ogni ora xe mortal.

 

Cielo stellato
Cielo stellato/ zitto, solenne/ che vuole le pene/ del giorno tribolato.// Calda parola/ che ci conforta/ e in alto porta/ la creatura più sola.// Stelle che non hanno fine/ e ci insegnano il respiro/ di questo mondo divino/ arioso in giro.// Quello splendore immortale/ ci mantiene e alimenta/ quaggiù la vita stenta/ ogni ora è mortale.//

da I canti dell'isola 1970-1981

 

 

Parole de Falco

Maravegioso Orion
che strapionba dal sielo
e par che 'l sofra el gelo
de la disperassion;

invan el slarga i brassi
per tignîsse a un sostegno;
el siel no 'l ha ritegno
e svodi xe i so spàssî.

Orion pur cussì grando
co' le mane de sol
dal siel vien messo in bando
e câge 'i toca al siol.

Co' elo me patisso
la stessa sorte grama;
la vita resta brama
e, mia realtà, l'abisso.

 

Parole di Falco
Meraviglioso Orione/ che strapiomba dal cielo/ e pare soffra il gelo/ della disperazione;// Invano allarga le braccia/ per tenersi a un sostegno;/ il cielo non ha appigli/ e vuoti sono i suoi spazi.// Orione pur così grande/ con le mani di sole/ al bando vien messo dal cielo/ e cadere gli tocca al suolo.// Con lui patisco/ la stessa sorte grama;/ la vita resta brama/ e mia realtà è l'abisso.//

da Poesie, Garzanti 1981

 

 

Tante stele respira

Tante stele respira
e dilaga la luse duto intorno:
par che le possa illuminâ 'l gno zorno
dâ 'i pase al cuor tarloco che delira.

La negraùra 'l mondo duto ingiote
in fondo d'un abisso;
xe beato el nuvisso
che perde carne e cuor in quela note.

Cu le assende le stele e le distùa?
Cu conta 'l tenpo a dute quele fiame?
Se disfa leste dute le gno brame
ne l'infinito de la note nùa.

No' sè 'l so nome: el sangue lo patisse;
me continuo la strà
tra nebulose vaghe e stele fisse
senza paura de l'eternità.

 

Tante stelle respirano
Tante stelle respirano/ e dilaga la luce tutto intorno;/ pare possano illuminare il mio giorno/ dare pace al cuore vano che delira.// L'ombra nera tutto il mondo inghiotte/ nel fondo di un abisso;/ è beato l'amante/ che perde carne e cuore in quella notte.// Chi accende le stelle e le spegne?/ Chi misura il tempo a tutte quelle fiamme?/ Si sfanno leste tutte le mie brame/ nell'infinito della notte nuda// Non so il suo nome: il sangue lo patisce;/ io continuo la strada/ tra nebulose vaghe e stelle fisse/ senza paura dell'eternità.//

da Poesie, Garzanti 1981

 

 

I mundi, suli o stele

I mundi, suli o stele,
xe duti solitari;
i va per infiniti mari
comò golete sensa vele.

E i gira e i gira
sensa savê mai indola
che i va, sora una rota sola
e senpre sansa mira.

Anche noltri a quel modo
giremo 'l mondo sensa meta
l'anema inquieta
nel grande spassio svodo.

 

I mondi, soli o stelle
I mondi, soli o stelle,/ son tutti solitari;/ vanno per mari infiniti/ come golette senza vele.// E girano e girano/ senza sapere mai dove,/ su di una rotta sola,/ e sempre senza mete.// Anche noi a quel modo/ corriamo il mondo senza meta,/ l'anima inquieta/ nel grande spazio vuoto.//

da La vita xe fiama, Einaudi 1982

 

 

Ferme le stelle nel cielo

Ferme le stelle nel cielo,
così almeno sembrano;
invece vanno veleggiando
sul mare della notte.

Anch’esse bruciano
e bruciando muoiono,
nostre sorelle
nella morte diffusa.

Una sola vita,
una sola fiamma,
una sola morte zitta,
l’eternità ci chiama.

 

da Incontro con la poesia di Biagio Marin, ARPA 1984

 

L'onbra stesa su l'orto

L'onbra stesa su l'orto;
intorno al quadro i muri nigri;
ma sora l'orto morto
i firmaminti aligri.

Va a capî sto mistero:
perchè cô 'l cuor se sera
se verze 'l firmamento intiero
e se perde la tera.

E nel spavento
el cuor se fa lisiero
e nel tormento
se spalanca la porta del mistero.

 

L'ombra stesa sull'orto
L'ombra stesa sull'orto/ intorno al quadro i muri scuri/ ma sopra l'orto morto/ i firmamenti allegri// Vai a capire questo mistero:/ perché quando il cuore si chiude/ si apre il firmamento intero/ e la Terra si perde// E nello spavento/ il cuore si fa più leggero/ e nel tormento/ si spalanca la porta del mistero.//

da Tra sera e note

 

 

Brusâ, brusâ

Brusâ, brusâ e fâsse solo fiama
che illumina la note de le stele,
la sinisa no conta sensa quele,
xe povera ilusion sentîsse rama.

Duto 'l mondo xe un fogo
che crea e dissolve i suli e le galassie,
la fiama sola genera le grassie
e le frescure e i fiuri d'ogni logo.

No 'vê paura d'ârde e consumâte,
de sparî nei silinsi de l'Eterno,
che la gloria di Dio se fassa inferno
quando l'albe s'aninsia dilicate.

 

Bruciare, bruciare
Bruciare, bruciare e farsi solo fiamma/ che illumina la notte delle stelle/ la cenere non conta senza quelle/ è povera illusione sentirsi ramo.// Tutto il mondo è un fuoco/ che crea e dissolve i soli e le galassie,/ la fiamma sola genera le grazie/ e le frescure ed i fiori di ogni luogo.// Non avere paura di ardere e consumarti,/ di sparire nei silenzi dell'Eterno,/ che la gloria di Dio si faccia inferno/ quando le albe si annunciano delicate.//

da Tra sera e note

 

 

El silensio setembrin

El silensio setembrin
el xe solo una caressa,
l'ofertorio d'una messa
la sordina d'un violin.

El silensio che spaura
el xe quel fra stela e stela,
al de là de l'atmosfera
che più cupa s'inasura.

El silensio che comove
le galassie e le comete;
drento elo i suli piove
in eterno sensa mete.

Drento d'elo i suli brusa
stele antiche se consuma
fogo eterno d'oro fuma
sensa 'l canto d'una musa.

No xe l'urlo de la fiama
che mai possa superâlo
quel silensio de la brama,
creator del mondo malo.

 

Il silenzio settembrino
Il silenzio settembrino/ è solo una carezza/ l'offertorio di una messa/ la sordina di un violino.// Il silenzio che spaventa/ è quello tra stella e stella,/ al di là dell'atmosfera/ che più cupa si inazzurra.// Il silenzio che commuove/ le galassie e le comete;/ dentro esso i soli piovono/ in eterno senza mete.// Dentro esso i soli bruciano/ stelle antiche si consumano/ fuoco eterno d'oro fuma/ senza il canto di una musa.// Non c'è l'urlo della fiamma/ che mai possa superarlo/ quel silenzio della brama,/ creatore del mondo malvagio.//

da Versi ultimi

 

 

Arde 'l mondo

Arde 'l mondo
comò un bosco in agosto;
urla nel vento
de zorno e de note la guera;
i òmini i massa so' freli
e trema la tera.
Me, vardo a le stele dei sieli,
ai nuvoli d'oro, ch'el vento disperde,
a l'ultimo verde che
incanta la tera.
Eterni xe i munti selesti,
più eterni xe i sieli e i grandi pensieri.
Cô tase i canuni e le bombe
fa tanto silensio sul mondo,
e l'erba continua a fiurî;
seren se dilata el sielo profondo,
el sol torna biondo,
comò duti i dì.

 

Brucia il mondo
Brucia il mondo/ come un bosco in agosto;/ urla nel vento/ di giorno e di notte la guerra;/ gli uomini ammazzano i loro fratelli/ e trema la terra./ Io, guardo le stelle nei cieli,/ alle nuvole d'oro, che il vento disperde,/ all'ultimo raggio verde che/ incanta la Terra.// Eterni sono i mondi celesti,/ più eterni sono i cieli ed i grandi pensieri./ Quando tacciono i cannoni e le bombe/ fa tanto silenzio sul mondo,/ e l'erba continua a fiorire,/ sereno si dilata il cielo profondo,/ il sole torna biondo,/ come ogni giorno.//

da Le setembrine

 

 

Biagio Marin

Antologia: Biagio Marin
Poesie sparse del poeta gradese Biagio Marin contenenti alcuni dei temi a lui più cari: il mare, la condizione umana, l'esistente.
da "Fémena, gran mistero"

'I ha dito el mar al vento:
"Sta bon, sta quieto,
tu son solo un tormento,
un continuo dispetto."

El vento alora
el mar l'ha hasào,
el mar l'ha valisào
co l'aria che inamora.

Ha detto il mare al vento:
"Sta buono, sta quieto,
tu sei solo un tormento,
un continuo dispetto".

Il vento allora
il mare ha baciato,
il mare ha accarezzato
con l'aria che innamora.



da "Vita che sempre score"

La bavisela
no 'vea fiào
de move la gno vela
del mr grando de Grào.

Le caresse lisiere
per quanto fresculine,
che va per le marine,
no porta primavere.

E no move la zente umana,
per quanto mite e sana,
e le lassa la spiagia
sita e incantagia.

La bava leggera
non aveva fiato
di muovere la mia vela
nel mare grande di Grado.

Le carezze leggere,
per quanto frescoline,
che vanno per le marine
non portano primavere.

E non persuadono la gente umana,
per quanto mite e sana,
ma lasciano la spiaggia
zitta e incantata.