Questo racconto lo dedico alla memoria
del partigiano Dante Di Nanni
che con i suoi diciotto anni compì un miracolo:
visse e morì per la libertà di tutti noi.
OMAGGIO ALLA MEMORIA
Ore 9.00 del 10 agosto 1998, in Piazzale Loreto c'era già molta
afa, ed
iniziava ad essere fastidiosa come certo caldo sa esserlo; in
quell'angolo
della piazza, tra Corso Buenos Aires e Viale Brianza, non si
muoveva neanche
un filo d'aria.
Proprio a quell'ora stava iniziando una manifestazione e per i
poliziotti
presenti sembrava persino un servizio comodo quella mattinata,
invece tra la
calura ed il clima che cominciava ad assaporarsi, la giornata si
presentava
lunga e poco allettante.
Vladimiro, il poliziotto attraverso cui ricostruiremo quanto è
accaduto
quella mattina pensò: "Adesso voglio capire per cosa si è
qui a manifestare,
chi sono queste persone e cosa sono qui a fare. Anzi, prima mi
prendo
qualche minuto per telefonare a casa, c'è mio padre che non stà
bene, è
stato ricoverato d'urgenza proprio ieri sera e non so ancora di
cosa si
tratta.
A casa non risponde nessuno ed il telefonino del fratello è
spento,
probabilmente si è recato anche lui in ospedale e quindi non
può tenerlo
acceso.
"Proverò più tardi, tanto credo proprio di trovare il
tempo, non mi pare ci
sia molto da fare qui, non è certo come quella volta che siamo
stati mandati
alla stazione, sempre qui a Milano, e c'erano tutte quelle donne
incazzate e
che poi i nostri superiori ci hanno detto di caricarle, no, qui
questo non
succederà sicuramente, ci sono solo poche persone e perlopiù
anziane, per
ora non si vede altro.
Adesso mi avvicino a quello striscione, ci sono li accanto delle
foto con
delle scritte, forse capisco qualcosa di chi sono queste persone:
"Esposito Andrea. Fogagnolo Umberto. Vertemati Vitale. Ragni
Andrea. Bravin
Antonio.Principato Salvatore.sono stati trucidati dai fascisti il
10 agosto
del 1944.
Erano tutti e quindici detenuti nel carcere di San Vittore e
quest'eccidio è
stato compiuto dai fascisti italiani su ordine di SAEVECKE, capo
della
Gestapo.
Arrivano in Piazzale Loreto alle 5.45, sul posto c'è già un
ufficiale
tedesco scortato da quattro soldati. Pollini (capo fascista della
Provincia)
assiste a tutta la scena. L'ufficiale fa mettere gli ostaggi
contro una
palizzata e, disposti i militi della Muti a semicerchio, ordina
immediatamente il fuoco.
I gappisti condannati a morte all'inizio sarebbero dovuti essere
venticinque, poi si sono "ridotti" a quindici".
Il poliziotto mentre stava leggendo i cartelli è chiamato da un
suo collega
e, pur se tutto preso dall'interesse, deve interrompere la
lettura.
Stavano arrivando delle alte personalità e bisognava mettersi al
proprio
posto, organizzare un cordone di protezione.
Quando il poliziotto si mette in riga continua a pensare quanto
aveva letto,
ed ora guardava le persone raccolte nell'angolo della piazza con
più
curiosità.
Mentre guardava i presenti si accorgeva che appartenevano a due
categorie,
vi era quella che vistosamente aderiva all'ufficialità e quella
invece
reale. Questi ultimi si riconoscevano facilmente perché
vestivano con abiti
dimessi, come se il tempo si fosse fermato quando andavano di
moda, e poi
perché tra loro, anche se in quell'angolo di piazza erano
sparsi, formavano
un gruppo; ad unirli erano gli occhi tristi, una forza
eccezionale a voler
testimoniare che loro c'erano, che quanto successo era vero.
Si, ora il poliziotto ricordava d'aver letto da qualche parte che
qualcuno
già da tempo scriveva che certi episodi, o addirittura anche gli
stessi
Campi di Concentramento, non erano mai esistiti, ma che facevano
parte delle
solite invenzioni di ebrei e degli onnipresenti comunisti., e
ricordava
anche che persino un'alta carica di questo Stato aveva parlato di
pacificazione tra partigiani e fascisti.
In altre parole tra chi aveva offerto la propria vita per la
libertà con i
criminali per di più al soldo dei nazisti tedeschi (come ad
esempio i
terroristi della Muti).
Mi sbaglierò, si disse, ma questi la pace con i loro torturatori
non la
faranno mai.
"Ecco, finalmente quello con la fascia tricolore al petto se
n'è andato e
quindi mi posso muovere, ma prima voglio riprovare a telefonare a
casa".
Per alcuni minuti provò a fare e poi rifare il numero
dell'abitazione dei
suoi e poi quello del telefono portatile del fratello, ma non
rispondeva
ancora nessuno. Cominciò a sentire una qualche preoccupazione
anche se da
quando aveva chiamato la prima volta era passato poco più di
un'ora.
Poteva ancora riprovare, ma si sentiva più tranquillo se tornava
al suo
posto. Poteva parlare con i suoi colleghi o continuare a leggere
i cartelli
o anche provare a parlare con qualcuno dei vecchi partigiani che
oramai lo
incuriosivano e forse stava nascendo anche dell'interesse.
Ora si ricordava che qualcosa aveva sentito anche da suo padre,
che per
alcuni mesi aveva convissuto a stretto contatto con un gruppo di
partigiani.
Tornato al suo posto si avvicinò ancora nell'angolo dove c'erano
le foto dei
giovani partigiani uccisi, rilesse ancora i nomi, Poletti Angelo.
Mastrodomenico Egidio. Galimberti Giovanni. Gasparini Vittorio.
Soncini
Eraldo. Temolo Libero. Del Riccio Renzo. Casiraghi Giulio.
Fiorano Domenico,
e questa volta si soffermò anche sull'età. Cristo quant'erano
giovani!
No, non tutti erano giovanissimi, Salvatore Principato era nato
nel 1892,
quindi aveva 52 anni; era un insegnante ed è stato ucciso dopo
essere stato
torturato nelle carceri fasciste, infatti dopo la morte hanno
riscontrato
che aveva un braccio rotto ed un occhio tumefatto.
Poi cos'è che c'è scritto ancora? "Alcuni presenti
all'infame eccidio
affermano di aver visto il buon Principato incoraggiare, nel
momento
estremo, le povere vittime allargando le braccia e pronunciando
le parole:
Coraggio è questione di pochi istanti".
Vladimiro si soffermò a leggere altri passi di ricordi,
testimonianze e
lettere scritte soprattutto dai partigiani uccisi.
Si rese conto che gli mancavano diversi pezzi per avere
un'immagine completa
e si ripromise che avrebbe dedicato del tempo per conoscere
meglio quel
periodo della storia che è di tutti, o almeno lo dovrebbe essere
a pieno
titolo.
Lesse ancora tutto quello che poteva e poi si fermò a pensare
guardando le
persone presenti e ancora notò la differenza che esisteva tra i
partecipanti.
Quei partigiani col vestito buono, gli stemmi, le medaglie e i
fazzoletti al
collo più che persone assomigliavano a delle pietre miliari, lì
fermi a
testimoniare la loro esistenza e quello che loro rappresentavano,
o meglio
hanno rappresentato e certo ora rappresentano con più valore
Erano tutti diversi: magri, alti, tarchiati, ma in comune avevano
quel
rigido sguardo, fisso sul ricordo degli anni trascorsi a
combattere nelle
città occupate dai nazisti e presidiate dai fascisti, oppure
sulle montagne
dove avevano scelto di recarsi, o dovuto ritirarsi per poi da lì
combattere
e ricacciare fuori dal paese i nemici dell'umanità, oppure nei
campi di
concentramento dove avevano subìto ogni genere di violenza e
tortura, dove
hanno visto i loro compagni o familiari uccisi, e da dove si sono
salvati
grazie anche a quelli che fuori hanno continuato a lottare, ai
popoli dell'
Unione Sovietica, a tutti quelli che naturalmente si sono opposti
al nazismo
ed al fascismo.
E' forse quello che teneva imprigionati i pensieri dei partigiani
presenti
era anche la capacità di sopportare tutto quello che chiaramente
li
circondava e sapeva di falso, di scontato, di non vissuto, ed era
l'
ufficialità, l'altra categoria di persone presenti in quella
piazza la
mattina del 10 agosto 1998.
Vladimiro era quasi incantato dal vedere la mitezza in quegli
uomini e nel
frattempo riscontrare anche una grande forza e fermezza nei
principi e negli
ideali.
E' passata ancora un'ora ed il poliziotto vuole provare a
chiamare casa per
avere notizie di suo padre, lo dice ad un suo collega e si
allontana,
nessuno se ne accorge, intorno è tutto tranquillo.
Mentre si allontana arriva una troupe televisiva per riprendere
la
manifestazione, immagini di rito e tutto si risolve in pochi
minuti, quasi
fossero d'accordo, gli operatori televisivi si allontanano mentre
il
poliziotto ritorna e così non si accorgono l'uno dell'altro.
Ancora a casa non risponde nessuno e anche il telefonino del
fratello
continua ad essere spento.
Sono da poco passate le undici ed è in ansia, è preoccupato
dalla mancanza
di notizie su suo padre.
Adesso comincia a sentire modificato il suo stare in quel posto
rispetto
alla percezione iniziale, riconosce che a volte non è il tempo a
provocare
cambiamenti, ma succede che in un tempo breve capitino un
susseguirsi di
pensieri, azioni, riflessioni e quant'altro, ed avvengono
cambiamenti
notevoli pur se in uno spazio temporale ridotto.
Con questo nuovo stato ritorna al suo posto, ora la attenzione si
porta su
un foglio bianco scritto a mano.
Avvicinandosi ancora di più capisce che si tratta di una poesia
dedicata ai
partigiani uccisi dal titolo "Ai quindici di piazzale
Loreto", scritta da S.
Quasimodo.
La legge lentamente, incuriosito per come un poeta può trattare
un fatto del
genere:
Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafe,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d'un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell'ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano:
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora nelle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe;
la morte non dà ombra quando è vita.
In queste parole sentì il valore della vita delle giovani e non
più giovani
persone che la sacrificarono per un ideale di libertà. Ovvero
l'idea si
univa indistinguendosi con la carne lacerata dai colpi e dalle
offese dei
criminali fascisti.
Pensò a quanto fossero importanti quelle parole, scritte poi da
un
personaggio famoso, già premio Nobel per la letteratura, che
anche grazie a
lui quella verità, che molti vorrebbero mitigare o addirittura
stravolgere,
rimane invece viva e vera per sempre.
Oramai s'è fatto tardi e tra poco tutti se ne andranno,
Vladimiro dal posto
di servizio, dal suo punto di osservazione, resta sempre più
immobile,
concentrato a guardare ogni partigiano che sfila davanti alle
foto dei
quindici trucidati, li vede fermarsi pochi istanti in
raccoglimento e poi se
ne vanno lasciando il posto ad altri.
Ancora un cartello scritto a mano, ancora una poesia; questa
volta il poeta
è Alfonso Gatto, combattente della Resistenza, l'attenzione di
Vladimiro si
fermò sulle ultime otto righe:
"Io vidi il nuovo giorno che a Loreto
sovra la rossa barricata i morti
saliranno per primi, ancora in tuta
e col petto discinto, ancora vivi
di sangue e di ragione. Ed ogni giorno,
ogni ora eterna brucia a questo fuoco,
ogni alba ha il petto offeso da quel piombo
degli innocenti fulminati al muro"
Quelle che vede passare sono facce che probabilmente non vedrà
mai più e
pare che li fissi per ben impressionarli nella memoria, ma oltre
a questo è
fermo coi pensieri che turbinano nella testa.
Sobbalza quando un suo collega lo tocca sulle spalle per
chiamarlo:
"Vieni, c'è tuo fratello al telefono".
Vladimiro vede poco distante, un po' appartato, il suo comandante
che gli
porge un telefono cellulare.
Se il poliziotto fosse lucido capirebbe subito che non sta per
ricevere una
buona notizia, ma ancora turbato dai pensieri della mattina
prende il
telefono, lo porta all'orecchio e meccanicamente dice:
"Pronto?".
Non sente il fratello parlare, ma solo un susseguirsi di lenti,
modulati
singhiozzi.
Milano, settembre 1999
Francesco Giordano
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