murales Orgosolo

di Giorgio Todde - liberazione 3 luglio 2005
Una società fondata sul metro cubo come feticcio intorno al quale si danza e ci si inchina.
di Giorgio Todde
Una società fondata sul metro cubo come feticcio intorno al quale si danza e ci si inchina come se il metro cubo fosse il dio della fertilità, una società così non possiede un futuro civile, non possiede nessun futuro e allo stesso tempo cancella ogni traccia del proprio passato trasformandoci tutti in smemorati affetti da un'amnesia che annulla l'identità riducendoci agli atti elementari della vita: dormire, mangiare, digerire.

E il mondo, dalle nostre parti, gira mezzo ubriaco sul suo asse ed esce dai cardini nei tre mesi anfetaminizzati dell'estate isolana in villaggi al silicone dove vengono traslati turisti a migliaia e rinchiusi in un ciclo rotondo di cibo, digestione, deiezione e sonno.

Oggi quella coincidenza di favori che ci aveva "conservato" integri e lontani dalla storia che avveniva sempre da altre parti, anacronistici, si è dissolta. Quello stato è finito, terminato, interrotto bruscamente.

E restiamo poveri e arretrati come prima. Abbiamo perduto la distanza dalle cose che avvenivano lontano e siamo rimasti poveri come prima, siamo diventati mangiatori di elemosine, di qualche goccia di grasso che cola via dai capitali lontani i quali sono riusciti dove avevano fallito tutte le disgrazie capitate nei millenni, la peste, la malaria, le locuste. Niente da fare: lo sviluppismo, forma malata dello sviluppo, ha vinto.

Non è stata sufficiente l'identità gridata all'infinito a salvarci. Evidentemente di questa benedetta identità non ne avevamo da parte a sufficienza e non è bastato urlarla o proteggerla con delle leggi. L'identità bisognava praticarla e invece, per poche monete d'oro, l'identità è stata venduta e si è rifugiata da qualche parte dove non disturba gli affari.

Abbiamo permesso con espressioni di gratitudine da buon selvaggio davanti al conquistatore di distruggere e consumare il paesaggio che non si sarebbe neppure dovuto calpestare, un suolo sacro. I nostri promontori, le nostre acque le avremmo dovuto considerare tabernacoli solo da guardare da lontano. Anzi, no, neppure doveva essere permesso guardarli perché guardare alle volte è un'azione più indecente che toccare o calpestare. Tutto incomincia con uno sguardo.

Invece abbiamo permesso che altri trattassero la nostra terra come le fanciulle che un tempo maschi violenti deturpavano col vetriolo.

Se lo sviluppo per noi consiste nella sfilata dei poveri che vanno a vedere i panfili dei ricchi e i locali dove non si può entrare se non si è biondi, se si considera il popolo come un servo sottomesso e ottuso al quale basta un gelato da leccare mentre guarda lo sfarzo, allora significa che abbiamo accettato l'idea della servitù come unico destino possibile.

Se non si è compreso che la prima impronta, dopo il capezzolo materno, è proprio il luogo dove il nostro corpo vive, lo spazio che occupa e l'aria che respira, e se non si capisce che questa impronta è definitiva ed è data da stimoli indimenticabili, dal colore del cielo, dal vento, dalla geologia del luogo, dai colori del luogo… se non si comprende che il primo valore identitario è proprio il creato all'interno del quale veniamo al mondo, cresciamo, invecchiamo e moriamo… beh, allora l'idea stessa di identità perde significato, anzi, proprio l'identità scompare, viene cancellata dalla nostra testa e dai nostri pensieri.

Che valore ha una dichiarazione di identità da parte di una società che ha rinunciato al suo paesaggio, che lo ha avvilito svendendolo per nulla? E' priva di significato la protezione dei nostri dialetti, dei nostri prodotti, dei nostri costumi se la terra che li ha prodotti viene talmente alterata da essere resa irriconoscibile come una donna mascherata da quello che non è mai stata.

L'identità si riduce ad una parolina sulla quale qualcuno potrà scrivere, conservare fotografie, filmati struggenti e ricordi.

Chi conosceva l'isola, chi la praticava come luogo di culto naturale e, soprattutto, chi la ricorda come un luogo dove l'equilibrio perfetto dell'acqua e della pietra consolava gli afflitti, oggi vede cosa ha provocato la sindrome mortale da metrocubo. Spiagge scomparse perché porti mezzo deserti hanno mutato le correnti ed ora al posto della sabbia abbagliante c'è terra tenebrosa. Case orride, alberghi orridi che grondano stelle, villaggi sintetici, campi da golf con erba carnivora, innaturali come un arto finto. Sulle colline di macchia tristi palazzine schierate come le mura di piombo della città dei morti. 

per una storia dei murales  http://www.lamiasardegna.it/web/407/

Come molte altre espressioni di vita orgolese, comunicano all´osservatore una vasta gamma di impressioni che forse è impossibile riscontrare altrove: vi si leggono i malesseri, le speranze, i disagi e gli aneliti di una comunità che ha vissuto, forse, il senso di esclusione e di non appartenenza ad un mondo dai troppi volti contraddittori.
Sotto questo segno, sul finire degli anni ´60, comparvero i murales. Sin dall´origine i bersagli dei muralisti furono i governi sopraffattori e i fautori di ingiustizie sociali.

Il primo murale fu realizzato nel 1969, negli anni della contestazione giovanile, dal gruppo anarchico milanese Dioniso.
Il numero dei muri tinteggiati crebbe a partire dal 1975 quando un insegnante senese, Francesco del Casino, insieme ai suoi alunni volle commemorare, raffigurandolo sui muri degli edifici orgolesi,  il trentesimo anniversario della Liberazione d´Italia. Circa il 90 % dei murales di Orgosolo sono opera di Del Casino: il suo è un singolare e inconfondibile stile pittorico.

Si cita con ironia Alfredo Niceforo, si motteggia sul presidente Leone, si riporta il telegramma del partigiano e scrittore Emilio Lussu solidale con le contestazioni anti-NATO, si denunciano le ingiuste reclusioni, la condizione delle carceri, la sofferenza di detenuti e familiari, la cupa esistenza di latitanti e briganti braccati dai carabinieri.

L´effigie di Gramsci invita alla riflessione e all´intelligenza e il volto mite di un capo indiano denuncia i soprusi dei bianchi.

Negli anni ´80, con l´attenuarsi della tensione politica, Del Casino e gli altri dipinsero scene di vita quotidiana: uomini a cavallo, donne con in grembo i propri figli, pastori che tagliano il vello alle pecore e contadini con in mano la falce.

E´ del 1994 un murale che rappresenta i conflitti della ex Jugoslavia e la distruzione di Sarajevo: la storia locale può farsi storia mondiale.

Ad Orgosolo, da trent´anni le mura del municipio e della biblioteca, dell´ambulatorio e dei bar prestano i loro fianchi alla creatività di artisti che hanno affidato e affidano ai murales le immagini e le voci non solo di una comunità, ma di un´isola intera. I murales costituiscono un´eccezionale attrattiva e molto ancora hanno da dire a chi li osserva.


http://www.comune.orgosolo.it/notizie/dettagli.php?cat=29&de=72

 

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http://www.lamiasardegna.it/web/407/