Con l' addio alla Fiat ho liberato l' arte |
||
YouTube - da "Fiat autunno '80" di Pier Milanese e Pietro Perotti | ||
|
2 min 5 sec - 16 apr 2009
La coraggiosa e drammatica lotta degli operai Fiat di Torino, nell'autunno del 1980, durata 35 giorni che segnerà secondo alcuni la sconfitta definitiva e la ... | |
Entrare in Fiat ed essere felici. Lavorare, lottare, provare a
cambiare. Uscire dalla Fiat ed essere ancora più felici. Solo un po'
di nostalgia per i tempi che non sono più quei tempi. Operaio e
creativo, ingegno fertile, inquieto, generoso. «Creativo come tutti i
veri operai», precisa spalancando gli occhi azzurri come se lo
sguardo fosse un abbraccio. Nell' abbraccio ci sono dentro i ricordi e
tutta la classe operaia, che non andrà in Paradiso, ma talvolta sa
esserlo, il Paradiso. Questa è la storia di Pietro Perotti, nato a
Ghemme in provincia di Novara nel 1939 per fare in tempo a vedere la
guerra, come dice lui. Uno che ha avuto sempre la voglia e l'
ossessione di documentare, riprendere, disegnare, dare forma e
immagine alle lotte. Adesso collabora con alcuni gruppi teatrali, e
con Stefano Benni, e con Piero Gilardi, l' artista della gommapiuma,
re del pop-ecologico. Ma prima è stato un operaio: come quelli che
ritornano all' improvviso protagonisti, con la crisi della Fiat.
Racconta: «Ho cominciato a lavorare a 11 anni. Ho fatto il
panettiere, il muratore. A 16 sono entrato in una fabbrica tessile del
mio paese. Era il ' 55, ho capito subito che bisognava occuparsi di
sindacato e di politica. A 18 anni ero già rappresentante sindacale.
L' assassinio di Che Guevara nel ' 67 e il ' 68 studentesco sono stati
due punti di non ritorno. Ho cominciato a confrontarmi con gli
studenti. Le speranze di cambiare qualcosa si sono fatte concrete. Al
paese abbiamo organizzato un gruppo che si riuniva in una cantina e
una volta alla settimana con delle diapositive facevamo un
controtelegiornale. Nel ' 69 ho saputo che ci sarebbe stato il
contratto dei metalmeccanici e ho fatto domanda di assunzione alla
Fiat. Pensavo che il cambiamento radicale partisse dove esisteva un
grosso concentramento operaio». Perotti entra a Mirafiori il 9 luglio
1969. Il cuore del sistema, la fabbrica più grande del padrone più
importante. Un simbolo. Luogo amato e odiato. Molto più amato che
odiato. «Ero addetto alla manutenzione degli impianti di
riscaldamento e di raffreddamento. Giravo in tutti i reparti. La mia
fortuna è stata quella di vedere l' intero ciclo produttivo e di
conoscere moltissime persone. Un' esperienza irripetibile, perché la
fabbrica non è solo un posto di sfruttamento, ma un grande luogo di
aggregazione e socializzazione». Parla con il calore di chi sa che la
fabbrica è stata la sua scuola e la Fiat la sua Università. Parla
con l' orgoglio di chi ha contribuito a produrre la ricchezza del
Paese. Parla come uno che è stato delegato sindacale dal 1970 al
1985. «Allora, per essere riconosciuto dai compagni, dovevi essere
soprattutto un bravo operaio, dovevi conoscere il tuo lavoro più
degli altri» . Poi, nel ' 79 la Fiat licenzia i 61, accusati di
terrorismo. Nel luglio dell' 80 manda a casa 2.000 invalidi accusati
di essere assenteisti. A settembre partono i 35 giorni di sciopero
contro 14000 licenziamenti proposti. Pietro Perotti spende due mesi di
stipendio e tutti i risparmi per comprare una piccola cinepresa, una
Microflex dell' Agfa, con cui documenta le lotte operaie. Poi parte la
cassa integrazione per 24.000 a zero ore. Cassintegrati invece che
licenziati: la spacciavano per vittoria. «Una vittoria di Pirro -
commenta Perotti - Io ero rimasto dentro, ma tutti quelli che
conoscevo erano fuori. Mi dicevano: stai li' che è importante,
bisogna continuare a lottare dentro la fabbrica. Ma ormai si era
chiuso un ciclo. Ho continuato a occuparmi di comunicazione operaia,
come sempre, con giornali murali, manifesti, adesivi, scritte, anche
disegni e vignette nei bagni. Proprio nell' 80 rivedo Piero Gilardi,
uno dei più grandi e storici artisti torinesi, davanti alla Fiat che
fa una testa di Agnelli in gommapiuma: è stata la svolta, mi ha
cambiato la vita. Sono venuto in contatto con un materiale versatile,
elastico, leggero, che ha caratteristiche quasi umane. Un materiale
magico». Da allora Perotti non ha più smesso di lavorare con la
gommapiuma. Ogni giorno, più ore al giorno, producendo ironia e
sarcasmo, arte applicata all' ironia e al sarcasmo. Per dire: il Bossi
rimbambito portato in carrozzella sabato 30 novembre, durante la
manifestazione contro la legge sull' immigrazione, era suo. Il primo
lavoro è del 1981, insieme con Stefano Benni. Era ancora in Fiat.
Ricorda: «Al Teatro Tenda davanti alle Nuove abbiamo fatto, in favore
dei cassintegrati, "Circo Italia", uno spettacolo con l'
elefante Spadolone, il gorilla Pietro Longo, il nano Fanfani e il mio
primo Agnellone, tutti giganteschi e di gommapiuma». Resiste ancora
qualche anno, poi licenzia la Fiat. In data 25 aprile 1985 scrive al
direttore del personale: «Egregio signore, scelgo "questo"
giorno, storicamente e politicamente significativo, per comunicarVi
che non intendo proseguire il mio rapporto di lavoro con codesta
Ditta, cioè che intendo ritornare in possesso della mia libertà».
Non tratta, non baratta, non chiede. Esce dalla fabbrica, non dalla
lotta. «La mia scelta di entrare in Fiat è stata politica e scelta
politica è stata uscirne, mica potevo mercanteggiare. Rivoluziono la
mia vita, do tutto lo spazio possibile alla fantasia e all'
immaginazione». Si affida a una frase di Benni («Se i tempi non
chiedono il meglio di te, inventa altri tempi») e s' inventa un'
altra vita. Lavora per il Teatro dell' Archivolto di Genova e per la
Rai. Collabora agli spettacoli di Benni e a varie installazioni di
Gilardi, da Parigi a Los Angeles. Dice: «Ho dieci anni ancora di buon
lavoro. Adesso è di nuovo il momento di reinventarmi un' altra vita.
Bisogna farlo ogni tanto». Lo devono fare gli uomini, le fabbriche,
le società. Ma questi sono ideali: pericolosi di questi tempi, dice
Perotti, tanto che li soffocano. Scuote la testa: «Quello che succede
alla Fiat oggi per me è un déjà vu. Già nell' 80 hanno mollato l'
auto per la finanza. Poi la Fiat ha tirato a campare. La famiglia
Agnelli, con il Centenario, ha chiuso. Ma se la Fiat è in declino,
dobbiamo declinare anche noi? Mi sono sempre chiesto: se si deve
vivere di contributi statali, perché darli a un padrone e non
direttamente agli operai?». Una domanda di gommapiuma con un' anima
d' acciaio. - GIAN LUCA FAVETTO
|