Ora ci mancherà quella sua ansia per la storia- riforma luglio 2007

Commozione nel Pinerolese e alle Valli valdesi per la scomparsa di Francesca Spano

Giorgio Gardiol

Francesca Spano è deceduta domenica 15 luglio a causa di una malattia tanto inesorabile quanto rapida. Una malattia che non ci ha dato il tempo dell’addio. Ho ricevuto la notizia a Prali, al temine di una conferenza sul paesaggio e la cultura montana. Agape e Prali sono anche il luogo dell’incontro con Francesca, quando era venuta ai campi, poi come residente. Agape è stato anche il luogo dove Francesca ha deciso di diventare insegnante e di restare qui alle Valli. È da qui che ha cominciato a insegnare a generazioni di giovani la «parzialità» e la «diversità» di donne e uomini. Francesca ci ha costretto a confrontarci con le differenze: di sesso, di religione, di classe sociale, di culture. Parzialità che però possono diventare «relazioni», possono cambiarci, non spingerci alla rassegnazione, ma all’azione. Quello che Francesca ci ha testimoniato con la sua vita e le sue riflessioni è un moderno senso dell’«agape» nella nostra vita che ci trasforma e libera dai nostri stereotipi, che cambia il nostro «immaginario» e quindi diventa un «fatto» rivoluzionario.
Una rivoluzione che non è la presa violenta del potere politico, ma un percorso concreto di vita che ti cambia e cambia le relazioni con gli altri. Francesca non disdegnò la politica: per un periodo fu consigliere comunale a Pinerolo, per Rifondazione comunista. Ma la politica, in un mondo in cui la dimensione individuale diventa l’oggetto di politiche consumistiche che rendono l’alienazione ancora più dura e pervasiva di quella del lavoro, è liberazione anche dalle troppe idee (e pratiche) assolutistiche che spesso caratterizzarono la politica di sinistra. Il messaggio che ci lascia Francesca è un messaggio di libertà, di riconoscimento dell’altro (penso al suo atteggiamento verso Israele e il popolo ebraico), di impegno nelle contraddizioni della nostra società, Sapendo che l’altro non siamo noi. L’alterità va ricercata. Questa è l’agape. Ci mancherà quella sua carica di ansia per la nostra (e sua) storia che è sempre una storia collettiva.

eco del chisone

 

È mancata Francesca Spano
Oggi alle 15, al tempio Valdese di Pinerolo daremo l'ultimo saluto a Francesca Spano. Un male incurabile ce l'ha portata via in poche settimane, così, senza che sia stato possibile fare nulla, se non l'alleviargli il dolore. Molti che leggono questo giornale - lei stessa lo faceva quotidianamente - l'hanno conosciuta. Nel movimento romano dal '68 in avanti, al Centro ecumenico di Agape nella seconda metà degli anni '70, in uno dei tanti incontri politici o di cristiani di sinistra in tutti questi anni. Francesca, figlia d'arte di una famiglia di dirigenti comunisti, era un po' eretica: invece del partito scelse la nuova sinistra, incontrò la predicazione evangelica e divenne credente, incontrò la psicanalisi e ne fece massicce iniezioni nel calvinismo del mondo valdese. Di Francesca vogliamo però soprattutto ricordare la grande carica umana, la sensibilità, l'interesse per l'altro e per l'altra. Nel ringraziare il Padre Eterno perché ci ha dato il privilegio di conoscerla e di essergli amico, nel dolore perché troppo presto è stata separata da noi tutti, un forte abbraccio a Vincenzo, il suo compagno e a Paola e Chiara, le sue sorelle. A Francesca Shalom, come ci avrebbe salutato lei: ebrea, cristiana, comunista, ma soprattutto portatrice di umanità.
Paolo Ferrero- il manifesto

 

L'Unità 18 luglio 2007

L’addio a Francesca Spano femminista e saggista
Chiara Ingrao

Domenica mattina è morta Francesca Spano. Aveva vicino le persone più care, il marito Vincenzo, le sorelle Paola e Chiara, le nipoti e i nipoti. L’abbiamo amata in molti e molte per l’intensità e le passioni che animavano tutto ciò che ha fatto e per la capacità di costruire infinite relazioni d’amore con gli altri. Ieri l’abbiamo salutata - per l’ultima volta - al tempio valdese di Pinerolo.
Francesca viveva con Vincenzo nelle valli valdesi. Qui ha insegnato, ha testimoniato la sua fede e il suo impegno politico.
Per molti anni è stata significativa protagonista delle attività del centro ecumenico di Agape, curando la formazione dei giovani e l'intervento nel sociale. Femminista dagli anni 70, autrice di molti scritti politici, teologici e di ricerca, l'ultimo dei quali, elaborato insieme ad altre donne è di prossima pubblicazione La Parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi.
Vogliamo ricordarla con le sue parole, tratte da un bellissimo testo autobiografico Flowery Stream of Memories: «La sofferenza, e anche la morte, e a volte persino la morte violenta e autodistruttiva, possono far nascere relazione, affetto, ricerca comune di vita, quando sono vissute e pensate nella pratica della solidarietà».


 

RIFORMA

L’estremo saluto a Francesca Spano si è svolto nel tempio valdese a Pinerolo - Ci ha convocati per ragionare con Dio

Dopo una rapida malattia si è spenta una protagonista brillante e operosa del mondo protestante e della società; ai funerali ha partecipato una folla commossa di amici

Si sono svolti il 17 luglio a Pinerolo i funerali di Francesca Spano. Nata a Cagliari nel 1950, figlia di Velio e di Nadia Gallico, dirigenti del Pci e deputati alla Costituente, si è laureata a Roma dove ha incontrato la chiesa valdese. Ha lavorato e abitato a Agape a Pinerolo e a Torre Pellice, facendo parte dei Comitati di Agape e del Centro culturale valdese; ha diretto Gioventù evangelica (1988-1995) e ha affiancato all’attività dell’insegnamento anche quella politica in Rifondazione comunista e nel Consiglio comunale di Pinerolo. Il suo impegno nella chiesa è stato vissuto intensamente anche senza il battesimo, che non volle ricevere per rispetto alla parte ebraica delle proprie origini.

Alberto Corsani

Non si sarebbe trovato un tavolo così ampio da poter accogliere tutti i presenti: eppure l’incontro (così lo ha definito il pastore Giorgio Tourn che l’ha condotto) di martedì 17 luglio al tempio valdese di Pinerolo per l’estremo saluto a Francesca Spano ha avuto un andamento tale che lo si è vissuto come un incontro di studio biblico, oppure, a seconda dei casi e dei ricordi, come una seduta del Comitato esecutivo di Agape, o del Comitato del Centro culturale valdese, o della redazione di Gioventù evangelica, o di una riunione di partito o di una commissione consiliare cittadina. In particolare, poiché la Parola predicata è stata al centro di questo pomeriggio anomalo, sarebbe costato fatica trovare un tavolo adeguato per discutere tutti quanti insieme a Francesca, squadernate le Bibbie e magari anche gli appunti e i brogliacci: eppure a ognuno è parso, a partire dalle letture bibliche e dalla predicazione, per finire alle testimonianze personali, di trovarsi di fronte non l’«oggetto» dei discorsi, ma la donna che li avrebbe condotti di persona, come al solito provocando, incalzando, divagando e scherzando, sempre però argomentando, lasciando trasparire l’emozione, ma riconducendola a una razionale leggibilità da parte degli interlocutori.

Mettere la propria riflessione e il proprio pensiero, per quanto contorto e a volte arrovellato, alla portata degli altri è stato la cifra, etica prima che intellettuale, di Francesca, in tutti gli ambiti in cui ha operato: scuola, chiesa valdese, Agape, Centro culturale, politica. Ma il primo ambito in cui questo atteggiamento di profondità si è manifestato – e non capita spesso di sentirlo dire perché una comprensibile consuetudine alla ritrosia spesso frena i congiunti di coloro che ci lasciano – è stato probabilmente quello della propria famiglia: ciò ha significato esitazione e turbamento nell’annunciare l’insorgere della fede in Gesù Cristo (ma anche il ribadire la ferma convinzione in proposito); volontà di non recidere la componente ebraica delle proprie radici (è ben probabile che da qui venisse la sua autoironia); ammirazione anche critica e tuttavia tenera per le battaglie condotte dalla mamma, in particolare sotto il fascismo e nell’epoca della guerra.

Così pure la predicazione, radicale e tagliente nelle sue affermazioni più pregnanti intorno alla conclusione di Romani 8 (penso alla distinzione tra amore umano e amore di Dio; alla differenza, grande, tra morte, perdita e separazione, con la sottolineatura del carattere più grave e irrevocabile di quest’ultima; al salto di qualità tra «credere» e «essere convinti») eppure affettuosamente didattica, mai didascalica, è sembrata provenire non dal pulpito, ma dalla sedia di uno dei tanti intorno al tavolo; non necessariamente la voce più autorevole, e neppure quella del pastore Tourn, ma semplicemente la Parola predicata.

Un ragionare che Francesca avrebbe volentieri fatto proprio, e accolto come un regalo commuovendosi; come avrebbe accolto la lettura parziale dell’ebraica preghiera del Kaddish da parte del prof. Garrone (saggia e ponderata scelta quella di pronunciare il testo ebraico sottovoce, per rispetto e per frustrare qualunque cedimento alla curiosità «esotica»), e poi i ricordi delle compagne di tante riunioni di donne e le poesie, in particolare quella spigolosa e «petrosa» del quasi-mezzo valdese Fortini. Non si è celebrata la dipartenza di qualcuno, siamo stati lì come si sarebbe fatto presente Francesca: se in quel tempio eravamo alcune centinaia, in molti di più saranno in altre sedi disponibili a continuare lungo questa traccia, riconoscenti per l’esempio ricevuto.

Ricordando l’amica e maestra di vita - Una presenza viva e forte che ci  sosteneva

Sabina Baral

Il mio primo incontro con Francesca Spano non è avvenuto di persona, ma attraverso la lettura che ho fatto dei suoi numerosi contributi scritti, dagli articoli apparsi su Gioventù Evangelica a quelli pubblicati sui tanti Quaderni di Agape. Li conservo ancora tutti; le sottolineature e le note a margine mi rimandano all’intensità con cui scorrevo le sue parole e seguivo il filo dei suoi ragionamenti. Ero entusiasta di accostarmi a un pensiero, il suo, dinanzi al quale ho sempre provato un po’ di stupore, perché conteneva un «di più», una profondità e al contempo un’agilità di rara bellezza.

Anni dopo ho avuto la fortuna di conoscerla personalmente e di restituirle un po’ di quella gratitudine per avermi insegnato a pensare. Perché Francesca è stata una maestra oltre che un’amica molto speciale. E so che lo è stata per molti e molte della mia generazione, perché lei amava interloquire con i più giovani, era interessata a quello che avevamo da dire e ci prendeva sul serio. Non per «avere dei replicanti» – mi diceva sempre – ma per confrontarsi con noi alla pari, in maniera dialettica.

Era generosa e umile, Francesca, instancabile nel suo spendersi per gli altri e a favore delle cause che amava. E se ne è andata lasciando un’esistenza piena, in cui c’è stato spazio per tutto, dalla gioia al dolore, in cui nulla era considerato estremo perché veniva addomesticato, elaborato, assimilato, senza cedere a facili scappatoie. Ciò ha comportato certamente molta fatica, ma ha dispensato anche frutti preziosi, per lei e per noi che l’abbiamo accompagnata per un pezzo di strada.

Provo ad accostarmi al senso della sua esistenza, non mi va di perdermi nei tanti ricordi che mi assalgono, ma sono troppo confusa e addolorata per afferrarlo. Questo senso mi scivola via dalle dita, non si lascia acchiappare. Mi dico che è davvero la vita, nel suo senso più profondo, quella che Francesca ha vissuto. Una vita senza splendori o fasti particolari, come lei amava ricordare, sobria, ma segnata da una grazia speciale, che chi è entrato in relazione con lei ha sicuramente apprezzato. E lei portava incise sul volto tutta questa fatica e ricchezza di vivere di fronte alle quali poco può il vuoto della morte. Rubo le parole a un’amica giornalista che in suo libro parla di certe «presenze vive che ci tengono dritti quando non andiamo storti». Francesca per molti era una di queste presenze. Mai come in questo momento mi mancano le sue parole capaci di lasciare trasparire barlumi di senso anche nel buio più profondo, testimoni di un tentativo costante di coniugare pensiero e vita.

Tuttavia, nonostante lo smarrimento, sento che un modo per esserle riconoscente è quello di non lasciarsi schiacciare dallo strappo bruciante che la morte comporta. Perché lei ci aveva insegnato anche a guardare le cose della vita con ironia e a non avere paura. Mai come ora mi sento forte di quell’«energia di legame», di quel «pensare in relazione» a cui lei tanto teneva e di cui era debitrice a un certo femminismo e che io spesso e volentieri mettevo in discussione. Ora capisco che zoppicare insieme ci fa sentire un po’ meno soli.

In un racconto che aveva scritto e donato ad alcuni amici, intitolato Il giardino, Francesca scriveva: «Era questo in fondo che avrei dovuto già sapere e che l’incontro con il compostaggio mi sta nuovamente insegnando; e cioè che ci potrà essere una nuova vita per quanto ho perduto, scartato, visto morire o deteriorarsi intorno e dentro di me. Se saprò “rivoltarlo”, innaffiarne il ricordo, lasciarlo riposare». Ci proveremo.

 

Francesca Spano- Che gioia che dolore  Clara Jourdan - Via Dogana n.82