Visar Zhiti nasce a Durazzo nel 1952.
Laureato in letteratura albanese, giovanissimo insegna a Kukes, località al confine col Kosovo, dove viene incarcerato a ventisei anni per le sue poesie e processato per propaganda sovversiva contro il realismo socialista.
Condannato a tredici anni di carcere duro, condivide la prigionia politica ed i lavori forzati nei gulag dell'Albania con altri intellettuali tra i quali il pittore russo-albanese Valeri Dyrzi Tarasov, che sarà poi autore della copertina del suo libro Croce di carne(Ediz. Oxiana, Napoli 1977).
Nel 1987, scontata la pena, viene liberato e come tutti gli ex condannati politici, la cui macchia resta a vita, può lavorare, solo da manovale, in una fabbrica di mattoni.
Oggi, notissimo nel suo Paese per l'intera opera poetica, assurge a simbolo dello persecuzione con ruolo primario nella letteratura contemporanea albanese. La notorietà internazionale lo premia con traduzioni in greco, macedone, rumeno. E' presente in antologie francesi, tedesche, inglesi.
In Italia vince il premio per la Poesia Leopardi d'oro nel 1991 e il premio Ada Negri nel 1997. Un suo racconto è pubblicato negli Oscar Mondadori. E' citato nella Piccola Treccani. Ha pubblicato Dalla Parte dei Vinti(Suoni e colori d'Albania), Edizioni D'Agostino, 1998, intervenendo con Le piaghe non hanno patria in Una santa albanese di nome Madre Teresa, Edizioni D'Agostino, 1998.
Deputato al Parlamento del suo Paese nel 1996, è stato Ministro consigliere alla Cultura dell'Ambasciata albanese a Roma. E' membro dell'Accademia Internazionale delle Arti "Alfonso Grassi" di Salerno.
Ecco un caso esemplare di poeta candido, troppo per il sistema, per ciò stesso degno di essere imprigionato. Reo di non essere il robot che il sistema pretendeva che fosse.
Un Libero.
Visar Zhiti
Poeta albanese
Stralci da sue biografie apparse nei libri pubblicati in
Italia
Visar Zhiti è nato a Durrës (Durazzo) nel 1952. Laureato in
letteratura esordisce giovanissimo in poesia sulle più prestigiose riviste
letterarie albanesi. Nel 1979 cade sotto le grinfie del Sigurimi, la famigerata
polizia politica, e della censura i cui esperti tra l'altro scrivono «Influenzato
gravemente dall'ideologia borghese-revisionista, è scivolato nel grembo di una
poesia a noi estranea e ostile, che danneggia la linea del Partito». In base a
questo atto fu condannato «per agitazione e propaganda contro lo Stato» a
dieci anni di carcere che scontò in lavori forzati delle miniere e nei gulag
albanesi. Qui, per la proibizione di scrivere, sfidando ogni pericolo, compose
mentalmente, o su frammenti di carta, poesie che consegnava segretamente alla
madre durante le rare visite permesse.
Ottenuta la libertà, nel 1987, per il suo "peccato"
poté lavorare solo come operaio. Nel 1990, iniziati i primi movimenti che
portarono successivamente alla caduta del regime, partecipa alla formazione del
movimento democratico, nel 1996 viene eletto deputato in Parlamento.
Attualmente è Ministro consigliere per la cultura presso l'Ambasciata albanese
a Roma.
In Italia ha pubblicato la raccolta di poesie Dalla parte dei
vinti (1998), e per le edizioni Oxiana di Pomigliano d'Arco (Na), Croce
di carne (1997) e Passeggiando
all'indietro (1998), entrambi tradotti dall'albanista italiano-arbëresh
Elio Miracco;
questi sono stati accolti favorevolmente dalla critica italiana e straniera. È
stato tradotto anche in greco macedone e rumeno; è presente in antologie
francesi, inglesi e tedesche.
Ha ricevuto in Albania nel 1993 il Premio Nazionale per la
poesia e nel 1995 il premio Velja, in Italia il premio per la Poesia
Leopardi d'Oro nel 1992 e il premio Ada Negri nel 1997.
Giuseppe Gradilone, direttore dell'Istituto di Studi Albanesi
dell'Università La Sapienza di Roma, gli ha dedicato un saggio
definendolo «una nuova e autentica voce del Parnaso albanese». È citato nella
Piccola Treccani dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, fondata da
Giovanni Treccani.
Oggi, notissimo nel suo Paese per l'intera opera poetica,
assurge a simbolo della persecuzione e da ruolo primario nella letteratura
contemporanea albanese.
POESIE
Visar Zhiti
FILA DI SCARPE INCARCERATE
Dormono i
prigionieri.
Una vecchia coperta di illusioni
copre il loro corpo spento.
Ecco le loro
scarpe appisolate in fila
con fedeltà infangata di cani.
Ecco le opinghe.
Non ti ricordano le zolle dei campi?
Stivali screpolati
che continuano ad essere ostili
agli stivali militari.
Pantofole morbide, morbide,
e si comportano
con eccessiva educazione in carcere.
Scarpe cittadine
che avete conosciuto scarpe di donne
negli appuntamenti,
che avete danzato,
che avete sfavillato nei boulevards,
che siete entrate nei drammi,
ora abbandonate,
siete l'epilogo del dramma più grande.
Ecco le scarpe
del delatore
con le stringhe penzolanti come la calunnia in bocca.
Meglio scalzo
e senza piedi alla fin fine,
non con queste scarpe,
non posso guardarle
non posso sopportarle.
Ma ci sono anche scarpe enigmatiche, fiere
(come anche ripugnanti)
scarpe che nell'anima,
e forse nella storia,
lasceranno le loro impronte.
Scarpe
prigioniere,
le più sventurate del mondo,
stanche
bucate.
Quando la vita vi calza
torna indietro, solamente indietro.
I MALATI
I prigionieri
al ritorno dall'ospedale
sono più pallidi di noi.
Come si dispiace
la neve
per il suo candore in quei volti derelitti,
volge lo sguardo altrove
e piange
come una matrigna buona.
Le catene,
pur serrate dai catenacci,
scivolano
dai polsi scarniti.
NATURA MORTA
Sul letto
incarcerato dorme
un cappello come uccello terrestre (fatto con la coperta
invecchiata dell'ultima guerra mondiale.)
Ecco anche la pipa (occhio spento
sulla fronte della futilità). E dopo la busta
con il tuo indirizzo (macchia di luce
fievole, emigrata.)
E infine pezzuole sporche per i piedi
(avvolgono le ossa della strada morta).
CONTINUAMENTE SI TRADISCE L'UOMO
Continuamente si
tradisce l'uomo,
e non dico del suo giorno che improvvisamente
diventa notte,
né della notte dei suoi capelli
che inalba e diventa tacito giorno di vecchiaia.
Si tradisce
l'uomo
e non dico che anche la sua tomba muore e il nome
diventa erba marcita di oblìo,
ma l'uomo è continuamente tradito dall'uomo.
E quando una metà
mangia la metà
non resta più l'intero,
mi disse un vecchio invecchiato nelle prigioni.
(Traduzione di
Elio Miracco)
Visar Zhiti
1. La porta di vetro dell'Europa
Ero appena
arrivato in una città straniera, nella vicina Italia, che così spesso
consideriamo come la porta per entrare in Europa, ed avevo voglia di bere un
caffè, come capita dopo lunghi viaggi. Dietro portici tradizionali vidi un bar
di vetro molto vicino, aperto, dissi tra me e me, e mi incamminai in quella
direzione. Volevo salutare le statue del complesso della fontana. All'ingresso
del locale successe ciò che non mi sarei aspettato, anche se non successe
niente, ma che divenne motivo per pensare a preoccupanti - e non preoccupanti -
cose del genere, più importanti. Come la mela di Newton, che gli cadde sulla
testa. Mentre dormiva scoprì la Legge della Gravitazione Universale.
Accelerai il passo verso la porta aperta del bar, ma quando colpii la vetrata
con la testa capii che ero stato ingannato. Era così trasparente quella porta,
così ben pulita, che mi sembrò che non esistesse. La testa fece rumore, e il
vetro allo stesso tempo, ed alcune delle persone che si trovavano dentro si
voltarono con discrezione, ma non dissero niente, né risero come sarebbe
successo nella mia città. Solo il cameriere corse ad aprirmi. La porta bella ed
ingannatrice, illuminata nella stessa misura di quella giornata, tutt'uno con
lei.
Gustavo il buon caffè e pensavo non senza tristezza alla porta che mi era
apparsa e che diventava sempre più grande, come l'orizzonte. Ma perchè non ero
riuscito a vedere quella porta di vetro, che mi si fosse indebolita la vista,
oppure era così pulita da rendere la sua trasparenza perfetta e, siccome vengo
da un paese con molta polvere ed immondizia, ed immondizia viva, inoltre, pieno
di imprecazioni e stress, ti può capitare di tutto, si va dalle sorprese
delicate, vitree, fino ai grandi grotteschi, spesso anche intergovernativi.
Forse anche l'Europa è così, brilla davanti a noi, attraente, e fa che tu le
vada incontro come una sua parte naturale, ma un vetro trasparente ostacola
l'ingresso: forte, antiproiettile, impietoso. Dunque serve, oltre all'altro tipo
di osservazione, attenta e intelligente, più addestrata, forse anche qualcuno
che ti apra la porta, ma comunque sia, per non confonderti e per non sbagliare,
serve (guarda un po') una patria pura.
2. La Torre pendente
Avevo sentito
parlare della Torre di Pisa, ne sapevo qualcosa: lì Galileo Galilei aveva fatto
il suo importante esperimento, ma mi sfuggiva quale esperimento. Aveva buttato
qualcosa dall'alto, non una persona, no, avevo visto delle foto di quella Torre
nei libri di scuola, nei libri di fisica; era diventata famosa, la Torre
secolare, solamente perchè ora se ne stava storta, strano, e tutto quello che
sta dritto in questo mondo, persone e cose, rimane anonimo. Non avevo mai visto
la Torre pendente, ma siccome saremmo passati da quelle parti per arrivare nella
città vicina, dove mi avevano invitato, manifestai il desiderio di visitarla,
anche se pioveva forte. Succede che i desideri vengano esauditi, soprattutto
quando sei straniero, e la macchina girò verso la Piazza dei Miracoli,
veramente una piazza miracolosa, chiese bianche, cupole e campanili come fatti
di marmo celeste e la meraviglia, la Torre inclinata, con quegli archi graziosi,
o Dio, come era bella, che ansia ti incuteva, e se cadesse ora, in questo
momento, perché, come se pendesse sempre di più, lentamente, lentamente, in
modo maestoso, senza interruzione, piegava da una parte. Se non sapessi nulla,
avresti paura, vorresti fuggire in preda al panico gridando: "Sta cadendo
la Torre di Pisa, allontanatevi, distruggerà gli edifici, seppellirà le
persone". Numerosi turisti giravano lì attorno nella pioggia,
fotografavano da sotto i loro ombrelli colorati. Si trovano qui da secoli questi
turisti, come sono ingenui, mi stava dicendo ridendo l'accompagnatrice, e la
Torre, come se mi terrorrizzasse, mi ricordava gli esami scolastici, mi appariva
in sogno e non cadeva la Torre, mentre io continuavo a bagnarmi per metà,
suggestionato.
All'inizio mi si bagnò un braccio, la spalla: non c'era posto sotto l'ombrello;
poi tutta la schiena, per intero. Perché il peso dei turisti che salivano sulla
Torre non la faceva pendere ancora di più? Ci sono tanti progetti per
raddrizzarla, da tutto il mondo, giapponesi soprattutto, ascoltavo la voce
dell'accompagnatrice, oppure più giustamente che si mantenga così, pendente,
che non cada. Mi venne in mente una vignetta di un giornale straniero, si
raddrizzava, la Torre di Pisa, buttando giù dall'alto del Viagra, abbiamo riso,
illusione ottica, no, no, la Torre non è storta, è dritta la Torre, proprio
dritta, non so perché al mondo sembrava così, non credo che si fosse
raddrizzata solo per me ora, per pietà, mentre pioveva. La Torre è dritta,
insistetti io, perché si crede diversamente.
Quando siamo entrati in macchina, l'accompagnatrice stava parlando con l'amato
al volante sul perché capita che le persone giungano da altri paesi, dove ogni
cosa va nel peggiore modo possibile, ho aggiunto io, dove ogni cosa è storta,
le mura, la politica, le leggi, le strade, la posizione geografica, le
conversazioni, il presidente, le costruzioni abusive, la disoccupazione, la
povertà, la memoria, pali della luce storti, deputati storti, corriere, storie,
ecc., ecc, all'improvviso la Torre di Pisa, come mi disse anche un noto regista
albanese, sembra loro come l'unica cosa diritta sulla faccia della terra.
Io guardavo i rigagnoli della pioggia sul vetro, che colavano dritti.
3. L'uccello che viene accecato
L'incontro di
poesia iniziò con ritardo, e finì a mezzanotte, in una delle sale del comune
piccolo di Capannori. Per prima parlò Mia Lecomte, poi Julio Monteiro Martins,
lo scrittore di origine brasiliana. Lessero anche poesie. Io rispondevo alle
loro domande e a quelle dei presenti in sala. Li guardavo, erano giovani, per la
maggior parte ragazze. La galassia dei grandi occhi di fronte mi dava la
sensazione dell'infinito. Facevano più domande gli anziani, le donne
soprattutto, domandavano anche in tre contemporaneamente, volevano sapere della
prigione, non solo come ci si lavorava e come ci torturavano, ma come leggevamo,
come era possibile scrivere poesie anche là. Eri stato condannato a causa loro
(per le poesie) e aumentava l'ammirazione per l'uomo, anche quando veniva da
lontano, ed era straniero. Perchè la potenza interiore, l'amore, non ha
nazionalità, è di tutti. Ma viene apprezzato questo nel tuo paese? E quelli
che vi hanno condannati? Quelli che ci hanno condannati, ora non credono di
averci condannati, volevo dire. Soprattutto gli (sh)krimtarët (l'autore fa un
gioco di parole: da shkrimtarët , gli scrittori, mettendo tra
parentesi la sh, ne risulta una parola la cui prima parte è krim,
crimine, e la seconda parte un suffisso che indica l'agente. n.d.t.) -
gli scrittori del Realismo Socialista. Noi abbiamo un uccello, iniziò a
raccontare Julio con voce profonda, come roca, forse per via della commozione
non repressa, che canta meravigliosamente, ma solo di notte. Alcuni vorrebbero
sentire il suo canto anche di giorno e sapete cosa fanno? Gli trafiggono gli
occhi, lo accecano, perché sia sempre buio ed egli canti nella sua notte
violentata ed eterna in mezzo al giorno peccaminoso degli altri. Mi venne la
pelle d'oca. Forse anche il vostro paese, mi stava dicendo il brasiliano, si
comporta con i poeti come nel mio paese con l'uccello. Crea la notte perchè
cantiate. No, perché non cantiamo. Il crimine è due volte più grave, volevo
dire. Ma cosa fanno gli intellettuali nel tuo paese ora, ha chiesto un altro
impaziente. Prendono le ferite dei perseguitati e se le attaccano alla pelle,
una specie di nuovo tatuaggio.
Mi sentivo stanco, non riuscivo a parlare. Mi opprimeva la cecità provocata
dell'uccello, mentre le ali di qualcuno morivano lentamente.
(Traduzione di Edmond Çali e Nadia Tonziello)