Da "Foglie d'erba - Canto di me stesso 1-6" di Walt Whitman, Rizzoli, 1997



1
Canto me stesso, e celebro me stesso,
E ciò che assumo voi dovete assumere
Perché ogni atomo che mi appartiene appartiene
   anche a voi.

Io ozio, ed esorto la mia anima,
Mi chino e indugio ad osservare un filo d'erba estivo.

La mia lingua, ogni atomo di sangue, fatti da questo
   suolo, da quest'aria,
Nato qui da genitori nati qui e così i loro padri e così i
   padri dei padri,
lo, ora, trentasettenne in perfetta salute, ora
   incomincio,
E spero di non cessare che alla morte.
Credi e scuole in sospeso,
Un po' discosto, sazio di ciò che sono, ma mai
   dimenticandoli,
Accolgo la natura nel bene e nel male, lascio che parli
   a caso,
Senza controllo, con l'energia originale.

2
Case e stanze sono piene di profumi, gli scaffali
   affollati di profumi,
Respiro la fragranza, la riconosco e mi piace,
Il distillato potrebbe ubriacare anche me, ma non lo
   permetto.

L'atmosfera non è un profumo, non ha il gusto del
   distillato, è inodore,
È fatta per la mia bocca, in eterno, ne sono
   innamorato,
Andrò sul pendio presso il bosco, sarò senza maschera
   e nudo,
Mi struggo dalla voglia di sentirne il contatto.

Il fumo del mio fiato,
Echi, gorgoglii, diffusi bisbigli, radice d'amore,
   filamento di seta, inforcatura e viticcio,
Il mio inspirare ed espirare, il pulsare del cuore, il
   transitare dell'aria e del sangue attraverso
   i polmoni,
Il sentore delle foglie verdi e delle foglie secche, della
   spiaggia e degli scogli neri, del fieno nel fienile,
Il suono delle parole eruttate della mia voce
   abbandonata ai vortici del vento,
Pochi rapidi baci, pochi abbracci, un tendere a cerchio
   di braccia,
Il gioco delle ombre e dei riflessi all'oscillare dei rami
   flessuosi,
Il godimento da soli o tra la folla nelle strade, o lungo
   i campi o sui fianchi d'una collina,
La sensazione di salute, il vibrare del pieno
   mezzogiorno, il canto di me che mi alzo dal letto
   e vado incontro al sole.

Hai creduto che mille acri fossero molti? che tutta la
   terra fosse molto?
Ti sei esercitato così a lungo per imparare a leggere?
Tanto orgoglio hai sentito perché afferravi il senso dei
   poemi?

Fermati con me oggi e questa notte, e ti impadronirai
   dell'origine di tutti i poemi,
Ti impadronirai dei beni della terra e del sole (ci sono
   ancora milioni di soli),
Non prenderai più le cose di seconda o terza mano, né
   guarderai con gli occhi dei morti, ne ti nutrirai di
   fantasmi libreschi,
E neppure vedrai attraverso i miei occhi o prenderai
   le cose da me,
Ascolterai da ogni parte e le filtrerai da te stesso.

3
Ho udito ciò che i parlatori dicevano, il discorso del
   principio e della fine,
Ma io non parlo del principio o della fine.

Non ci fu mai più inizio di quanto ce n'è ora,
Ne più gioventù o vecchiaia di quanta ce n'è ora,
Ne vi sarà più perfezione di quanta ce n'è ora,
Ne più cielo o più inferno di quanto ce n'è ora.

Urgere, urgere, urgere,
Sempre l'urgere procreante del mondo.

Dalla confusa oscurità gli opposti eguali avanzano,
   sempre sostanza e accrescimento, e sesso,
E intrecciarsi di identità, e sempre distinzione, sempre
   riproduzione.

Elaborare è inutile, dotti e non dotti sentono che è
   così.

Sicuri come ciò che è più sicuro, i muri a piombo, ben
   connessi, la travatura rinforzata,
Forti come un cavallo, affezionati, tracotanti, elettrici,
Io e questo mistero qui ci ergiamo.

Limpida e dolce è la mia anima, e limpido e dolce è
   tutto quello che non è la mia anima.

Se manca uno, mancano entrambi, e il non veduto è
   provato dal veduto,
Finché questo non diventi invisibile e debba a sua
   volta esser provato.

Ogni età tormenta l'altra mostrando il meglio e
   separandolo dal peggio,
Conoscendo la perfetta giustezza e imparzialità delle
   cose, mentre quelle discutono sto zitto, e vado a
   fare il bagno e ad ammirare me stesso.

Benvenuto ogni mio organo e attributo, e quelli di
   ogni uomo onesto e vigoroso,
Non un pollice è da scartare o frazione di pollice, e
   niente dev'essere meno familiare del resto.

lo sono pago: vedo, ballo, rido e canto;
E se l'amato compagno di letto che dorme abbracciato
   al mio fianco, allo spuntare del giorno si ritira
   con passo furtivo,
Lasciandomi cesti di bianchi asciugamani che mi
   riempiono la casa con la loro abbondanza,
Dovrò posporre la mia accettazione e comprensione e
   gridare ai miei occhi
Che si astengano dopo dal guardare giù per la strada,
E mi mostrino sùbito, calcolato al centesimo,
L 'esatto valore di uno e l'esatto valore di due, e chi è
   in vantaggio?

4
La gente che passa e che m'interroga,
Le persone che incontro, gli effetti su di me dei miei
   primi anni o del quartiere, della città, della
   nazione in cui vivo,
Gli avvenimenti recenti, le scoperte c invenzioni, le
   società, gli autori vecchi e nuovi,
Il pranzo, gli abiti, i compagni, il bell'aspetto, i
   complimenti, i doveri,
L'indifferenza reale o immaginaria di qualcuno che
   amo,
La malattia d'uno dei miei o mia, le malefatte, la
   perdita o la penuria di danaro, le depressioni o
   l'euforia,
Le battaglie, gli orrori della guerra fratricida., la
   febbre delle dubbie notizie, lo spasmo degli
   avvenimenti,
Tutto questo mi arriva giorno e notte, e se ne va,
Ma non sono il mio Io.

Separato da ciò che attira e trascina sta quello che io
   sono,
Se ne sta divertito, compiacente, compassionevole,
   inattivo, unitario,
Guarda dall'alto, è eretto, o appoggia un braccio a un
   impalpabile sicuro sostegno,
Con la testa piegata di Iato, curioso di ciò che verrà
   dopo,
Dentro e fuori del gioco, osservandolo e
   meravigliandosi.
Ripenso ai giorni passati quando mi affaticavo nella
   nebbia con linguisti e dialettici,
Non ho battute o argomenti, io testimonio e attendo.

5
Io credo in te anima mia, e l'altro che io sono non
   deve umiliarsi

Davanti a te ne tu davanti a lui.
Ozia con me sopra l'erba, rimuovi il groppo dalla
   gola,
Io non chiedo parole, né musica, né rime, né
   conferenze o patrocini, sia pure i migliori,
Solo la nenia mi appaga, il mormorio della tua voce a
   bocca chiusa.

Rammento come una volta in un simile limpido
   mattino d'estate noi due giacevamo,
E tu posavi il capo di traverso sui miei fianchi e ti
   volgevi a me con tenerezza,
E aperta la camicia sullo sterno, affondasti la lingua
   dentro al mio cuore nudo,
E ti stendesti fino a sentire la mia barba, e ti stendesti
   fino a trattenermi i piedi.

Rapidamente sorse e si diffuse intorno a me quella
   pace e quella conoscenza che oltrepassano ogni
   disputa terrestre,
E ora so che la mano di Dio è la promessa della mia,
So che lo spirito di Dio è il fratello del mio spirito,
Che tutti gli uomini nati sono anche fratelli miei, e le
   donne sorelle ed amanti,
E che la controd1iglia della creazione è l'amore,
E che sono infinite le foglie dritte o recline nei campi,
E le brune formiche nei piccoli pozzi sotto di loro,
E le croste di muschio del recinto serpeggiante, i
   mucchi di sassi, il sambuco, la fitolacca, il
   verbasco.

6
Che cos'è l'erba? mi chiese un bambino,
   portandomene a piene mani;
Come potevo rispondergli? Non so meglio di lui che
   cosa sia.
Suppongo che sia lo stendardo della mia vocazione,
   fatto col verde tessuto della speranza.

O forse è il fazzoletto del Signore,
Un ricordo profumato lasciato cadere di proposito,
Con la cifra del proprietario in un angolo sicché
   possiamo vederla e domandarci di Chi può
   essere?


O forse l'erba stessa è un bambino, il bimbo generato
   dalla vegetazione.

O un geroglifico uniforme
Che voglia dire, crescendo tanto in ampi spazi che in
   strette fasce di terra,
Fra bianchi e gente di colore,
Canachi, Virginiani, Membri del Congresso, gente
   comune, io do loro la stessa cosa e li accolgo
   nello stesso modo.

E ora mi appare come la bella capigliatura delle
   tombe.

Ti userò con gentilezza, erba ricciuta,
Forse traspiri dal petto di giovani uomini,
Che avrei potuto amare, se li avessi conosciuti,
Forse provieni da vecchi, o da figli ghermiti appena
   fuori dai ventri materni,
Ed ecco, sei tu il ventre materno.
Quest'erba è troppo scura per uscire dal bianco capo
   delle nonne,
Più scura della barba scolorita dei vecchi,
È scura per spuntare dal roseo palato delle bocche.

Oh nonostante tutto io sento il parlottio di tante
   lingue,
E comprendo che non esce dalle bocche per nulla.

Vorrei poter tradurre gli accenni ai giovani morti, alle
   fanciulle,
Gli accenni ai vecchi e alle madri, ai rampolli ghermiti
   ai loro ventri.

Che cosa pensate sia avvenuto dei giovani e dei
   vecchi?
E che cosa pensate sia avvenuto delle madri e dei
   figli?

Vivono e stanno bene in qualche luogo,
Il più minuscolo germoglio ci dimostra che in realtà
   non vi è morte,
E che se mai c'è stata conduceva alla vita, e non
   aspetta il termine per arrestarla,
E che cessò nell'istante in cui la vita apparve.

Tutto continua e tutto si estende, niente si annienta,
E il morire è diverso da ciò che tutti suppongono, e
   ben più fortunato.


WHITMAN, STRAORDINARIO POETA, DI REGALE PRONUNCIA, CHE ACCAREZZA LA VITA OVUNQUE VADA... 

Scriveva Walt Whitman: "Neanche io sono domato, io pure sono intraducibile. Emetto il mio grido barbarico sopra i tetti del mondo. Lascio me stesso alla terra per nascere dall'erba che amo..."
Walt Whitman rimane una titanica presenza, uno spirito indomabile che lancia ancora sui tetti del mondo un grido barbarico.
Nato il 31 maggio 1819 ad Huntington, Long Island, da una famiglia di nove figli, con un padre contadino, muratore e carpentiere, una madre "forte e virile", ispiratrice, secondo la critica, dell'ambigua figura della madre-terra, impassibile di fronte alla distruzione e alla morte; una breve vita scolastica, l'esperienza dell'insegnamento, poi quella del giornalismo: Whitman iniziò con il "Long Islander", passò all'"Evening star", fino alla direzione del "Daily Eagle" di Brooklyn, poi il "Freeman", sempre di Brooklyn, dove approdò dopo un lungo girovagare per l'America.
Nel luglio del 1855, il 4 luglio per la precisione, uscì la prima edizione di "Leaves of Grass" - "Foglie d'erba".
Definito "prodotto dell'inconscio collettivo" più che di un solo autore, "Foglie d'erba" incarna in modo superbo lo spirito della terra, "la geografia, la vita naturale, i fiumi, i laghi..." tanto che Whitman è il cantore di amplessi con la terra e la notte, gigante romantico che indaga, con lucida ironia, con immagini audaci e splendenti metafore "sulla parte oscura dell'emisfero terrestre, sottratta alla vista dell'io-poeta, e sull'immensa profondità del cosmo."
Ha scritto di sé: "Io sono uno che accarezza la vita ovunque vada, che volga indietro o in avanti.
Mi chino sulle nicchie appartate e i subalterni, non trascuro un oggetto o una persona, tutto assorbendo in me per questo mio canto."
Un canto che sembra assorbire la carezza della vita, un canto che scorre in mille rivoli colorati, che parla "degli uomini in mezzo al bestiame, che sa di boschi o d'oceano... delle stagioni che si succedono... l'aratore ara, il mietitore miete, il grano invernale è seminato... degli uomini delle chiatte che ormeggiano al crepuscolo presso i pioppi... dei patriarchi che siedono a cena circondati da figli, nipoti e pronipoti...".
Tutti, come in un canto antico e corale, convergono verso il poeta ed egli si espande verso di loro, per intessere il canto di se stesso.
Amato e citato dal cinema, asse portante del pluripremiato ma ambiguo e irrisolto "L'attimo fuggente", dove il professore incita l'allievo introverso ad emettere il suo "barbarico grido", Whitman è stato utilizzato anche dal WimWenders di "Fino alla fine del mondo".
Walt Whitman è ancora straordinario poeta "con versi di istantanea meraviglia, che spalancano un teatro di sontuoso, recitato orrore, una pronuncia regale, tirannica, fastosa... un maestro verbale che sa modulare versi di suprema perizia."
Per lui, Jorge Luis Borges ha composto l'omaggio più bello:
"Non è lungi la fine.
Quasi non sono, ma i miei versi ritmano la vita e lo splendore.
Io fui Walt Whitman."
Poeta della potenza della terra e della natura, cantore di una storia in divenire, voce di una speranza, di un passaggio verso qualcosa... come Whitman ha scritto nel "Canto di se stesso":
"Difficilmente saprai chi io sia o che cosa significhi.
E tuttavia sarò per te salutare, filtrerò e darò forza al tuo sangue.
Se non mi trovi subito, non scoraggiarti, se non mi trovi in un posto cerca in un altro, da qualche parte starò fermo ad aspettare te."
Maria Lina Veca