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DOPO LE FERIE COME  LA METTIAMO? - 15-7-74

Noi pensiamo che lo scontro coi padroni possa essere rinviato, ma che comunque

non può essere evitato. Tanto vale prepararsi ad affrontarlo fin da ora.

Non basta dunque aspettare che i vertici proclamino lo sciopero genErale,nostro

compito è combattere quegli atteggiamenti che nella classe operaia portano

allo scoraggiamento, alla sfiducia,alla ritirata, alla rinuncia alla lotta (...)

 

Cantautori, squadra delle mie utopie -liberazione 17-4-2005
e delle mie illusioni
Darwin Pastorin
Amo la musica impegnata, i cantautori, le canzoni di protesta. Tra i miei migliori amici, ci sono Enrico Ruggeri e Andrea Mirò, Antonello Venditti e Yo Yo Mundi. Non ringrazierò mai abbastanza Paolo Pietrangeli per "Contessa" e per quella notte al palasport di Torino, con Dario Fo e Franca Rame, Adriano Sofri, in tanti per il Cile, per Salvador Allende, contro Pinochet e i suoi criminali in divisa e in doppiopetto. Continuo a sentire e risentire Fabrizio De André, che per me resta uno dei più grandi poeti del nostro Novecento. A mio figlio Santiago canto "La canzone di Marinella" e "Geordie", "La guerra di Piero" e "Girotondo".

In prima liceo, feci inserire nel programma di italiano "Recitativo". Intervistai De André sul calcio, mi disse che tifava Genoa perché rosso e blù erano anche i colori degli operai genovesi. Ho scritto sul mio libro "Tempi supplementari": «Un altro petalo della mia giovinezza si è staccato. Addio, Fabrizio: e grazie. Grazie per avermi aiutato a crescere, per avermi insegnato l'amore, quell'amore per i diversi, gli emarginati, i poveri. Con le tue canzoni sono diventato grande: fu mio fratello Lamberto, quando ero alle medie, a portarmi il tuo primo disco. Mi innamorai perdutamente di quelle storie, di quelle parole, della tua voce, quella tua voce "che ormai canta nel vento". Sei stato il compagno sicuro di tanti giorni, il conforto di notti disperate. I tuoi dischi sono ancora gelosamente custoditi in casa di ragazze ormai donne: sopra la copertina, una mia dedica. Perché quel disco era il mio regalo, il mio segno di affetto e di stima. Quando mia moglie Olga rimase incinta non ci furono dubbi sui nomi: Santiago (come il pescatore de "Il vecchio e il mare" di Hemingway) per il maschio, Luvi per la femmina, proprio come tua figlia». E chiudevo così: «Ciao Fabrizio. Dormi tranquillo sulla tua collina. A fare da sentinelle al tuo riposo siamo in tanti, quaggiù».

Considero "Verranno a chiederti del nostro amore" la mia canzone del cuore, la più bella di sempre. E "Preghiera in gennaio" l'omaggio più emozionante, sentito, dolente e nel contempo lucente per Luigi Tenco.

Poi, arrivò Francesco Guccini. Fu Pia, una splendida universitaria, a portarmi quel 33 giri: "L'isola non trovata": «Senti questo cantautore bolognese, ti piacerà di sicuro. Ha scritto per i Nomadi e per l'Equipe 84». Altra folgorazione. Cominciarono, così, i giorni de "La locomotiva", di "Incontro" (che pur tra mille fatiche imparai a suonare alla chitarra), di "Vedi cara". Trovavo tra quei versi il mio Guido Gustavo Gozzano, dalle «stoviglie color nostalgia» al «color di lontananza».

La squadra aumentò, con Francesco De Gregori e Claudio Lolli, per non parlare di Bob Dylan e Joan Baez, di Victor Jara, di Caetano e Chico e Gilberto, di Vinicius e Toquinho. Diventarono, quelle parole, quelle musiche, la colonna sonora della mia vita quotidiana, delle mie speranze, delle mie utopie, delle mie illusioni. Ma poteva coinvolgermi emotivamente anche Gianni Morandi con "C'era un ragazzo" e "Occhi di ragazza".

Era la stagione del mondo rovesciato, proprio come adesso. Di bombe sulla povera gente, sui contadini, sui villaggi indifesi. Di carrarmati a soffocare le voci di libertà. Di Jan Palach che si diede fuoco a Piazza San Venceslao. Della garrota di Franco e dell'ipocrisia di mister Kissinger, premio Nobel per la Pace, vi rendete conto? Andate a chiedere ai cileni un pensierino su mister Kissinger, sul Piano Condor e su come si rovescia, con il tradimento, la tortura, la violenza e il sangue, un governo democraticamente eletto dal popolo. Noi continuiamo a gridare con tutte le nostre forze: «Allende està presente!».

Le canzoni rappresentavano la nostra consolazione. Sì, «trionfi la giustizia proletaria»! Andavamo per piazze e osterie (che serate indimenticabili da "Anna la pazza" a Pecetto, sulla collina torinese) con le chitarre e i sogni, le armoniche a bocca e l'innocenza sul viso e nel cuore, con le nostre ragazze al fianco, accanto all'antologia latina "La luna e i falò" di Cesare Pavese («C'è qualcosa che non mi capacita. Qui tutti hanno in mente che sono tornato per comprarmi una casa, e mi chiamano l'Americano, mi fanno vedere le figlie. Per uno che è partito senza nemmeno averci un nome, dovrebbe piacermi, e infatti mi piace. Ma non basta. Mi piace anche Genova, mi piace sapere che il mondo è rotondo e avere un piede sulle passerelle. Da quando, ragazzo, al cancello della Mora mi appoggiavo al badile e ascoltavo le chiacchiere dei perdigiorno di passaggio sullo stradone, per me le collinette di Canelli sono la porta del mondo»), "L'ombra delle colline" di Giovanni Arpino, le poesie di Baudelaire e di Verlaine. E una lattina di birra era l'occasione per una improvvisata partitella.

«Dentro la bocca stringevi parole troppe gelate per sciogliersi al sole», la morte del soldato Piero era la morte di tutti i soldati mandati al macello per tutte le orribili, inutili, stupide «sporche guerre» decretate dai potenti del mondo. De André e il Quasimodo de "Alle fronde dei salici" stavano sullo stesso piano. Canzone e poesie contro le bombe, il sangue dei bambini, la paura, il terrore.

Continuerò ad ascoltare Fabrizio. Per il bene che gli volevo e che gli voglio. Per Bocca di rosa e Barbara, per «quei giorni perduti a rincorrere il vento», per «signora libertà e signorina fantasia», per i «cuccioli del Maggio», per tutti gli amici fragili della nostra esistenza. Per i «cristalli di parole» e le troppe, immense, struggenti «vie della povertà».